Rapimento e castigo

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Dopo un breve passaggio in sala negli Stati Uniti è approdato sulla piattaforma Apple TV+ l’ultimo “joint” di Spike Lee, Highest 2 Lowest, ispirato a uno dei massimi capolavori di Akira Kurosawa High and Low (Anatomia di un rapimento) uscito nel 1963.
Cos’è
David King, interpretato dal sempre carismatico Denzel Washington (qui alla quinta collaborazione con Spike Lee), è un magnate della musica, CEO della Stackin’ Hits Records, noto per avere un orecchio infallibile. Dal suo attico dell’Olympia Dumbo arroccato sopra Brooklyn, King è sul punto di concludere un grosso affare: acquisire la quota di maggioranza dell’etichetta discografica che ha co-fondato vent’anni prima. Per riprendere il controllo della sua creatura ha venduto le sue azioni e ipotecato le sue case.
Succede però che il piano viene messo in pausa perché alcuni malviventi, nel tentativo di sequestrare suo figlio Trey (Aubrey Joseph), rapiscono per sbaglio Kyle (Elijah Wright), figlio del suo autista e amico di lunga data Paul Christopher (Jeffrey Wright), chiedendo un ingente riscatto, 17,5 milioni di franchi svizzeri, in cambio della sua liberazione. David e sua moglie Pam (Ilfenesh Hadera) dovranno quindi rivalutare le loro priorità e decidere se pagare comunque per salvare il ragazzo.
Nel cast c’è anche A$AP Rocky nel ruolo di un aspirante artista ossessionato da King. -
(c) A24
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Com’è
È una storia di rapimento e dilemmi morali ai tempi dell’IA e della viralità sui social. Il conflitto fra classi sociali, così teso e presente nel film di Kurosawa, qui è meno centrale – il motore della trama di Highest 2 Lowest è l’ascesa e il fallimento nel mondo dell’industria musicale newyorkese e nello specifico nell’arte, nella cultura e nell’imprenditoria nera. Ambientare come di consueto il film nella Grande Mela, città a cui Lee è intimamente legato, permette al filmmaker di raccontare non solo una storia profondamente newyorkese ma anche di creare un’opera molto personale che omaggia quella del regista giapponese discostandosene allo stesso tempo.
Il film parte “in alto”, dalla penthouse della famiglia King che domina l’East River con una vista incredibile sullo skyline di Manhattan. Nella prima fase Lee tratteggia il suo protagonista affidandosi a un ritmo lento e spingendo un filo troppo sul pedale del melodramma, con una colonna sonora martellante che entra a gamba tesa invadendo lo spazio e sgonfiando ogni tensione. Il film si eleva con il cambio di tono a metà del racconto, quando King scende dal suo attico nelle strade disordinate di New York per consegnare il riscatto ai rapitori, ed è allora che si riaffacciano prepotenti l’energia distintiva (anche se un po’ attempata) e l’eccesso stilistico tipici di Lee.
Questo è vero soprattutto nella sequenza elettrizzante e coreografata tecnicamente nei minimi dettagli che si svolge su un treno in corsa (il rapitore vuole che King consegni personalmente il denaro su un convoglio diretto a Manhattan): la situazione è caotica, un gruppo di tifosi degli Yankees che rumoreggia insultando i Boston Red Sox mentre fuori esplode l’entusiasmo per i festeggiamenti del Puerto Rican Day Parade. Lo scambio comunque non va come previsto e King finisce per farsi giustizia da solo. In mezzo è tutto un susseguirsi di scene mozzafiato che ci prendono a calci fino allo scontro diretto fra David e il suo antagonista attraverso il vetro di una cabina di registrazione in una freestyle battle improvvisata.
Cosa resta alla fine di questo remake? Forse la voglia di (ri)vedere l’originale nipponico, certo è che con il suo puro esercizio di stile il regista di Fa’ la cosa giusta dimostra, a 68 anni suonati, di non aver perso il suo tocco.
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