Volker Braun, il sopravvivente

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Volker Braun, poeta e drammaturgo nato a Dresda nel 1939, fra gli ospiti del recente convegno di primavera dell’Accademia Tedesca per la Lingua e la Poesia tenutosi a Bolzano, potrebbe essere definito un sopravvivente. La sua opera, infatti, ha retto benone alla fine del Paese dalle cui contraddizioni traeva il suo maggior significato, benché sia stata sospinta sempre più lontano dai riflettori – come del resto lontana dai riflettori è ormai tutta la cultura critica e poetica nata in seno alla DDR, quella che avrebbe volentieri percorso una terza via tra il socialismo reale e il capitalismo liberista. Con Wolfgang Hilbig, Thomas Brasch e Christoph Hein (solo l'ultimo dei quali, come Braun, ancora in vita), appartiene a una generazione, quella degli anni quaranta, che ha vissuto per intero la parabola del suo Paese, la sua fine celebrata e l'adesione più o meno volontaria di ciò che ne restava all'economia globale di mercato, oggi anch'essa scricchiolante.
In questo periodo ci sono almeno tre buone ragioni per parlare di Volker Braun:
a) è uscito da poco un suo nuovo libro in Germania, Fortwährender Versuch, mit Gewalten zu leben (Suhrkamp), una raccolta di tre saggi nei quali Braun si confronta con la propria vita, la storia tedesca e il presente globale alle prese con diversi «poteri»: statali, naturali, affettivi. È un bilancio autobiografico e poetico di estrema densità stilistica. La volta in cui fu spiato da un agente della StaSi, questi si limitò a registrare: «Legge in pubblico roba incomprensibile». La Wende del 1989 lo colse in un turbine di liaisons e nella perplessità sul senso della poesia nel mondo a venire. Oggi è il poeta argentino Sergio Raimondi ad offrirgli speranze di una poesia civile e brechtiana all’altezza dei tempi. Ma intanto un suo amico filosofo, ritirato su un’isola e intento a lavorare a un Dizionario filosofico del marxismo, è alle prese con la voce Zwiebel (cipolla), mentre una di lui allieva ambientalista, Sophie, non crede alla sua idea di una natura «non distruttibile».
b) è uscito da qualche mese in Italia un suo poemetto, Passione coloniale (Del Vecchio Editore, tit. or. Luf-Passion), apparso in origine nel 2022 sulla rivista «Sinn und Form» e poi in volume per Faber & Faber. Tradotto da Sara Paolini e con un’esaustiva postfazione di Anna Chiarloni, è un testo composito che ripercorre la colonizzazione di Luf, un’isola della Nuova Guinea, da parte di emissari del Secondo Reich di Guglielmo I e Bismarck, e la sottrazione agli indigeni, previo sterminio, di un’imbarcazione di pregevole fattura oggi esposta nell’Humboldt Forum, il castello neoprussiano edificato a Berlino al posto del vecchio Palazzo della Repubblica. Il poemetto trae forza da una polifonia ora fittizia ora documentaria, in cui a “cantare” sono indigeni, coloni, auctoritas poetiche e fonti dell’epoca, e si conclude con una duplice eco: della poetessa austro-americana Ann Cotten e dell’omicidio di George Floyd nel maggio 2020.
c) nel cinquecentesimo anniversario delle rivolte contadine, mi piace ricordare Die hellen Haufen, un romanzo breve pubblicato da Braun nel 2011. Ispirato allo schwarzer Haufen, il “battaglione nero” guidato mezzo millennio fa da Florian Geyer nell’Odenwald, racconta la lotta di una torma crescente di lavoratori dell’ex Germania dell’Est in marcia verso Berlino per protestare contro l’appropriazione e la privatizzazione dell’industria orientale da parte di quella occidentale, che fu legittimata in ciò dall’Istituto fiduciario nato dopo la fine della DDR. La rivolta è solo immaginata – in epigrafe al testo Ernst Bloch: «Quel che non siamo riusciti a realizzare, dobbiamo tramandarlo» – e contiene allusioni a Thomas Müntzer come ai movimenti operai dei primi anni venti del XX secolo, ma lo sciopero della fame da cui prende le mosse si verificò realmente, in un sito di estrazione mineraria in Turingia, nel 1993. Anche qui è lo stile che veicola l’impeto morale: è un’etica che si fa estetica.
Il lettore interessato di lingua italiana potrà integrare la pubblicazione recente citata con le poesie raccolte ne La sponda occidentale (a cura di Anna Chiarloni e Giorgio Luzzi, Donzelli 2009) e in Tra est e ovest (a cura di Miriam Ravetto, Interlinea 2024). Alcune opere in prosa di Braun erano apparse nell’ultimo quindicennio per una collana purtroppo già estinta.
Della Luf-Passion, infine, per chi sa il tedesco e/o per chi ama le percussioni, si trova on line una versione recitata accompagnata da una straordinaria performance di Günter Baby Sommer, il batterista cui il poemetto è dedicato. Lunga vita a Volker Braun e alla sua opera!