Politica | Il commento

Ciò che sarà giusto

Il trentesimo anniversario dalla scomparsa di Alexander Langer può essere l'occasione giusta per rompere gli schemi e compiere, insieme, la scelta più coraggiosa di tutte: guardare avanti.
Alexander Langer
Foto: Seehauserfoto
  • Arriviamo a questo trentesimo anniversario dalla scomparsa di Alexander Langer con un po’ di stanchezza e, a volte, un atteggiamento arrendevole. Come se, dopo tre decenni, facessimo fatica a trovare parole nuove o formule originali per spiegare perché, ancora oggi, quel nome smuove i sentimenti, i ricordi e ancor di più i moti ideali di molte persone che vivono in Sudtirolo, in Italia e altrove. È come se quell’idealismo politico si fosse un po’ affievolito, fosse ormai antico, inattuale, non più al passo coi tempi sempre più bui, che vanno nella direzione opposta rispetto alla nonviolenza, all’ecologismo profondo, a stili di vita non convenzionali, alla volontà di prendersi cura del mondo.

    Io stesso, che conservo in casa un enorme manifesto elettorale di Langer e associo a lui una parte importante della mia identità sudtirolese, faccio fatica. Anche la sua eredità è stata spesso “ingabbiata” in etichette, ridotta a un plurilinguismo di maniera che serve solo a farci sentire migliori degli altri, limitata a un’appartenenza nel nome di colui che proprio rifuggiva le appartenenze escludenti. Difficile non cadere in un omaggio solo celebrativo d’una figura storica non più tra noi. Per questo, oggi, desidero fare un esercizio di onestà: cosa resta, per me, di Langer, cosa va continuato?

  • Foto: Seehauserfoto
  • Innanzitutto, partendo dal Sudtirolo, l’idea che possa esistere un’identità indivisa, sfaccettata, liquida. “Gesamtsüdtiroler”, la definì lui. Cosa c’è di più obliquo, per non dire queer, di questo? Definirsi italiani, tedeschi, ma persino “mistilingui”, perde così totalmente di significato. E qui mi viene in mente un’immagine recente, quella del primo Südtirolo Pride: al motto di “Wir sind hier - lotta queer” oltre cinquemila persone hanno sfilato per le vie di Bolzano. “Un altro Sudtirolo è possibile” è lo slogan che ha mosso per quasi mezzo secolo il movimento interetnico di cui Langer fu ispiratore e motore, e un altro Sudtirolo – a partire dal nome obliquo dato al Pride altoatesino – si è letteralmente manifestato, rivelato ai nostri occhi: colorato, arcobaleno, mescolato, senza muri né definizioni di lingua, di età, di genere. Ma soprattutto coraggioso, assumendosi dei rischi – e qualche polemica sterile all’indomani del Pride dimostra che servono spalle larghe per affrontare “i morti che seppelliscono i morti.

     

    Un altro Sudtirolo si è letteralmente manifestato: colorato, arcobaleno, mescolato, senza muri né definizioni di lingua, di età, di genere. Ma soprattutto coraggioso.

     

    Sì, perché in questo sta un grande discrimine tra la scelta di vita di Alexander Langer, come politico, giornalista, traduttore e pensatore, e la “comfort zone” pure tra coloro che lo citano spesso e volentieri: prendersi dei rischi, pure il rischio di sbagliare, stare scomodi, esprimersi, agire anche in modo spettacolare, in altre parole – mi si perdoni il francesismo – “muovere il culo”.

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  • Per questo la celebrazione, il solo ricordo, dovrebbe terminare qui per lasciarci alle spalle qualche zavorra del passato, lasciando spazio al domani. Si dovrebbe guardare avanti, guardare con occhi nuovi al futuro, percorrere altre strade, rischiare appunto. Ciò che molte e molti di noi riconoscono alla sua figura è proprio di esser stato un pioniere, l’aver aperto vie nuove e sino a quel momento inesplorate. E noi, lo stiamo facendo? Guardandoci allo specchio, quanti tentativi abbiamo fatto di vedere oltre le apparenze, i preconcetti, le dicotomie, le etichette? Non penso di pronunciare una bestemmia se dico che l’europarlamentare di Vipiteno, nel corso della sua vita, si trovò molte volte a studiare, ragionare, rielaborare assieme ad altre e altri il presente, per abbracciare una complessità fatta di dubbi e ripensamenti, di frontiere e di domande, ma anche di grande coraggio nel cercare delle risposte innovative, insieme. È una questione di metodo, di approccio.

  • Foto: Seehauserfoto
  • Mi ha colpito in questi giorni una piccola storia, eppure significativa in tal senso. Un articolo sulla rivista di montagna dell’Alpenverein Südtirol, il club alpino sudtirolese, ha acceso gli animi di quest’estate già torrida. L’autrice, vicepresidente dell’AVS e caporedattrice, ha spiegato come si potrebbero ribattezzare i rifugi di montagna dell’Alto Adige che portano nomi di città tedesche e/o italiane assegnati nel primo Novecento, quando il Tirolo fu diviso dai nazionalisti. “Ne abbiamo discusso con il CAI”, dice, perché sono anni che le due associazioni alpinistiche dialogano tra loro: sui conflitti ambientali provocati dallo sfrenato sviluppo turistico, sulle sfide del climate change – e persino sulla toponomastica, il tema che più alimenta il conflitto etnico. Eppure chi ha a cuore le nostre montagne non teme il confronto.

     

    Chi ha a cuore le nostre montagne non teme il confronto. E certi retaggi si possono superare solo insieme, saltando oltre gli steccati mano nella mano.

     

    “È solo una riflessione” ci tiene a sottolineare Ingrid Beikircher. Ma apriti cielo, la politica si scaglia contro una mossa ritenuta “pericolosa”. Ma lei insiste, “i nomi si cambiano, è successo altre volte sulle Alpi”, e a volte conta di più la geografia della storia. E certi retaggi si possono superare solo insieme, trovando dei compromessi e saltando oltre gli steccati mano nella mano. Conoscete una storia più “interetnica” di questa?

  • Foto: Lorenzo Vianini/Facebook
  • E allora forse, per superare la ripetitività e la stanchezza degli anniversari, vale la pena non solo di riflettere su come continuare in ciò che era giusto, bensì di indagare su cosa sarà – o perlomeno potrebbe essere – giusto fare. Partendo da una posizione come detto scomoda, senza rendite di posizione, capace di allontanarsi dalle sirene del potere, dall’amichettismo logorante, dalla “logica dei blocchi che blocca la logica”, per avvicinarsi alla libertà di disegnare un futuro diverso. Non è un caso che il Sudtirolo Pride, dopo aver attraversato Ponte Talvera, avesse come meta proprio Piazza Alexander-Langer-Platz, intitolazione informale del piazzale delle feste sui Prati. Tra corpi felici e festanti c’era tutta l’energia necessaria a proiettarci finalmente in avanti. Affinché il domani sia meno buio e più bello per noi, per il nostro universo di affetti e di speranze – e per chi verrà dopo di noi.