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“Il turismo sia condiviso dalla gente”

All'odierno congresso dell'HGV Manfred Pinzger lascia la presidenza. Un bilancio dei dodici anni alla guida dell’associazione albergatori – tra overtourism, Bettenstopp e airbnb.
Manfred Pinzger
Foto: HGV
  • SALTO: Presidente Pinzger, dopo dodici anni alla guida dell’HGV, come descriverebbe il cambiamento che ha vissuto il turismo altoatesino in questo periodo?

    L’HGV rappresenta oggi 4.680 iscritti tra alberghi, bar, ristoranti e osterie: una realtà bellissima e molto variegata. In questi dodici anni siamo riusciti a posizionare le nostre idee non solo a livello locale ma anche nazionale. Quando ho assunto la presidenza nel 2013, non si parlava di “overtourism” o di troppi turisti. Si discuteva al massimo del traffico, ma mai con l’intensità di oggi. Poi è arrivato il 2020 e con la pandemia il nostro settore è stato messo a dura prova: siamo stati i primi a chiudere l’8 marzo e per mesi abbiamo dovuto fermarci completamente. Fortunatamente, grazie anche a misure di sostegno provinciali e nazionali, siamo riusciti a tenere duro. Dal 2022-2023 il turismo altoatesino è ripartito molto bene, anche grazie a campagne di marketing mirate e alla forza del nostro marchio territoriale. Ma i cambiamenti sono tanti: non solo nei flussi e nelle abitudini dei turisti, ma anche nelle norme, basti pensare alla nuova legge urbanistica.

    Uno delle misure più discusse in questi anni è il cosiddetto “Bettenstopp”, il limite ai posti letto. I letti però sono cresciuti… 

    Io preferisco non usare il termine “Bettenstopp”, che trovo fuorviante, ma di Obergrenze. Il concetto è quello di una crescita sostenibile e condivisa. Lo sviluppo turistico può funzionare solo se è accettato anche dalla popolazione locale. Detto questo, va chiarito che molti dei nuovi posti letto autorizzati negli ultimi anni derivano da progetti avviati prima della legge urbanistica. In ogni caso, non si può bloccare tutto: bisogna lasciare spazio ai giovani imprenditori. Alcune zone dell’Alto Adige sono effettivamente sature, ma molte valli laterali hanno ancora bisogno di uno sviluppo sostenibile e misurato.

    E l’espansione di piattaforme come Airbnb, che hanno avuto un forte impatto anche qui?

    È un tema importante. Non bastano le leggi se poi non vengono fatte rispettare. Io credo nel principio “stesso lavoro, stesse regole”: chi affitta deve sottostare agli stessi controlli e obblighi degli esercizi pubblici. Noi abbiamo il nuovo CIN (Codice Identificativo Nazionale) e veniamo controllati continuamente, mentre altri riescono a eludere le regole. Serve un controllo più efficace anche per liberare appartamenti che potrebbero essere destinati ai residenti: oggi troppi alloggi vengono affittati ai turisti, riducendo l’offerta abitativa per le famiglie.

    Negli ultimi anni è cresciuto anche il numero degli hotel di lusso a scapito dei tre stelle. Alcuni temono che si stia perdendo il carattere tradizionale degli alberghi a gestione familiare, l’hardware del turismo in Alto Adige. Lei come valuta questa evoluzione?

    Penso che il nostro settore si sia adeguato alle richieste del mercato. Gli imprenditori investono quando c’è domanda e possibilità di ritorno. Negli ultimi anni, per esempio, il wellness è diventato un elemento centrale, e molti colleghi hanno rinnovato le proprie strutture in questo senso. Non dobbiamo però dimenticare il ruolo sociale degli esercizi pubblici: alberghi, bar, ristoranti e pizzerie sono punti di ritrovo per la comunità. Per questo rappresentiamo non solo gli albergatori ma anche i pubblici esercizi, fondamentali per la vita dei paesi. Certo, nelle Dolomiti sono stati fatti investimenti importanti e di qualità, ma è giusto così: sono zone con grande visibilità internazionale.

    Molti paesi però lamentano la chiusura dei loro bar o Gasthäuser, luoghi centrali per socialità. Come si può contrastare questa tendenza?

    È un problema strutturale, soprattutto economico. Vendere cento caffè a 1,80 euro non garantisce un reddito sufficiente. Un bar al centro di Merano non è la stessa cosa di uno in Val Martello dove passano venti persone al giorno. La Provincia, con l’assessore Walcher, sta giustamente riformulando i criteri di sostegno a queste piccole realtà, che meritano maggiore attenzione. Io vivo in una frazione di Silandro, Vezzano: 700 abitanti e non c’è più un bar. È un peccato, perché il bar è il cuore di una comunità.

  • Un hotel in Val di Tires: "Negli ultimi anni il wellness è diventato un elemento centrale e molti albergatori hanno rinnovato le proprie strutture in questo senso". Foto: Othmar Seehauser
  • L’HGV è percepito come una potente lobby. Pensa che l’associazione debba cambiare modo di comunicare per farsi “capire meglio” dai cittadini?

    Credo che serva più informazione. Il turismo viene spesso criticato, ma è anche quello che consente di finanziare servizi pubblici di qualità. In Alto Adige investiamo tanto nel sociale, nella sanità e nella scuola, e tutto questo è possibile anche grazie al turismo. Il turismo non vive per sé stesso, ma traina l’artigianato, il commercio, l’agricoltura e l’industria. Senza di esso, molte infrastrutture che oggi usano i residenti non esisterebbero. È vero: rappresentiamo 4.680 imprese, ma non dimentichiamo mai che senza il consenso della popolazione il turismo non può funzionare.

    Negli ultimi tempi c’è stato un dibattito tra chi vorrebbe "cambiare il turismo" e chi pensa che vada bene così. Lei da che parte sta?

    Il confronto è utile, ma non serve riscrivere tutto ogni due anni. Esiste già il Piano di sviluppo turistico provinciale 2030, frutto di due anni di lavoro e condivisione. Dobbiamo semplicemente applicarlo, rispettando le linee guida già approvate. L’importante è restare in dialogo costante con la popolazione locale: il consenso è la base di ogni sviluppo.

    Quali consigli darebbe al suo successore alla guida dell’HGV?

    Primo: il turismo funziona solo con il consenso della popolazione, questo deve restare il principio guida. Secondo: bisogna continuare a rendere il nostro settore attrattivo per i giovani, anche attraverso il progetto Join Future Hospitality, che mira a presentare l’ospitalità come un ambito moderno e pieno di opportunità, anche con forme di lavoro flessibili e part-time. Terzo: mantenere un forte collegamento con gli altri settori e con la politica, a livello provinciale e nazionale. L’agricoltura, l’artigianato, il commercio: sono tutti partner naturali del turismo. E non bisogna mai dimenticare le migliaia di famiglie che stanno dietro le nostre imprese.

    Cosa serve per rendere il lavoro nel turismo più attrattivo per i giovani?

    Abbiamo già fatto passi importanti: l’anno scorso abbiamo firmato con i sindacati un contratto integrativo che prevede alcuni benefit e un aumento del 4% delle retribuzioni. Abbiamo introdotto anche il mySanitour+ per i lavoratori stagionali. Ma non basta. Il cambiamento demografico impone di essere più flessibili e moderni, anche in termini di work-life balance. Oggi i giovani chiedono di poter scegliere: lavorare sei, cinque o anche tre giorni. È un cambiamento profondo, e dobbiamo adattarci.

    In certe zone però l’accesso alla casa per i lavoratori è difficile: il costo delle abitazioni è diventato altissimo e la colpa è attribuita al turismo.

    In alcune aree è vero, ma non direi che sia colpa degli alberghi. Il problema principale è legato agli affitti turistici brevi, soprattutto tramite Airbnb. Quello ha tolto molte abitazioni dal mercato residenziale. Su questo servono regole chiare e controlli efficaci, per tutelare i residenti e garantire un equilibrio tra turismo e vita locale.