Un rumore vi seppellirà
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***1/2
Domandone sostanziale seppur retorico: quante volte succede che un prequel del franchise di turno faccia il suo dignitoso dovere? Ci siamo capiti. Per fortuna però ogni tanto Hollywood si smentisce. Come con A Quiet Place: Day One, il film di Michael Sarnoski (già autore del meritevole Pig) scritto insieme a John Krasinski, attore e regista di A Quiet Place – il primo lungometraggio della serie, dal budget modesto, che ha superato le aspettative – e A Quiet Place Part II. Il nuovo capitolo della saga riprende la stessa formula collaudata: un’invasione terrestre da parte di alieni ciechi con un acuto senso dell’udito e cattivissime maniere.
Cos’è
L’horror post-apocalittico di Sarnoski opera sia da prequel che da spin-off dei precedenti film della fortunata serie. A Quiet Place: Day One, come suggerisce il titolo, ci riporta al momento in cui tutto è iniziato, ovvero quando le creature extraterrestri arrivano sulla Terra, e ai successivi tre giorni. Lo scenario stavolta si sposta da una piccola città degli Stati Uniti alla sovrappopolata New York.
La protagonista è Samira, “Sam” (il premio Oscar Lupita Nyong’o), una donna malata di cancro a cui non resta molto da vivere, che convinta da uno dei suoi infermieri, Reuben (Alex Wolff), partecipa con il suo fido gatto Frodo a una gita di gruppo per andare a vedere uno spettacolo a Manhattan con la promessa di mangiare una fetta di pizza al ritorno. Durante lo show la città entra in stato di emergenza e prima che Sam e gli altri possano ritirarsi nella casa di cura, gli alieni piombano in strada uccidendo chiunque faccia rumore.
Mentre la situazione precipita rapidamente in una New York sotto assedio, Sam si imbatte in Eric (Joseph Quinn), uno studente di legge che decide di restare con lei, troppo spaventato per affrontare da solo la fine del mondo.
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(c) Paramount Pictures
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Com’è
In A Quiet Place: Day One la speranza di sopravvivenza non è, come da dna dei film catastrofici, il sentimento portante. Il fatto che Sam sia una malata terminale, consapevole della sua imminente fine e risoluta nel voler godere degli ultimi piccoli piaceri rimasti e dire addio a questo mondo alle sue condizioni, mette da subito il film su un binario preciso che conduce i protagonisti verso una direzione opposta rispetto a quella intrapresa dalla maggioranza delle persone che provano a salvarsi la pelle dopo l’arrivo degli E.T.
Nyong'o si carica sulle spalle il film – che diventa un’allegoria sul confronto con la morte, sull’accettazione e sul sacrificio – riuscendo a trasmettere perfettamente il conflitto interiore del suo personaggio, mentre Quinn (noto soprattutto per il ruolo di Eddie nella quarta stagione di Stranger Things) è sensibile e vulnerabile quel tanto che basta per far lavorare i nostri dotti lacrimali. E poi c’è l’altra star, il gatto Frodo a cui frega nulla degli alieni e che aiuta a mettere a segno diverse scene d’azione.
La pellicola combina abilmente momenti di terrore (l’ambientazione nella Grande Mela che non favorisce il silenzio, unico mezzo per sfuggire agli alieni, contribuisce ad alimentare la tensione) con il dramma intimo e umano di due estranei che si uniscono nella tragedia e per i quali, da spettatori, l’investimento emotivo è praticamente automatico. Sarnoski costruisce sequenze solide con un certo controllo, dipingendo come nella migliore tradizione dei film sulle apocalissi aliene una zona di guerra brulicante di mostri feroci che scavalcano e squarciano gli edifici, con una delle scene più avvincenti che si svolge nel sottosuolo di una stazione della metropolitana. Il film funziona, come funzionavano i precedenti, se si è disposti a cedere al meccanismo di sospensione dell’incredulità, oltre la trama pretestuosa, e quindi a lasciarsi intrattenere senza troppe storie. Il fatto poi che Sarnoski non cada nella trappola degli spiegoni rende l’esperienza ancora più cruda.
Come “storia secondaria” (ma anche a sé stante) A Quiet Place: Day One si difende bene, e per essere un blockbuster estivo ci è andata di lusso.
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