Chi è il mostro?
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Arriva finalmente anche alle nostre latitudini il film di Hirokazu Kore'eda presentato l’anno scorso al Festival di Cannes. Parliamo di Kaibutsu, che in giapponese significa “mostro” e che nella creativa traduzione italiana per la distribuzione è diventato L’innocenza. Ma dopo Se mi lasci ti cancello mica vogliamo ancora stupirci? Kaibutsu ha tutte le carte in regola per essere quello che farete giovedì 22 agosto, data programmata per l’uscita in sala.
Cos’è
Nel film del regista di Broker e Un Affare di Famiglia (Palma d’oro a Cannes nel 2018) si intrecciano 3 linee narrative: la prima è incentrata sulla giovane vedova Saori (Sakura Ando), il cui figlio Minato (Soya Kurokawa), alunno di quinta elementare, afferma di essere stato maltrattato dal suo insegnante, il signor Hori (Eita Nagayama).
La seconda linea ripercorre gli stessi eventi ma dal punto di vista di Hori, la terza segue Minato, si focalizza sull’amicizia fra lui e il compagno di classe Yori (Hinata Hiiragi), oggetto di bullismo, e risolve il puzzle misterioso costruito nelle due precedenti sezioni del film, ribaltando gli equivoci creati ad arte fino a qui e riflettendo sulla distorta valutazione che si fa delle persone, pronti come siamo, spesso, a giudicarle moralmente. E basta così perché tutto il resto è spoiler.
Postilla: quella di Kaibutsu è l’ultima colonna sonora curata da Ryūichi Sakamoto, scomparso a marzo 2023. A lui Kore'eda dedica il suo film.
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(c) TIFF
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Com’è
La “grande rivelazione” in apertura è che bisogna armarsi di una buona dose di pazienza per sostenere l’ora abbondante che precede l’ultima parte della pellicola in cui tutto viene svelato e acquista un senso. In avvio il film risulta spesso artificioso, caricato (sul piano della scrittura in particolare), dispersivo, con tagli continui che troncano le scene ogni volta che raggiungono il loro momento di tensione più alto – operazione necessaria per non rivelare troppo e troppo presto ma che lascia lo spettatore in uno stato di ripetuta sospensione. Il film, in sostanza, funziona più nella teoria che nell’esecuzione. Inoltre la tecnica di raccontare un’unica storia da differenti prospettive e angolazioni è per definizione manipolatoria e richiede il pegno di lasciarci deliberatamente ingannare dal regista che ci porta dove vuole prima di condurci verso la risoluzione dell’intrigo.
Detto questo Kaibutsu è un interessante studio sulla fragilità e la natura insidiosa del concetto di verità, sull’incomprensione intergenerazionale e sul prezzo del pregiudizio. La regia è lucida e le interpretazioni dei due giovani attori sono strepitose. La terza parte del racconto è quella che Kore'eda riempie di cuore, quella più diretta ed efficace del dramma, che supera la sua ostica struttura eliminando i depistaggi fino a culminare in un finale commovente, un payoff soddisfacente che tira le somme e lega tutto insieme con eleganza e delicatezza ma senza indulgere troppo nel sentimentalismo, rimanendo in equilibrio tra la leggibilità emotiva dei personaggi e la loro imperscrutabilità. La classica magia di Kore'eda.
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