Femminicidio Mocanu, confermati 24 anni
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Rimangono 24 gli anni di reclusione a cui è stato condannato Avni Mecja, carpentiere albanese di 30 anni imputato per l’omicidio della compagna Alexandra Elena Mocanu, cameriera rumena di 35 anni, uccisa a martellate la sera del 22 ottobre 2022 nel suo appartamento di Viale Trieste a Bolzano. Mecja era presente in aula oggi (25 gennaio) quando la Corte di assise d'appello del Tribunale di Bolzano, presieduta dalla Presidente Silvia Monaco, ha rigettato l’appello dell’imputato e dichiarato inammissibile l’impugnazione del pubblico ministero, confermando quindi la precedente sentenza. La Corte d’Assise di primo grado aveva condannato Mecja a 24 anni e a 320 mila euro di risarcimento nei confronti del figlio della vittima e 5 mila euro nei confronti del marito di Mocanu, padre del figlio.
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Anche in appello la pubblica accusa aveva chiesto il massimo della pena, cioè l'ergastolo, sulla base di due aggravanti: la stabile convivenza con la vittima e la precedente condanna per stalking nei confronti della compagna nel 2020, che, per l’ordinamento italiano, porta automaticamente all’ergastolo. La Corte ha operò confermato la scelta del primo grado di bilanciare le aggravanti con le attenuanti generiche valorizzando il comportamento dell’imputato successivamente al reato: la scelta di tornare in Italia dopo la fuga in Albania e la confessione. L’avvocato della difesa Massimo Dal Ben era ricorso in appello chiedendo che la pena venisse rivista in maniera migliorativa per l’imputato, con la prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti, in modo da far scendere la reclusione in carcere fino a 14 anni.
Un processo di primo grado che, secondo la Sostituta Procuratrice Generale Donatella Marchesini, era risultato in un attacco ad Alexandra Elena Mocanu, vittima due volte perché, dopo essere stata uccisa con due colpi di martello dall’imputato, “è stata sottoposta in aula ad un giudizio di colpevolezza per il suo carattere”. Marchesini ha ripercorso in aula, in quasi 4 ore di requisitoria, i comportamenti morbosi e prevaricatori dell’imputato sulla compagna, che veniva seguita, spiata e bombardata di minacce dall’uomo. Per l’accusa infatti “colui che la difesa ha dipinto come un ‘agnellino’ dal carattere remissivo” non si sarebbe minimamente pentito dell’omicidio commesso. A dimostrarlo la Procuratrice ha letto in aula una serie di dichiarazioni che l’imputato ha detto ai genitori durante la detenzione in carcere: “Lei ha avuto quello che si meritava, io ci ho provato con le buone e niente. Adesso che è morta che stia lì. Hai presente un cane quando lo colpisci in testa? L’ho colpita due volte e l’ho lasciata lì”.
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