Bolzano e la musica alternativa, ad alta fedeltà
Stasera alle 18 presso la Biblioteca civica di Bolzano sarà presentato ALTA FEDELTÀ – Sessant’anni di musica a Bolzano e dintorni, di Daniele Barina e Paolo Crazy Carnevale, edito da Edizioni alpha beta Verlag. Il volume, corredato da un cd sampler, racconta da una prospettiva inedita la prolifica scena musicale bolzanina, quella "alternativa" alla musica classica e alla Volksmusik, con aneddoti, curiosità e testimonianze dei musicisti che l'hanno animata fino ai giorni nostri - nonché i rumori fuori scena dei protagonisti che si sono cimentati con proprie produzioni originali. Oltre seicento gruppi, organizzatori di concerti e festival, tecnici e discografici, radio, negozi di dischi e strumenti musicali, discoteche, cantine, locali dove si suona dal vivo e, soprattutto, il pubblico di questi luoghi, dà la misura di quanto la musica sia stata importante per superare le ruggini postbelliche, sviluppare la pacifica convivenza e tenere questo territorio agganciato al mondo.
"Una varia umanità che ha tenuto aperte le coscienze quando tutto era chiuso e ha tenuto Bolzano connessa con il resto del mondo molto tempo prima che la politica anche solo cominciasse a pensarci"
Dai racconti emerge però anche un singolare, per quanto spesso incidentale, attaccamento di chi suona alle proprie radici, tale da impedire nella maggior parte dei casi l'affermazione al di fuori dei confini provinciali. In questo senso, la nostra è decisamente una scena ad alta fedeltà. Per offrirne un assaggio, il libro contiene un cd sampler di inediti degli anni Ottanta, con registrazioni realizzate dal vivo o in studi improvvisati, nelle condizioni spesso precarie di quel periodo.
Daniele Barina è giornalista, scrittore, programmista radiofonico, collezionista di dischi e musicista a tempo perso. Paolo Carnevale è (stato) collaboratore delle pubblicazioni Headliner, Late For The Sky, Alto Adige, Corriere dell’Alto Adige, Noise e TamTam, di Radio Tandem e della stazione Rai di Bolzano, autore di romanzi e saggi (Spolpo Files), collezionista di musica.
Preludio: Bolzano e la musica
Una città e un’arte, una forma espressiva e i luoghi che l’hanno vista crescere, forse ispirata e resa possibile, talvolta essendone a loro volta influenzati. Oppure il contrario. Una carta moschicida che ti impedisce di volare via, dove sei solo un numero, invisibile ai più come un fantasma. Forse c’è semplicemente indifferenza tra territorio e musica, un po’ come accade tra italiani e tedeschi che non si accapigliano più come un tempo, a loro modo rientrati nei ranghi stabiliti dal separatismo imposto e, forse peggio, mantenuto dalla politica. Ovviamente non stiamo parlando della musica che trova la sua massima espressione in sale da concerto dall’acustica impeccabile e si sublima in anni di monastico studio di tecniche e partiture, isolati con il proprio strumento per poter far rivivere un giorno in tutto il suo splendore la scrittura dei grandi maestri del passato. La musica classica a Bolzano è a tal punto di casa che la dimensione internazionale assunta dal fenomeno riduce quasi la città a suo contenitore accidentale, dunque poco inquadrabile da chi la pratica come un riferimento dialogico specifico. Allo stesso modo ci pareva poco pertinente con il capoluogo e la sua cintura (l’Oltradige, Merano, la Bassa Atesina, le città isarcensi) allargare la ricerca alla Volksmusik, certo feconda dal punto di vista antropologico, ma più utile a spiegare certe dinamiche sociali dell’intera provincia o regione tirolese, che non quelle dell’area metropolitana indagata in questo libro.
Altri generi musicali, quasi di nicchia rispetto ai due appena citati, sembrano paradossalmente più adatti a fotografare la realtà in evoluzione degli ultimi sessant’anni, quella che non trova spazio nella retorica a uso e consumo dei turisti, ai quali si riserva sempre una cartolina ritoccata. Riflettere sulla scena rock, pop, folk, jazz, riscoprirla tanto prolifica sul piano autorale e capace di cogliere, quando non di precorrere i mutamenti in atto, significa invece aggiungere tasselli indispensabili alla reale conoscenza di chi siamo e di dove viviamo. Appare insomma come un improcrastinabile e non edulcorato riposizionamento tra il ciò, qua i xe tuti todeschi, nota esclamazione del ministro Mariano Rumor in visita ufficiale in Alto Adige alla fine dei Sessanta, e il «siamo stati a sciare in Trentino», la descrizione oggi spesso fornita dai villeggianti rientrati a Roma dopo una settimana bianca in Val Pusteria. Lo si voglia o no, Bolzano invece è stata ed è anche quella che emerge dai racconti dei suoi musicisti alternativi. Quella degli organizzatori di concerti e festival, dei discografici, delle radio, dei negozi di dischi e di strumenti musicali, delle discoteche, delle cantine, dei bar dove si suona dal vivo e, soprattutto, del pubblico che frequenta questi luoghi. Una varia umanità che ha tenuto aperte le coscienze quando tutto era chiuso e ha tenuto questa provincia connessa con il resto del mondo molto tempo prima che la politica anche solo cominciasse a pensarci. Ogniqualvolta l’amministrazione provinciale si è dimostrata incapace di maneggiare la complessità donatale dal destino – un ecosistema meraviglioso ma delicato e un crogiolo di culture millenarie ad abitarlo – preferendo magari erigere pericolosi e anti-moderni steccati etnici o esautorando i cittadini dalle scelte di base riguardanti il futuro tessuto economico-sociale, chi ha saputo parlare una lingua che arrivasse indistintamente al cuore di tutti i figli di questa terra, per far capire loro che si poteva anche crescere insieme? Il paesaggio, qualche artista, un pugno di scrittori, ma forse più di tutto, per la sua immediatezza, proprio la musica.
Eppure anche per i migliori tra i musicisti del territorio, il successo locale è stato seguito solo in rari casi da un’affermazione più ampia, capace di travalicare i confini della regione. La scena indipendente, in effetti, vive e prospera a Bolzano da almeno vent’anni, ma chissà che il rimanere profeti solo in questa piccola patria non nasconda qualcos’altro, forse legato di nuovo al carattere più profondo della gente, forse ancora una volta ai luoghi. Scoprire cosa sia sarà complicato, «come nuotare in un fiume di lava con le mani e i piedi legati a un tronco di betulla», la stessa sensazione provata da un omino, tra l’altro con un nome d’inequivocabile origine tedesca, e anch’egli proveniente da una piccola realtà di fondovalle ai confini dell’impero, quando scrisse il successo che lo impose all’attenzione del mondo: quel Robert Zimmerman da Duluth, Minnesota, che proprio al ricordo di certe frane di montagna dedicò Like a rolling stone. D’altra parte, lo sa bene chi vive di scommesse come i musicisti, fare tredici alla schedina è difficile come fare zero.