Una Storia da raccontare
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La Guerra civile spagnola del 1936–1939 rappresentò per molti aspetti il preludio alla Seconda guerra mondiale. La possibilità dell’instaurazione di un ennesimo regime autoritario in Europa spinse decine di migliaia di volontari antifascisti di tutto il mondo a combattere a fianco della Repubblica. Fra essi furono quasi 90 quelli di origine trentina e sudtirolese che giunsero in Spagna per combattere contro il fascismo. Enzo Ianes e Lorenzo Vicentini hanno ricostruito le loro vicende politiche e personali nel volume di prossima pubblicazione “Un’alba sorgerà: Internazionalisti trentini e sudtirolesi nella guerra civile spagnola”.
SALTO: Quando e come nasce questo lavoro di ricerca e ricostruzione storica?
Lorenzo Vicentini: La ricerca ha mosso i primi passi nel 2012, con l’obiettivo di ricostruire e approfondire le vicende dei volontari trentini antifascisti in Spagna, ai quali si sono poi aggiunti quelli provenienti dal Sudtirolo. Su questo argomento esisteva un volume del 1977, opera di Renzo Francescotti, basato prevalentemente sul memoriale di un volontario trentino che aveva avuto modo di incontrare. Francescotti aveva però potuto consultare un numero limitato di fonti documentali, pertanto abbiamo ritenuto interessante riprendere quello spaccato di Storia regionale che si fonde con la Storia internazionale.
A quali fonti avete attinto per ricostruire le vicende raccontate nel volume?
Enzo Ianes: Non avendo avuto la fortuna di poter parlare con le poche persone che dopo l’esperienza internazionalista erano tornate in regione, come fece invece Francescotti, abbiamo fatto riferimento a diversi archivi: l’Archivio Centrale dello Stato, gli Archivi di Stato di Trento e Bolzano e ad altri archivi internazionali– Parigi, Vienna, Germania e Russia –, che in questi anni sono stati digitalizzati. Uno degli aspetti innovativi della nostra ricerca è proprio la sua dimensione internazionale.
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Quante biografie avete riscoperto?
E.I.: Abbiamo individuato 88 volontari, 72 trentini e 16 sudtirolesi, di cui abbiano ricostruito le biografie nel lungo periodo – dal primo al secondo dopoguerra –, così da comprendere meglio le motivazioni che li spinsero a prendere le armi. Una parte centrale dell’esperienza politica di queste persone fu l’emigrazione e, in molti casi, la loro politicizzazione avvenne proprio nei Paesi in cui erano emigrati: Francia, Belgio, Stati Uniti, Svizzera, Russia. Questo approccio ci ha permesso di restituire la complessità dell’esperienza antifascista, che nella memoria e nelle pubblicazioni è sempre ridotta agli anni 1943-1945. La nostra ricerca, in questo senso, sottolinea che ci sono state persone che hanno lottato tutta la vita, passando per vent’anni da una guerra all’altra e finendo per pagare con l’esilio, il carcere e la detenzione nei lager.
L.V.: Lavorando su questo tema, inoltre, ci è apparso chiaramente come l’organizzazione del Partito o dell’Internazionale Comunista dovesse essere separata dal singolo volontario. Ogni persona, infatti, era portatrice di tensioni, ideali e aspirazioni proprie che a volte si discostavano da quelle del partito. Questo è importante, perché smentisce il ritratto che la storiografia neo-franchista fece dei volontari delle Brigate Internazionali, ovvero meri mercenari di Stalin in terra spagnola.
“La partenza dei volontari regionali va inserita in un più ampio fenomeno di solidarietà internazionale.”
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Posto che le esperienze e le motivazioni individuali furono diverse da persona a persona, si possono tratteggiare degli aspetti comuni che caratterizzarono la loro scelta?
E.I.: Sì, alcuni militanti avevano un’esperienza politica e una politicizzazione di lungo corso che risaliva al primo dopoguerra. Sono persone, quindi, che giunsero in Spagna con le idee molto chiare e una certa “solidità” politica. La scelta di altri di loro, invece, fu favorita anche da una certa precarietà esistenziale fatta, tra le altre cose, di disoccupazione e difficoltà a ottenere i documenti nello Stato di emigrazione.
L.V.: La politicizzazione di molti volontari avvenne all’estero, ma la loro partenza è da inserire in un più ampio fenomeno di solidarietà internazionale. Le Brigate Internazionali erano composte da persone provenienti da più di 50 nazioni. Nel volontariato in armi trentino e sudtirolese, poi, va sottolineata la differenza tra primo e secondo volontariato. Il primo si caratterizzò sì per la volontà di difendere la Repubblica, ma fu mosso anche da aspirazioni di tipo rivoluzionario, volte a dare vita a un sistema e a una società diversa. Il secondo, invece, faceva riferimento soprattutto alle Brigate Internazionali, formazioni combattenti che dal momento della loro costituzione, a livello organizzativo, erano già inserite nella ricostituzione dell’Esercito popolare della Repubblica.
In quali formazioni furono impiegati sul campo?
L.V.: Nell’agosto del 1936 una buona parte dei volontari regionali aderì alla sezione italiana della Colonna Ascaso, una milizia voluta da anarchici e giellisti provenienti dalla Francia. Successivamente il maggior numero dei volontari approdò alle Brigate Internazionali: i trentini di lingua italiana prevalentemente nella Garibaldi, i sudtirolesi di lingua tedesca soprattutto nell’XI.
Tra le tante biografie ricostruite, quale vi è particolarmente cara?
E.I.: Abbiamo incrociato ottantotto vite, a modo loro tutte “da romanzo”. Sono biografie che attraversano la parte più tempestosa del Novecento, sballottate da una guerra e da un internamento all’altro. Sceglierne una è difficile, ma se proprio devo credo che la figura di Johann Wielander sia tra le più interessanti. Wielander, un volontario sudtirolese di madrelingua tedesca, partì da Castelbello, in Val Venosta, per non essere arruolato nell’esercito italiano nella guerra in Etiopia. Riparò in Austria, dove si avvicinò al Partito Comunista, e poi in Germania. In Spagna arrivò a 27 anni e da lì scrisse delle lettere che ancora oggi colpiscono molto. Nelle sue corrispondenze descriveva Hitler come un nemico del popolo, a differenza di molti sudtirolesi del tempo, che invece in lui vedevano un possibile liberatore. Alla madre scrisse “immagina la città di Merano bombardata e distrutta dalle bombe degli aeroplani fascisti”. Quella di Wielander, quindi, è una vicenda importante anche a livello locale, perché mostra l’esperienza di una persona di madrelingua tedesca che non reagì al fascismo italiano radicalizzandosi in senso nazionalista, ma in senso internazionalista.
L.V.: A me hanno colpito alcuni personaggi che fanno parte del primo volontariato. Dovendo sceglierne uno, resto anche io in Alto Adige. Johann Illmer fu un volontario di Merano, dal percorso piuttosto singolare. Al termine della Prima guerra mondiale non aveva alcun legame con il Movimento dei lavoratori, né con quello antifascista, anzi, si arruolò con i carabinieri e prestò servizio in Italia. Rientrò poi a Merano, negli ultimi anni di servizio venne indicato come “non più affidabile”, probabilmente per la sua vicinanza al mondo di lingua tedesca. Espatriò e tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta del Novecento, dopo aver girato per l’Europa, si stabilì a Barcellona. Non arrivò in Spagna, quindi, dopo il tentato golpe ma fu testimone diretto di quegli eventi. È probabile che una volta in Spagna si avvicinò al Movimento dei lavoratori e dopo il tentato golpe dei generali si arruolò in una colonna miliziana. In Spagna, inoltre, si sposò e probabilmente ebbe una figlia. Dopo la sconfitta riparò a Parigi, poi di lui si perdono le tracce.
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L'appuntamento
Il volume, pubblicato dalla Fondazione Museo storico del Trentino, verrà presentato martedì 26 novembre alle ore 17:30 presso la Biblioteca Provinciale “Claudia Augusta”. Gli autori Enzo Ianes e Lorenzo Vicentini dialogheranno con lo storico Joachim Gatterer, con la moderazione di Michaela Oberhuber.
La presentazione è aperta a tutti gli interessati, l’ingresso è libero.
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Cosa accadde agli Internazionalisti al termine della guerra civile?
E.I.: Già durante la guerra civile numerosi volontari internazionali vennero internati nei lager franchisti. Tra loro, per esempio Ferdinand Röggla, un volontario di Caldaro. Nel 1939, poi, a seguito della sconfitta degli antifascisti repubblicani, la maggior di loro fuggì verso la Francia, per finire internata nei campi di concentramento allestiti dalle autorità francesi. Il clima era mutato del tutto rispetto a tre anni prima, la solidarietà con la Repubblica che si respirava nei primi mesi del 1936 era svanita e i reduci della guerra civile furono bollati come pericolosi sovversivi da controllare e internare. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale i loro destini presero poi vie diverse: alcuni si arruolarono nella Legione straniera per combattere il fascismo, altri furono costretti al domicilio coatto, altri ancora al confino e alcuni, dopo l’8 settembre 1943, furono deportati nei lager tedeschi. Inoltre, ci furono anche volontari che parteciparono alla Resistenza in Italia, in Francia e in Belgio. Nel Secondo dopoguerra, invece, complice la Guerra fredda, l’anticomunismo imperante rese difficile la vita di chi per anni si era speso contro il fascismo. Ci sono casi emblematici in tal senso, uno di questi fu quello di Giuseppe Bettini, originario di Mezzolombardo, che dopo la guerra civile in Spagna riparò in Belgio. Lì partecipò alla Resistenza – per la quale ricevette una medaglia d’oro –, ma nel 1951 fu espulso dal Paese perché comunista.
“Il volontariato ha rappresentato un primo passo per l’antifascismo in Europa.”
L.V.: Il filone di ricerca storiografica sulle vite degli italiani che combatterono nelle Resistenze jugoslava, francese e belga, solo per citarne alcune, è stato trascurato per lungo tempo. Solo nell’ultimo decennio si sta assistendo a un recupero di quella che è stata la partecipazione – e il contributo – italiana alle resistenze europee.
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È possibile trovare dei riflessi dell’esperienza dei volontari internazionalisti nel mondo di oggi?
E.I.: Certo, ci sono numerosi esempi di volontari europei che in tempi recenti hanno scelto di prendere le armi per andare a combattere per una causa in un altro Paese. L’esperienza più nota degli ultimi anni è quella del Rojava, dove battaglioni internazionalisti ispirati all’esperienza delle Brigate Internazionali combattono per gli stessi ideali che animavano chi andò a combattere in Spagna nel 1936: antifascismo, internazionalismo, democrazia reale, socialismo.
L.V.: Se ci si sofferma solo sull’aspetto del volontariato in armi e lo si considera al di là dell’ideale che spinge le persone a prendere le armi, c’è stata la riemersione di questi fenomeni. Pensiamo all’Ucraina e prima ancora al Donbass. Su questo tema bisogna sottolineare, però, come l’opinione pubblica abbia giudizi diversi. Basti pensare a come una certa fetta di pubblico abbia giudicato favorevolmente l’arruolamento di volontari per l’Ucraina, mentre il ritorno in Italia di chi è andato a combattere nel Rojava non è stato proprio semplice, anche se le motivazioni di chi ha compiuto questa scelta si avvicinano a quelle di chi combatté in Spagna tra il 1936 e il 1939.
Quale aspetto più sottile della vostra ricerca sperate possa emergere leggendo il libro?
E.I.: Credo sia importante evidenziare che le persone di cui parliamo nel libro furono persone provenienti dalla classe lavoratrice, che il loro percorso politico e di vita portò a prendere questa decisione. Sono persone che non ebbero un riconoscimento pubblico per le scelte fatte e le sofferenze subite. Quello che ci ha spinto a ricostruire le loro vite è stata proprio la possibilità di dare un riconoscimento a questi lavoratori che hanno dato la vita per un ideale e di sottolineare che la Storia è stata fatta da persone in carne e ossa, che si sono mosse dal basso in un moto internazionale a difesa delle idee di libertà e giustizia, pagando un prezzo altissimo.
L.V.: Per i volontari trentini di lingua italiana e quelli sudtirolesi di lingua tedesca l’esperienza spagnola ha rappresentato un momento di incontro in una terra “altra”, dove, superando le barriere culturali, linguistiche e politiche dettate dal nazionalismo, unirono le forze per combattere il nazifascismo in nome dell’internazionalismo. Ci tengo poi a sottolineare che ogni biografia che ripercorriamo fa emergere sia la parte “eroica” dei volontari, sia il loro lato umano, le contraddizioni e la paura provata di fronte alla guerra. Tutti questi aspetti non scalfiscono un elemento determinante e comune a tutte le esperienze che abbiamo ricostruito nel libro: a un certo punto della loro vita queste persone hanno fatto una scelta di campo, hanno attraversato i Pirenei per combattere contro l’instaurazione dell’ennesimo regime nazifascista in Europa. Quanti sarebbero disposti a farlo oggi?
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Gli autori
Enzo Ianes lavora come educatore per persone con disabilità. Laureato in Sociologia e Scienze pedagogiche con tesi di carattere storico, la passione per la Storia contemporanea lo ha portato ad approfondire, soprattutto in chiave regionale, i temi dell'antifascismo, emigrazione politica e volontariato in armi, su cui ha scritto alcuni saggi pubblicati su Storia e Regione/Geschichte und Region e Archivio Trentino. Collabora con la Fondazione Museo Storico del Trentino e, dal 2017, con Radio Tandem, emittente libera di Bolzano.
Lorenzo Vicentini è laureato in studi storici e filologici-letterari e lavora in ambito educativo. Si è occupato dell’archivio del socialista libertario roveretano Emilio Strafellini ed è autore di alcuni saggi sui temi dell’antifascismo, dell’emigrazione politica e del volontariato in armi, comparsi su Storia e Regione/Geschichte und Region e Archivio Trentino. Ha collaborato alla realizzazione degli spettacoli teatrali Boxeur e Mi chiamavano Tina: sulle tracce di una rivoluzionria antifascista.
Sempre interessante scoprire…
Sempre interessante scoprire questa vicende di persone che, a prescindere dalla nazionalità, si sono impegnate in in vicende all'apparenza così lontane dai loro interessi.