TFR: no all’obbligo del versamento
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La proposta, mira a rafforzare le future pensioni dei giovani, cercando di rispondere a problemi come carriere discontinue, buchi contributivi e pensionamenti tardivi.
L’idea è di accantonare al fondo integrativo una parte del TFR, che i lavoratori maturano mensilmente, con i contributi versati. Tuttavia, l’obbligo di aderire ai fondi pensione, anche solo in parte, ha sollevato critiche sia all’interno del governo sia tra i sindacati. -
Critiche e perplessità
Il TFR rappresenta una parte della retribuzione, il cui pagamento viene differito alla fine delcontratto, ed è destinato a essere accantonato presso l’INPS, in azienda o su un fondo pensione, a scelta del lavoratore.
Imporre per legge una destinazione specifica del TFR infrangerebbe questa libera scelta, una mossa vista con scetticismo dai giuristi, che considerano impraticabile vincolare per legge una parte dello stipendio. Anche i sindacati, si oppongono alla proposta, perché questa misura non è stata discussa con le parti sociali e non risolverebbe il problema più ampio delle pensioni per le giovani generazioni. La Cgil, insieme a Cisl e Uil, promuove l’investimento nella previdenza complementare, ma ribadisce che questa non può essere la soluzione definitiva, in particolare per chi ha carriere lavorative discontinue. -
Un quadro preoccupante
La precarietà lavorativa e i buchi contributivi sono una realtà sempre più diffusa, specialmente per chi ha iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995. Molti giovani rischiano di andare in pensione dopo i 70 anni con assegni bassissimi e non potendo più usufruire della pensione minima che oggi è di € 598,61 che non è più garantita per le pensioni contributive.
In Italia, oltre 4 milioni di lavoratori hanno contratti part-time, pari al 18% del totale degli occupati. Di questi, il 56% lavora part-time involontariamente, non riuscendo a trovare alternative a tempo pieno. Il fenomeno colpisce soprattutto i giovani, le professioni meno qualificate e i lavoratori del Mezzogiorno. Le donne sono particolarmente svantaggiate, rappresentando i tre quarti del totale dei contratti part-time involontari.
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Le risposte del governo e le proposte alternative
Finora, le misure introdotte dal governo per proteggere i lavoratori più vulnerabili non hanno prodotto risultati soddisfacenti. L’ultima manovra ha complicato ulteriormente la possibilità di accedere a una pensione anticipata, per i lavoratori giovani e meno giovani, che hanno iniziato a versare i contributi dal 1996, perché si potrà accedere alla pensione a condizione che l’importo della pensione sia da 1,5 volte a 2,8 volte l’assegno sociale.
Come alternativa, la Cgil propone l’introduzione di una pensione contributiva di garanzia, applicabile a chi ha iniziato a versare i contributi dal 1996. Questo sistema combinerebbe anzianità contributiva ed età di uscita per garantire un trattamento minimo. Inoltre, la pensione di garanzia crescerebbe con la contribuzione e l’età, incentivando sia il versamento dei contributi sia il posticipo del pensionamento. Tra i periodi da valorizzare rientrerebbero disoccupazione, tempo di cura familiare, formazione, studi universitari, tirocini, maternità, e part-time. In questo modo, viene attribuito un valore pensionistico anche ai periodi in cui non è stato possibile contribuire al sistema previdenziale.
Lo scopo è garantire una vecchiaia dignitosa a tutti i lavoratori, specialmente a quelli che hanno lavorato in modo discontinuo o con bassi salari.
Questo strumento è particolarmente rilevante per le nuove generazioni, che affrontano un mercato del lavoro più instabile rispetto al passato. Certo, una riforma di questo tipo richiede un attento bilanciamento tra equità sociale e stabilità delle finanze pubbliche. Il dibattito rimane aperto, con un’attenzione particolare alle possibili ripercussioni sulle giovani generazioni e sulle fasce più vulnerabili della popolazione lavorativa.
Testo a cura di Adriano Baldessari