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Morire di non accoglienza

Un giovane curdo, malato di distrofia muscolare, è deceduto sabato a Bolzano: alla famiglia era stata negata l'ospitalità nelle strutture di accoglienza cittadine.
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Foto: Foto gadilu

A Bolzano è possibile morire di non accoglienza. La storia che raccontiamo, scarnificata, si riduce a questa terribile verità. Protagonista un minore curdo di 13 anni – che indichiamo solo con l'iniziale del nome, A. – giunto da pochi giorni a Bolzano assieme alla famiglia dalla Svezia. Dopo circa due anni di attesa la loro domanda di asilo aveva avuto risposta negativa. Esito non previsto, perché A. versava in condizioni di estrema necessità, essendo provvisto di una diagnosi di distrofia muscolare. Ciò nonostante, la legislazione del paese scandinavo ha obbligato tutta la famiglia a mettersi di nuovo in viaggio, imponendole il ritorno verso il luogo d'origine (Kirkuk, a 250 km da Baghdad).

L'arrivo a Bolzano avviene il primo di ottobre. Il Servizio d'Integrazione Sociale esamina il caso ma non ritiene che ci siano le condizioni per ospitare queste persone nelle strutture adibite all'accoglienza, che quindi chiudono tutte la porta. Ad impedire che si presti immediato soccorso c'è la cosiddetta “circolare Critelli”, secondo la quale la Provincia ha stabilito l'impossibilità di ricoverare chi arrivi sul territorio per chiedere asilo senza essere inviato direttamente dal Ministero. Un ostacolo contro il quale non finiscono per andare a sbattere soltanto adulti sbandati, ma in alcuni casi anche i minori. Minori che, essendo soggetti vulnerabili, dovrebbero invece essere accuditi in ottemperanza alla normativa nazionale ed europea.

La famiglia di A. è composta da sei persone (oltre ai genitori e il ragazzo, anche tre fratelli più piccoli). La prima “sistemazione” che trovano è sotto un ponte. Poi scatta la rudimentale rete di solidarietà offerta dalle associazioni di volontari che continuano con ostinazione ad occuparsi di casi del genere. SOS Bozen fa da mediatore. Date le condizioni di salute del ragazzo, viene tentato almeno per lui un ricovero in Ospedale, nel reparto di Pediatria. Dopo aver passato una notte nel nosocomio cittadino, però, il primario dispone la dimissione dalla struttura. Ciò significa di nuovo finire per strada, in attesa che giunga la carità di qualcuno (la Chiesa Evangelica, come fa spesso, mette a disposizione una stanza). Venerdì la famiglia si reca in Questura per attivare i passi burocratici necessari all'identificazione e alla richiesta di protezione internazionale. All'uscita accade però un tragico incidente. A., non potendo camminare, è spinto dal padre su una carrozzina. Una barriera architettonica – non lontano da Ponte Loreto – la fa ribaltare e il ragazzo cade, fratturandosi le gambe. Si corre nuovamente in ospedale, dove il giovane è ricoverato in Ortopedia. Le sue condizioni però si aggravano rapidamente in seguito a una sopraggiunta, o già latente, infezione. Sabato, alle due di notte, A. muore. Oggi (lunedì) verrà effettuata l'autopsia. La famiglia – che per adesso ha trovato ospitalità da alcuni connazionali – avrebbe fatto richiesta di sepoltura nella nostra città.

La storia di A. può essere vista come un'eccezione, ma la situazione generale resta molto grave. Attualmente a Bolzano ci sono più di 200 persone che non hanno neppure un riparo per la notte. Una cifra che peraltro è costante da mesi. Tra di loro, come visto, anche richiedenti asilo provenienti da altri paesi, i quali, una volta respinti, si trovano a transitare di qui. Una famiglia della Sierra Leone, ad esempio, si trova per strada con un bambino di due mesi affetto da pertosse. Situazione insostenibile, per la quale occorrerebbe un impegno immediato al di là delle strettoie normative che, come nel caso di A., alla fine possono disgraziatamente trasformarsi in vere e proprie sentenze di morte.