Culture | SALTO WEEKEND

Imparare a raccontare

Quali sono gli ingredienti per scrivere un buon racconto o un buon reportage? Dal 5 dicembre, a Merano e Bolzano, un corso (gratuito) cercherà di insegnarlo.
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Foto: Salto.bz

Raccontare è apparentemente un'attività alla portata di chiunque, qualcosa che si fa o che viene fatto continuamente, tanto che parrebbe inutile dedicargli un'attenzione specifica, per di più rivolta alla costruzione di un corso con tanto di docenti e allievi. Di diverso avviso, fortunatamente, gli organizzatori di un progetto - finanziato e sostenuto dal Servizio Giovani della Provincia Autonoma di Bolzano, da Arciragazzi Bolzano e con la partnership del quotidiano “Alto Adige” – che si propone invece in modo esplicito di insegnare le tecniche del racconto (sia di finzione che d'impianto giornalistico) e, soprattutto, suggerire come valorizzarle per ottenere un soddisfacente risultato finale, ovvero la pubblicazione di ciò che si è scritto.

 

Ecco l'incipito del depliant illustrativo: “Viviamo in un tempo di abbondanza di storie, alcune incredibilmente ben fatte, la maggioranza delle quali invece frammentarie, immediate, scandalistiche, seduttive o emozionali in senso spesso deleterio. Mai le storie, che pure non sono mai mancate, sono state così onnipresenti nella vita dell’uomo come oggi, e mai hanno generato un simile rumore di fondo. Appropriarsi dei meccanismi del racconto in quest’epoca non è solo un importante strumento di lavoro, ma un potente mezzo per interrogare se stessi e il mondo che ci circonda. Raccontare è un percorso formativo che vuole far esplorare a un gruppo di giovani altoatesini le più importanti forme di narrazione. Raccontare vuole proporre lo studio degli archetipi e lo sviluppo degli strumenti narrativi necessari a fare del raccontare un mestiere”.

 

Tutte le informazioni relative a chi può partecipare, a come ci si può iscrivere (con la relativa scadenza), al calendario delle lezioni (che si terranno a Merano, a partire dal 5 dicembre) e agli ospiti che, in una breve serie di incontri aperti anche al pubblico (in questo caso a Bolzano), arricchiranno l'offerta formativa, le potete trovare a questo link. Noi abbiamo intervistato uno dei “registi”, nonché docente del progetto, lo scrittore bolzanino Daniele Rielli (qui una sua breva scheda biografica), per farci spiegare più in profondità il senso dell'intera operazione.

 

Salto.bz. Quando e come è nato il progetto “Raccontare”?
Daniele Rielli. Il progetto è nato dopo una lezione che ho tenuto per “the next you” lo scorso inverno, quell’incontro ha avuto un discreto successo e da lì, con Alessandro Huber e Arci Ragazzi, abbiamo pensato a un progetto interamente dedicato alla narrazione, riuscendo poi a metterlo in piedi con l'aiuto della Provincia di Bolzano. 

 

Quali sono i criteri utilizzati per selezionare le persone che vi parteciperanno e quali tipologie di scrittura verranno prese in considerazione?
Offriremo a 12 ragazzi dai 17 a 35 anni residenti in provincia di Bolzano un percorso formativo totalmente gratuito – e chi ha presente un po’ il panorama di questo genere di corsi sa quanto normalmente siano costosi. Gli aspiranti partecipanti possono candidarsi scrivendo un testo di media lunghezza (diecimila battute, spazi inclusi), che potrà essere un racconto breve o un reportage, in entrambi i casi su un tema a scelta. Le due categorie rispecchiano le direzioni che vogliamo dare al corso: fiction e non fiction. Chiediamo anche una breve lettera motivazionale, di circa 2400 battute, per conoscere un po’ meglio il candidato.

 

Che cosa distingue il progetto “Raccontare" dai vari corsi di "scrittura creativa" che si conoscono?
Personalmente credo che corsi di questo tipo possano fornire due cose: degli strumenti tecnico-teorici e dall’altra preziosi insights su come si coltiva nella pratica la professione dello scrittore.  Quale sia il più importante dei due aspetti dipende in primis dalla persona che riceve l’insegnamento. Conosco persone estremamente dotate artisticamente che però faticano a comunicare agli altri il loro lavoro e altre che sono invece dei veri e propri mostri di pubbliche relazioni e di astuzia professionale, spesso però sono molto poco solidi creativamente. La mia simpatia va decisamente alla prima di queste due categorie, ma essendo quello dello scrivere un mestiere è essenziale cercare un bilanciamento fra entrambi gli aspetti. Anche per questo abbiamo previsto una serie di incontri (aperti anche alla cittadinanza)  con degli ospiti da tutta Italia che parleranno di vari aspetti della scrittura dal punto di vista professionale. Questo è un taglio a cui tengo molto anche perché quando giro per l’Italia per presentare i miei libri o per delle conferenze, ci sono spesso molti giovani che vorrebbero intraprendere questa strada ma non hanno idea dei passi pratici da compiere, il più delle volte hanno anche persino perso l’abitudine a chiedere un compenso per il loro lavoro,  complice anche l’idea molto italiana che queste cose si facciano nel nome “dell’ispirazione” o “della santità dell’arte” e si possa vivere tranquillamente di aria, una dieta che io personalmente ritengo decisamente poco nutriente, anche perché poi di fatto avvantaggia sempre chi è più ricco degli altri già in partenza.

 

Quali sono le linee guida teoriche che orienteranno il corso?
Per quanto riguarda l’aspetto teorico posso solo dire che ogni tecnica vada usata con molto giudizio, perché non esistono regole certe quando si parla di scrittura.  Ci sono piuttosto strategie ed esempi da studiare a fondo, introiettare e poi possibilmente dimenticare, un po’ come le mosse di uno sportivo professionista che sono apprese ad un livello tale da diventare quasi istintuali. Non bisogna mai dimenticare, a mio avviso, che la migliore formazione possibile è quella che ci fornisce la lettura dei classici della letteratura. È molto importante capire che per scrivere prima bisogna leggere almeno un po’,  ed è a quel punto che un percorso come quello di Raccontare può dare molto a chi lo intraprende. 

 

Quali prospettive concrete avranno i partecipanti dopo aver finito il corso?
Su questo aspetto non facendo pagare i partecipanti possiamo permetterci il lusso un po’ demodé di essere onesti: io sarei molto soddisfatto se da 12 persone, una o due diventassero negli anni con molto lavoro e un po’ di fortuna degli autori professionisti (inteso  in senso ampio, cioè scrittori, sceneggiatori, giornalisti, autori televisivi). Spero siano di più naturalmente ma questo sarebbe già un grande risultato. Per tutti gli altri credo che l’esperienza potrà essere ugualmente preziosa, perché entrare nei meccanismi della narrazione, sviluppare una sensibilità letteraria, aiuta enormemente in tutti i campi della vita dove ci si trova a prendere decisioni riguardo problemi complessi. La letteratura, e in modo diverso il giornalismo di qualità, sono entrambe forme di studio dell’essere umano, conoscenze che se portate ad un certo livello generano sempre un ritorno sia umano che economico.

 

Chi saranno gli ospiti chiamati ad arricchire il programma didattico negli incontri pubblici?
Negli incontri pubblici avremo il dantista Claudio Giunta, penna ironica e brillante del Sole 24 ore e di Internazionale, critico puntale e spietato delle non-lingue ministeriali e dei tentativi di ingessare l’istruzione italiana dentro formati superati dal tempo. Il giovane (28 anni) stand up comedian e autore televisivo (“Quelli che il calcio”, Rai due) Luca Ravenna, con il quale parleremo di scrittura comica e televisiva. L’editor e traduttore della casa editrice Adelphi Matteo Codignola, con cui parleremo di editoria libraria. Infine l’attore a tutto tondo (cinema, tv, teatro) Francesco Montanari, che ha interpretato un’infinità di ruoli ma è diventato famoso al grande pubblico come il Libanese nella serie Sky “Romanzo Criminale”, lui ci parlerà del rapporto attori-autori.

 

Quali sono i modelli ai quali gli aspiranti scrittori dovrebbero ispirarsi, o che comunque lei consiglierebbe per cominciare a orientarsi sul tema del reportage provvisto di spessore letterario?
In tema di reportage narrativi oggi come oggi c’è solo l’imbarazzo della scelta. Si tratta di un genere che in molti paesi ha raggiunto un potenziale commerciale molto simile a quello dei romanzi, purtroppo però non in Italia, Paese peraltro non privo di una importante tradizione ma dove oggi il più delle volte non esiste neppure uno spazio specifico in libreria. Una situazione che ha fatto in modo che i due lavori più rilevanti pubblicati da dei giornali in Italia nel 2016 siano stati entrambi stranieri: A Calais di Emmanuel Carrère sul “Corriere della Sera” e il lavoro sull’Isis del NYT Magazine pubblicato da Repubblica. Il motivo per cui non si producono di queste cose nel nostro Paese è più banale di quanto si possa pensare: costano e non è ancora passata l’idea che avendo i lettori a disposizione  gratis online qualsiasi forma di prodotto a basso costo, l’unica speranza di continuare a vendere dei giornali sia riempirli di prodotti premium. Personalmente io leggo di tutto ma non mi ispiro nello specifico a nessuno, cercando di sviluppare una cifra mia. Proprio come nei romanzi anche nei reportage gli stili sono infatti quasi infiniti, penso ad esempio a J.J. Sullivan, William Langewiesche, Dexter Filkins, Clay Shirky o appunto Carrère, solo per nominarne alcuni, o, volendo tornare indietro nel tempo, all’insuperabile esempio di eleganza rappresentato da quelli di Goffredo Parise. Non sono invece un fan di Foster Wallace, anche se riconosco che la sua non-fiction è sensibilmente meglio della fiction. Ad ogni modo ci sono riviste come il New Yorker che producono storie di giornalismo long-form standardizzate per quanto riguarda lo stile, ma di estrema qualità giornalistica, e questo con cadenza settimanale. Personalmente sono appassionato di non-fiction intesa in generale: saggi scientifici soprattutto, ma anche memoir, l’ultimo che ho letto è un racconto di un ex product manager di Facebook, “Chaos Monkeys” di Antonio Garcia Martinez, che vale da solo come diversi reportage sulla Silicon valley.

 

Un reportage viene letto o ha maggiore impatto su carta, oppure anche qui bisogna chiamare in causa la pervasività del web?
A essere del tutto sinceri è difficile dirlo, perché c’è un sistema di feedback diverso. Mi spiego meglio: nel nostro Paese c’è una cesura abbastanza brutale del pubblico: chi legge la carta, a parte determinate eccezioni, legge poco l’online e viceversa. Questo significa che chi legge l’online è in genere una persona che sa usare anche altri mezzi come i social o le email. Questo fa sì che un pezzo con un certo numero di lettori generi per l’autore tutta una serie di feedback che non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelli che si hanno scrivendo su carta, anche su testata ad ampissima diffusione, dove questa possibilità del lettore di comunicare con l’autore è molto meno agevole e immediata. Fatta questa specificazione diciamo metodologica, mi sembra chiaro che oggi, al di fuori di certi circoli, il web abbia  comunque un’influenza decisamente maggiore. Io però rimango molto affezionato alla carta, che per certi tipi di prodotto rimane, credo, ancora imbattibile.