“Donare aumenta il senso di comunità”
Quando si parla di donazione di midollo osseo ci si imbatte spesso in miti e false credenze. L’errata convinzione che aleggia intorno alle procedure di prelievo, ne rende particolarmente difficile la sua diffusione. Il registro donatori in Italia risulta infatti assai sguarnito, con appena 466.056 persone iscritte contro i 2,9 milioni di donatori di sangue, per fare un paragone. Eppure, si tratta di trattamenti veloci e non invasivi, con tempi di recupero molto rapidi. Aumentare la consapevolezza può aiutare non solo i malati affetti di patologie del sangue particolarmente gravi, ma l’intero sistema sanitario che potrebbe contare su una maggiore autosufficienza. Emanuela Imprescia, Presidente di ADMO Alto Adige, l'Associazione Donatori di Midollo Osseo che oggi, 14 dicembre, festeggia il suo centesimo e centunesimo trapianto, ne racconta le procedure e i falsi miti che riguardano, suo malgrado, un gesto così piccolo ma fondamentale, in grado di salvare numerose vite che, altrimenti, non avrebbero via d'uscita.
Salto.bz: Presidente Imprescia, ci ricorda di che cosa si occupa principalmente l'Associazione Donatori di Midollo Osseo?
Emanuela Imprescia: ADMO è un’associazione che si occupa di sensibilizzare, informare e raccogliere adesioni sulla donazione di midollo osseo. Conta diverse sedi in tutta Italia e una anche qui a Bolzano. La sezione altoatesina è particolarmente attiva: con un registro provinciale che vede 8012 membri, siamo arrivati nel 2021 alla centunesima donazione, un importante traguardo a 30 anni dalla fondazione.
Come si è avvicinata a questo tema e cosa l’ha spinta a collaborare con ADMO?
Ho conosciuto ADMO nel momento più complicato, quando all’età di 4 anni mio figlio si è ammalato di leucemia e ha vissuto l’esperienza dell’ospedale pediatrico. In quei frangenti ho condiviso l’emergenza con altri genitori, medici e infermieri e ho capito che le scuse che ci diamo, e che io stessa mi davo, per rimandare l’adesione alla donazione fossero ridicole. Provengo da una famiglia di donatori di sangue e non ero insensibile al tema, ma affrontare la malattia ha cambiato completamente la mia prospettiva e in quei giorni difficili ho deciso di iscrivermi al registro dei donatori. Spero che nessuno sia costretto ad incontrare l’associazione in un momento così drammatico, ma questo mi ha spinto a riflettere su come spesso rimandiamo scelte importanti perché presi dalla nostra routine, senza considerare quanto fondamentale sia la nostra azione per la quotidianità di persone affette da gravi patologie. Ho deciso di donare sapendo però che difficilmente sarei stata chiamata, è infatti molto raro che si verifichi una compatibilità tra donatore e ricevente; invece, circa 6 mesi dopo la mia iscrizione, sono stata contatta perché avevano trovato una corrispondenza.
Decidere di donare per una persona cara sembra quasi scontato, ma farlo per uno sconosciuto rappresenta un’esperienza enorme: sapere di poter cambiare la vita a qualcuno che non si conoscerà mai diventa uno strumento di compassione e responsabilità collettiva molto potente
Anche suo figlio ha beneficiato di un trapianto?
Dopo un’iniziale guarigione, all'età di 10 anni c’è stata una ricaduta e le cure non sono state più sufficienti. Il trapianto rappresenta l’ultima fase di un trattamento molto lungo, che nei bambini dura circa due anni. In famiglia ci siamo tutti sottoposti agli esami, ma nessuno di noi aveva la compatibilità necessaria. Nell’angoscia abbiamo finalmente trovato una donatrice tedesca, che ha permesso a mio figlio di tornare ad un’esistenza normale. Non conosco questa donna, perché la donazione rimane sempre anonima, ma provo un’enorme gratitudine nei suoi confronti. Decidere di donare per una persona cara sembra quasi scontato, ma farlo per uno sconosciuto rappresenta un’esperienza enorme: sapere di poter cambiare la vita a qualcuno che non si conoscerà mai diventa uno strumento di compassione e responsabilità collettiva molto potente. Quando parlo di ADMO dico sempre che noi non stiamo affrontando un discorso sanitario, ma di educazione civica: cerchiamo infatti d’instillare la consapevolezza delle nostre azioni nella società e di promuovere il senso di comunità che ci lega.
Quali sono le procedure che si devono affrontare, che lei stessa ha dovuto affrontare, per diventare donatore?
Ci si iscrive attraverso i nostri canali, ora è possibile farlo anche online tramite il nostro sito, e si sceglie in quale centro sanitario deve avvenire il primo controllo. Poco dopo infatti si viene ricontattati per procedere con un prelievo di sangue e un colloquio con un medico. Se si risulta idonei si viene iscritti in un registro provinciale collegato al registro nazionale, che ha sede a Genova. A loro volta i dati nazionali sono collegati ai database mondiali, che raccolgono tutti i donatori di midollo osseo, appena 36 milioni in tutto il pianeta.
Come procede poi il percorso?
Occorre ribadire come l’iscrizione nel registro dei donatori non comporti un automatismo alla donazione, in quanto è particolarmente raro trovare una compatibilità, le probabilità sono soltanto 1 su 100.000. Se si viene selezionati, solo allora, si fanno ulteriori accertamenti e, se idonei, si procede con la donazione. Il tutto è gratuito e non comporta il dover trascorrere giorni o settimane di ricovero in ospedale, come erroneamente si è portati a pensare. Per quanto il trapianto, si deve tenere conto delle esigenze del donatore e del ricevente: il paziente che deve essere sottoposto al trapianto deve infatti essere preparato. Secondo i medici, le condizioni migliori si verificano alla fine di una chemioterapia radicale perché permette al midollo ricevuto di attecchire più in profondità, riducendo le possibilità di rigetto. I percorsi di entrambi procedono quindi in parallelo, e se ci dovessero essere complicazioni si ferma il processo, come ho potuto constatare io stessa.
Ci sono state degli inconvenienti che hanno messo a rischio la sua donazione? È stata costretta a modificare il percorso?
Ad oggi esistono due metodi di donazione. Una, molto poco invasiva, è molto simile alla donazione di piastrine quando si dona il sangue. Si viene collegati ad un macchinario, una specie di centrifuga, che separa le parti del sangue e preleva solo le cellule necessarie, per poi reimmettere la restante parte in circolo nel nostro sistema sanguigno. Questa procedura, chiamata donazione da sangue periferico, è estremamente poco invasiva per il donatore e richiede qualche ora, insieme all’assunzione, nei 4 giorni precedenti, di un farmaco che aumenti la produzione di cellule ematopoietiche. Si tratta di cellule staminali, non totipotenti come quelle embrionali (cellule cioè adatte a diventare qualsiasi tessuto), ma già orientate alla produzione di sangue; il nostro corpo le produce autonomamente ma lo stimolante ne aumenta la produzione in modo da permetterne una maggiore raccolta. Il tutto avviene in base a degli esami che tengono conto anche del numero di cellule necessarie e delle condizioni del donatore. Io però non ho potuto effettuare la donazione da sangue periferico perché, in seguito agli accertamenti, ho scoperto di essere predisposta alla trombosi e il farmaco avrebbe potuto causare dei problemi. Inizialmente il team di dottori ha tentato di farmi inizialmente desistere dalla donazione ma, su mia insistenza, ha deciso di procedere con il metodo meno diffuso, anche se a volte ancora praticato.
Di quale metodo si tratta? È stato doloroso?
Hanno prelevato il midollo osseo dalle ossa del bacino. Credo sia necessario fare luce su questa procedura che viene percepita da molti come pericolosa e dolorosa, anche perché spesso viene confusa con il prelievo di midollo spinale, che invece non riguarda in alcun modo il nostro tema. Il prelievo di midollo osseo avviene in anestesia generale e si rimane in ospedale una notte; non è particolarmente doloroso, io stessa ricordo di aver sentito un fastidio nella zona del prelievo per i 3, 4 giorni successivi, come dopo una caduta in cui si è battuto il fondoschiena. Il recupero previsto è di una settimana, ma è un periodo del tutto precauzionale, mi ricordo di aver sentito dai medici di un camionista che è tornato a lavorare subito dopo aver concluso il periodo in ospedale. Non serve essere così stoici, ma ho citato questo esempio solo per ribadire che questo prelievo non costringe ad una lunga degenza o guarigione, e rimane comunque un metodo residuale rispetto al prelievo da sangue periferico.
Perché allora c’è ancora tutta questa ritrosia verso la donazione di midollo osseo e i numeri sono ancora così bassi?
Il problema è la disinformazione e le convinzioni errate che sono ancora molto diffuse. Purtroppo si crede che tutta la procedura sia molto invasiva e dolorosa e richieda dei tempi molto lunghi. Alcuni, come detto prima, confondono il midollo osseo con il midollo spinale, che è invece una parte diversa del nostro corpo. Questa confusione fa sì che in molti abbiano paura di procedere con la donazione e, per esempio, rende difficile un percorso di assenso tramite anagrafi, analogo a quello per la donazione degli organi. Gli impiegati comunali infatti non hanno la formazione per poter accompagnare questa scelta, purtroppo però le associazioni sono spesso sotto-finanziate. Moltissimi si impegnano a fondo per diffondere consapevolezza e chiarire i dubbi, ma bisogna ricordare che si tratta di volontariato, da conciliare con la vita lavorativa e familiare di ognuno.
C’è poi l’effetto che la consapevolezza della donazione porta con sé nella comunità: sapere che la malattia può colpire tutti indistintamente ma che esiste una possibilità in più di guarire, sapere di poter fare la differenza, riconoscere l’apporto che si ha nella società aumenta il senso di comunità
Un maggiore sforzo da parte delle istituzioni comporterebbe sicuramente un miglioramento del sistema sanitario. Ci sarebbero poi benefici anche a livello sociale più generale?
Sicuramente. Se non ci sono donatori compatibili in Italia si fa arrivare il midollo osseo dall’estero, quando esiste un donatore compatibile, con procedure più lunghe e costose. Allargare la platea aiuterebbe il sistema sanitario in primo luogo: in Germania, per esempio, i donatori sono 8 milioni e questo permette loro di soddisfare quasi completamente la richiesta interna. C’è poi l’effetto che la consapevolezza della donazione porta con sé nella comunità: sapere che la malattia può colpire tutti indistintamente ma che esiste una possibilità in più di guarire, sapere di poter fare la differenza, riconoscere l’apporto che si ha nella società aumenta il senso di comunità.
Ci sono dei limiti per diventare donatori?
Ci si può iscrivere nelle liste dai 18 ai 35 anni, una volta iscritti entro i 35, si rimane nel registro fino ai 55 anni, i medici infatti tendono sempre a preferire donatori giovani; bisogna poi pesare almeno 50 kg. In Italia non è prevista la possibilità di donare più di una volta, dopo il primo prelievo il nome del donatore viene rimosso dalla lista, anche se rimane in qualche modo legato al ricevente. Può capitare che ci siano delle ricadute e, in alcuni casi, può essere necessario un altro trapianto allo stesso paziente. Il tutto avviene comunque dopo nuovi accertamenti e dopo essersi assicurati che ci siano le condizioni adatte per procedere.
Mi riempie di fiducia vedere come i giovani si dimostrino particolarmente reattivi e attenti
ADMO Alto Adige è molto attiva, quali iniziative avete in programma?
Abbiamo da poco concluso nelle piazze la campagna per i panettoni, ancora acquistabili nel nostro sito. Il 12 dicembre abbiamo promosso una conferenza online sul tema dei vaccini per ribadire quanto siano importanti per proteggere coloro che non vi possono accedere, come gli immunodepressi sottoposti a chemio e radioterapie. Inoltre oggi, 14 dicembre, festeggiamo il centesimo e centunesimo trapianto reso possibile dai donatori altoatesini che oggi si recheranno in sede per appendere al nostro "albero della vita" un cuore di legno con inciso il proprio nome. Ci stiamo inoltre preparando a festeggiare il trentennale della sezione, a maggio 2022, mentre continuiamo i nostri incontri, soprattutto nelle scuole. Mi riempie di fiducia vedere come i giovani si dimostrino particolarmente reattivi e attenti. Se il tempo per dare il proprio assenso non è particolarmente lungo (fino a 35 anni), ricordarsi di riflettere sul tema può essere davvero un antidoto alle mille scuse quotidiane che ci diamo per procrastinare.