Society | L'iniziativa

Un cuore rosso contro la violenza di genere

Intervista a Gabriella Kustatscher, presidente di Gea-Casa delle donne di Bolzano, sull’iniziativa di solidarietà femminile organizzata da Kreativ 2015 e da Il Caffè del Filò.
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Cuori rossi realizzati attraverso le più svariate tecniche creative, è questa la proposta artistica che Kreativ e Caffè del Filò presenteranno nel corso della manifestazione “Un cuore rosso per Kreativ” che si terrà a Fiera Bolzano dal 18 al 20 settembre. Lo scopo è quello di aiutare le donne vittime di violenza devolvendo il ricavato della vendita dei cuori - che saranno appesi nel padiglione durante l’evento e saranno ceduti in cambio di un’offerta - all’associazione Gea di Bolzano-Casa delle Donne. Geraldine Coccagna, project manager della manifestazione, invita tutti coloro che vogliono collaborare all’iniziativa, realizzando cuori rossi o fornendo materiali per la loro realizzazione, a contattare via e-mail i referenti all’indirizzo [email protected] (ulteriori informazioni su Kreativ a questo link). Per saperne di più sull’iniziativa ma anche per comprendere meglio il fenomeno della violenza di genere abbiamo raggiunto telefonicamente Gabriella Kustatscher, presidentessa di Gea-Casa delle donne.

Kustatscher, come è nata l’idea di questa “partnership” con Kreativ e Caffè del Filò?
Casualmente, per la verità. Mi ha contattato Silvia Oberrauch di Kreativ dicendomi che alcune rappresentanti dell’associazione Caffè del Filò avrebbero voluto dare un aiuto concreto alle donne vittime di violenza realizzando dei cuori rossi da vendere durante la Fiera. Chi volesse comprarli, quindi, saprà che lascerà la sua offerta all’associazione Gea che da 15 anni gestisce il Centro d’ascolto antiviolenza e la Casa delle donne.

L’arte si fa spesso veicolo di sensibilizzazione anche rispetto alle tematiche sociali, crede che anche in questo caso possa contribuire a innescare un proficuo processo di “educazione” riguardo la violenza di genere?
Spero di sì, perché ogni forma artistica ha un linguaggio emotivo potente.

Cosa farete con il ricavato della vendita dei cuori?
Da anni abbiamo aperto un fondo emergenza per le persone che non sono economicamente autonome. C’è bisogno ad esempio di pagare i mediatori culturali o gli interpreti, di comprare pappe e pannolini per i bambini. I soldi saranno destinati esclusivamente ad aiutare le donne di cui la nostra associazione si occupa.

Com’è possibile invece raggiungere le donne che non denunciano eventuali abusi subiti?
I mass media ci aiutano moltissimo a porre l’attenzione su queste tematiche. Le donne che hanno subito violenza provano spesso un enorme senso di vergogna, si autocolpevolizzano, ed è un meccanismo difficile da accogliere e da comprendere per chi non ha mai, per sua fortuna, vissuto certe dinamiche. Anche riferire che esistono dei centri specializzati con delle competenze specifiche in grado di dare sostegno alle vittime è un altro aiuto che può venire dagli organi di informazione. Inoltre vengono fatti dei corsi di formazione nelle scuole, nei consultori; per le forze dell’ordine, per i medici. Più riusciamo a essere presenti attivamente sul territorio in termini di sensibilizzazione, formando del personale che sia in grado di accogliere una vittima di violenza, più le donne si sentono sostenute e trovano il coraggio di denunciare.

Perché i casi di violenza di genere fanno spesso fatica ad emergere? Si tratta di un reiterato impedimento di natura culturale?
Sicuramente sì e poi c’è la paura della ritorsione rispetto alla denuncia. C’è il timore che il sistema giudiziario possa non funzionare a dovere. Al di là degli aspetti puramente emotivi e psicologici supponiamo che una donna con dei figli decida di fuggire dal suo “aguzzino”. Dovrebbe iniziare di nuovo tutto daccapo, spostare i figli in un’altra scuola, magari cambiare città. Non è certamente una cosa semplice. E poi c’è spesso anche la speranza che l’uomo, il compagno che usa loro violenza, possa cambiare. 

Com’è la situazione in Alto Adige, il numero delle vittime di abusi è in aumento oppure no?
Il numero in realtà dipende dalle varie annate, sono senz’altro sempre di più le persone che ci contattano, ma non significa che queste accettino automaticamente un percorso di “uscita dalla violenza”.

Come crede debba comportarsi chi viene a sapere di un abuso subito da una persona di sua conoscenza?
Dovrebbe parlare, non fare finta di niente, avvertire le forze dell’ordine. Tacere significa automaticamente diventare complici, significa accettare di fatto il comportamento di un maltrattatore. Le persone sono spesso fortemente in imbarazzo perché non posseggono gli strumenti comunicativi adeguati per affrontare certe situazioni. Non tutti, del resto, possono occuparsi di violenza, per questo esistono i centri specializzati.

Quali sono gli strumenti utili per prevenire la violenza? Anche la scuola può avere un ruolo decisivo favorendo magari l’educazione sessuale o reinventando modelli di gioco fra i bambini?
Credo che la scuola stia facendo la sua parte, ma si può migliorare ancora. È creando dibattiti pubblici e luoghi di ascolto e comunicazione che si riesce ad intervenire in maniera più efficace di quanto non si stia già facendo. E soprattutto occorre insistere e ribadire lo stesso concetto: “no alla violenza”. Faccio spesso un paragone: una volta, nelle scuole, faceva parte del sistema educativo degli insegnanti, ed era culturalmente accettato e voluto, picchiare, dare ceffoni o usare la bacchetta sulle mani degli alunni, umiliarli. Oggi non è più ammissibile un tale comportamento, la società stessa lo rifiuta. Ecco, io vorrei che questo passaggio avvenisse anche in riferimento alla violenza di genere.