Politics | Il commento

La “riconversione ladina” dei nònesi

Secondo l'ultimo censimento delle minoranze, gran parte delle popolazioni ladine del Trentino vive nelle valli di Non e Sole. Opportunismo od opportunità per l'Autonomia?
Nonesi ladini
Foto: Rai
  • Nel corso di 20 anni e di 3 censimenti linguistici, nel 2001, 2011 e 2021, il panorama dei gruppi linguistici minoritari in Trentino è radicalmente mutato. Oggi, nelle valli di Non e di Sole, come risulta dai dati asseverati dall’Istituto di statistica provinciale, risulta insediata la maggioranza assoluta delle popolazioni ladine del Trentino, appartenenti al gruppo linguistico romano retico, diverso da quello dolomitico di Fassa. Uno sconvolgimento che potrebbe apparire inspiegabile, e tale da innescare vulgate sulla “ingordigia” dei nònesi che, per beneficiare delle provvidenze spettanti a questa minoranza, si sarebbero dichiarati in massa ladini, quando prima avevano sempre respinto questa classificazione.

    Ovviamente le cose non stanno così. Nònesi e solandri sono stati dichiarati ladini da chi ha coniato questo termine per definire, nella parte centrale e orientale dell’arco alpino determinate popolazioni parlanti lingue neolatine. Parlo del grande linguista friulano Graziano Ignazio Ascoli che dedica molte pagine a nònesi e solandri nel suo celebre “Saggi ladini” (1873, editore Loescher ) assimilando le loro lingue a quelle retoromanze che aveva studiato nel Cantone dei Grigioni. Nei “Saggi” egli denominò le popolazioni della valle del Noce “ladini occidentali.” Tuttavia la politica, in questa area nevralgica fra Italia e Impero d’Austria, iniziò a strumentalizzare la linguistica. Sulla base degli studi di due celebri linguisti austriaci Schneller e Gartner, l’Austria iniziò a sostenere che i ladini erano un popolo diverso da quello italiano, per cui le rivendicazioni irredentistiche italiane su questi territori non avevano fondamento.

    La questione ladina ebbe di conseguenza un decisivo influsso sul dibattito culturale e politico in Anaunia. Per gli autori e i cultori della grande poesia nònesa e per tutta la prevalente opinione pubblica filoitaliana che li seguiva, tutti orientati a considerare il nònes una lingua minoritaria appartenente al patrimonio linguistico della nazione italiana, il termine “ladino” significò negazione della loro appartenenza al mondo culturale italiano. Oltretutto il ladino dolomitico risultava profondamente diverso , dal punto di vista lessicale, sintattico e morfologico, dalla lingua nònesa.

  • La legge del 1974

    Nel corso di due legislature in Consiglio regionale ebbi modo di costatare quanto gracile era la speciale autonomia del Trentino senza il riconoscimento e la integrazione nei suoi assetti, dei gruppi linguistici, delle minoranze linguistiche, e soprattutto dei gruppi ladini, testimoni di una storia millenaria contrassegnata dal. pluralismo culturale e linguistico. Quando, nel 1972 venni eletto deputato, considerai il riconoscimento e la valorizzazione di queste minoranze e innanzitutto di quelle ladine, uno degli obbiettivi primari nell’esercizio del mio mandato. Ne conseguì la presentazione alla Camera della proposta di legge costituzionale n. 3097 del 11 luglio 1974, della quale fui promotore e primo firmatario, alla quale i gruppi parlamentari del PCI assicurarono pieno sostegno.

    La proposta affrontava la scandalosa discriminazione ai danni dei ladini di Fassa (gli unici allora riconosciuti in Trentino, anche se con una norma generica) che, un quarto di secolo dopo l’avvento dell’autonomia, erano ancora privi di tutela, mentre i confinanti ladini di Gardena e di Badia, in provincia di Bolzano, erano pienamente tutelati, ed avevano il loro rappresentante in Consiglio e nella giunta provinciale di Bolzano, ed in Consiglio regionale.

    L’iter della legge fu ostacolato da due scioglimenti anticipati delle Camere, ma ebbe, nel suo corso, anche la adesione delle altre principali forze politiche, ed infine fu approvata, conferendo ai ladini dolomitici di Fassa i necessari strumenti di tutela, fra cui il diritto alla rappresentanza in Consiglio regionale e provinciale.

    La riforma portò con se anche il riconoscimento di mòcheni e cimbri. Ancor prima avevo presentato in Commissione dei 12, consultati gli esponenti dei ladini di Fassa, e innanzitutto il senatore Ezio Anesi, con il quale intrattenevo da molti anni , e finché non venne immaturamente a mancare, cordiali e proficui rapporti politici, uno schema di norma di attuazione; esso doveva assicurare la piena applicabilità delle norme costituzionali nella complessa realtà del territorio. La proposta divenne il decreto legislativo presidenziale 16 dicembre 1993, n.592.

    Successivamente in Commissione dei 12, si aprì un acceso dibattito sulla estensione territoriale della questione ladina, poiché non risultava verosimile che fosse ristretta alla sola Val di Fassa .Si considerò innanzitutto che anche i ladini dolomitici residenti in Trentino, ma non nella valle, avevano, il diritto di essere censiti, così come quelli delle valli ladine del Sudtirolo residenti in Trentino, ed anche quelli delle valli bellunesi. In conclusione io proposi che il censimento linguistico dei ladini avvenisse su tutto il territorio del Trentino. La proposta fu approvata e la norma di attuazione fu emendata in questo senso.

    E a questo punto iniziò, prima in misura quasi impercettibile, poi con un crescendo sorprendente, la “riconversione” della classificazione degli Anauni, per appartenenza linguistica e culturale. La parte più informata di quelle popolazioni iniziò a prendere atto che la rocciosa ostilità nei confronti del termine “ladino” non aveva più senso e che questo poteva comprendere sia l’uno che l’altro dei due gruppi linguistici ladini presenti in Trentino; conformemente peraltro al testo dello Statuto che parla solo di “ladini”.

  • Trentino ladino come i Grigioni romanci

    Di conseguenza, quando iniziò ad avvicinarsi la scadenza del censimento linguistico del 2001, si incominciò a prendere in considerazione la possibilità di partecipare e di dichiararsi ladini, essendo evidente comunque che si trattava di dichiarazione di appartenenza al gruppo dei ladini retici. Già nel censimento del 2001 nella Valle del Noce i dichiaranti ladini furono più di tremila. L’ultimo censimento nel 2021 fu seguito dalle deliberazioni dei consigli comunali dell’Anaunia che chiedevano il riconoscimento giuridico e nei fatti della identità della Valle.

    Venendo all’oggi, e considerando la rilevanza dei mutamenti sopravvenuti in un campo vitale per la nostra autonomia, quale è il pluralismo linguistico e culturale, penso che le forze politiche al governo della Provincia, debbano por fine all’ostruzionismo contro un gruppo linguistico ormai maggioritario in Trentino, insediato da 2000 anni nelle Valli del Noce, e che ha sempre svolto un ruolo importante nella storia del Trentino. Né si deve dimenticare che nel Cantone dei Grigioni, confinante colla regione, un analogo gruppo linguistico, anch’esso sorto dall’innesto della lingua romana su quella retica, che prima della conquista romana si estendeva a tutti questi territori, è riconosciuto, e la sua lingua dichiarata dalla Costituzione elvetica quarta lingua nazionale.

    Questo mutato panorama dovrebbe facilitare il dialogo e l’intesa fra tutte le minoranze linguistiche per una politica della Provincia meno centralista e più aperta al decentramento ed alle istanze dei territori. Una politica che rafforzi il pluralismo culturale e linguistico del Trentino, rafforzerebbe la sua gracile autonomia.