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Intelligenza artificiale una minaccia?

Il tema dell'intelligenza artificiale sta preoccupando sempre più persone, che seppur lentamente, si rendono conto di perdere progressivamente la propria privacy.
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Foto: pixabay gdpr

I colossi di Internet sono ormai delle piovre che raccolgono tutte le informazioni che riescono ad ottenere da ognuno di noi. Va anche detto che almeno sinora siamo stati noi ad alimentare i diversi siti fornendo le nostre email, il numero del cellulare o creando un profilo su Facebook. E a pensarci bene, nessuno di noi sa quanto questi sistemi sappiano ormai di noi, data la facilità con la quale comunichiamo dati personali, apparentemente innocui.

Spesso ci chiediamo poi da dove arriva la pubblicità mirata con la quale siamo bombardati su Google, Facebook e c/o.  Dai guadagni che essi realizzano, possiamo affermare, come qualche studiosa fa già da tempo, che i dati sono il carburante dei secoli a venire. Ovviamente siamo di fronte ai primi cambiamenti del nostro modo di comunicare, di rapportarsi con le persone e con la società, ma anche con il modo di lavorare. Al posto di un capo in carne e ossa siamo comandati da una APP sullo smartphone e gli ordini passano a volte su piattaforme collocate da qualche parte del mondo. Nessuno conosce i futuri sviluppi e cos’altro sarà possibile realizzare e questo crea insicurezza in tanti di noi.

In questo momento possiamo al massimo individuare certi settori in cui la digitalizzazione avrà un ruolo sempre più importante. Una cosa però è certa: l'intelligenza artificiale c'è, continuerà a progredire e cambierà la nostra vita. Fermare questo processo non è possibile. I sistemi cognitivi e le macchine capaci di apprendere saranno sempre più in grado di trasferire quanto imparato alle nuove situazioni. Potranno probabilmente pianificare processi, fare previsioni o interagire con le persone.

Quasi nessun settore della vita quotidiana rimarrà immune da questi processi, a partire dal mondo dell'economia, della produzione, del lavoro, della sanità, dell'assistenza o dell'istruzione. Al mondo futuro sono legate grandi speranze, ma anche molte paure. Se vogliamo rendere il nostro pianeta un posto migliore, serve comunque un uso accurato dell’intelligenza artificiale. Eppure molte persone - e non è sicuramente una paura irrazionale – oltre ai problemi legati alla vita privata e alla miriade di fake news, temono di essere "rimpiazzate" dall'intelligenza artificiale. È compito della politica garantire che il progresso tecnologico venga trasferito anche all’avanzamento sociale.

L'intelligenza artificiale deve servire alle persone, non il contrario. I governi e i parlamenti devono prendere sul serio le preoccupazioni che serpeggiano all’interno della nostra società. E non penso alle manipolazioni dell’opinione pubblica, attraverso i social media, anche se questo rappresenta sicuramente un problema per la nostra democrazia. Ma su questo fronte basterebbe a volte far funzionare meglio il cervello o spegnere gli smartphone, così come fa comunque parte della fantascienza pensare che in futuro un computer potrà rendere schiava l’umanità. Ma tornando alle paure “razionali”, molti dipendenti temono, a ragione, che il loro lavoro cambierà radicalmente o addirittura sarà reso superfluo dalla tecnologia, anche se dare risposte certe su questo terreno è difficile, se non impossibile. Ma questo alimenta ulteriormente le incertezze.  L’intelligenza artificiale, come vogliamo anche considerarla, significa di fatto progresso, ma che non può essere fine a se stesso.

Uno sguardo al passato e alla storia delle diverse rivoluzioni industriali, nonché agli effetti che esse hanno sul mondo del lavoro, e possiamo anche azzardare qualche risposta e cercare il modo per gestire queste innovazioni. Il "valore aggiunto" della digitalizzazione deve avere una forte connotazione sociale. Molte professioni scompariranno, ma ne sorgeranno anche delle nuove. E qui le stime sono estremamente discordanti e vanno dalla disoccupazione di massa, fino alla creazione di nuove opportunità di lavoro addirittura superiori ai posti persi. Personalmente penso a una cosa intermedia, contraddistinta da una riconversione di molti lavoratori verso le nuove professioni e una rivalutazione dei lavori che hanno bisogno di rapporti relazionali e interpersonali.

Importante per il sindacato è accettare subito la sfida, perché sarebbe ingenuo credere che questo sviluppo possa essere fermato. Il compito della politica e del sindacato sarà quindi accompagnare e gestire questi processi in modo costruttivo e nell'interesse dei dipendenti, ma anche dei cittadini. In primo luogo è importante che lo sviluppo di questi processi sia trasparente e comprensibile. Conoscere, almeno in grandi linee, il funzionamento degli algoritmi è indispensabile. Il personale delle imprese deve essere coinvolto nell'attuazione. Questo serve a eliminare le paure e rendere visibili anche le opportunità. Le persone devono inoltre essere riqualificate e dove questo non è possibile tutelate da ammortizzatori sociali e programmi di reinserimento nel mercato del lavoro. Di pari passo va ancorata - e tutelata rigorosamente e senza eccezioni - la protezione dei dati dei dipendenti, nonché di tutti noi. Sono sfide nuove e complesse per il sindacato, ma, come insegna il passato, abbiamo ormai esperienze consolidate nella gestione dei cambiamenti.  

Le vere difficoltà saranno le strategie differenti tra l'Ue, gli Stati Uniti e la Cina nello sviluppo di queste tecnologie. A mio avviso sarebbe necessario trovare standard etici comuni per l'intelligenza artificiale, ma è un obiettivo difficile da raggiungere. Affidare le regole al mercato è pericoloso. Già oggi è un mercato autoregolamentato dai giganti di Internet e non dalla politica, che spesso si dimostra impotente. Con la moltitudine di dati raccolti, Amazon, Google e company di fatto affidano ad algoritmi le decisioni su quali notizie e contenuti vedere, quali prodotti e prezzi visualizzare, se erogare prestiti e assicurazioni o monitorare lo spazio pubblico (vedasi la Cina).

Gli esperti parlano di "Big data”, ma molti semplicemente "dittatura digitale". La formula “intelligenza artificiale” uguale a "Big Data" e uguale a “controllo” e  “profitto” non deve passare nel nostro continente. Necessitiamo di un controllo democratico, di un quadro giuridico adeguato che prevenga abusi e discriminazioni attraverso algoritmi. Dopo i massicci scandali in materia di sicurezza in molti chiedono una regolamentazione statale, tra questi addirittura anche il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg.
Spero che almeno su questo terreno venga preso sul serio.  

Alfred Ebner