Culture | PTH Bressanone
Resilient Beliefs
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Foto: PTH Brixen
Nel primo film del Decalogo di Krzysztof Kieślowski, Pawel – un bambino, figlio di un professore universitario di linguistica – muore, perché, mentre pattina su un laghetto fuori casa, il ghiaccio si rompe. Il giorno prima dell’incidente, padre e figlio avevano inserito i dati esatti della temperatura, del peso del bambino, ecc. in un computer, per calcolare se il ghiaccio avrebbe tenuto ed erano giunti alla conclusione che il giorno dopo l’acqua sarebbe stata abbastanza ghiacciata da potere pattinare. Il padre è agnostico e crede fermamente nella scienza: «L’anima è un modo di dire addio. L’anima non esiste. C’è chi crede nell’anima per vivere meglio» dice al bambino che lo interroga, perché ha visto un cane randagio morto nel cortile davanti a casa e alla domanda del figlio se lui crede nell’anima, risponde: «Io, a dire il vero, non lo so». Pawel invece spera che il cane randagio ora possa avere una vita migliore. Nel film, è presente anche la sorella del padre, una donna credente. Quando il bambino, meravigliato dalla differenza dei loro punti di vista, le chiede se sono veramente fratelli, lei risponde: «Tuo padre era più piccolo di te quando ha scoperto che molte cose si possono calcolare, misurare e poi ha cominciato a pensarlo di ogni cosa e da allora è rimasto di quest’idea. […] Certo appare più ragionevole il suo modo di vedere la vita, ma questo non significa che Dio non c’è. Anche per tuo padre. […] Dio esiste, è molto semplice, se ci si crede». Alla domanda del bambino chi sia questo Dio, lei lo abbraccia e gli chiede: «Dimmi cosa senti?» – «Ti voglio bene» risponde Pawel – «Esatto, e lui è questo» dice lei. Nell’ultima scena del film, appena dopo aver scoperto che Pawel è morto, il padre, anziché prendersela con il computer che ha lì davanti a sé pronto a svolgere nuovi calcoli, corre in una chiesa in costruzione lì vicino, distrugge un altare davanti a un’icona e si strofina il volto con dell’acqua santa congelata.
Che cos’è la fede religiosa, è un modo per vivere meglio nella speranza di una vita migliore dopo la morte? Oppure è qualcosa che ci offre consolazione nelle situazioni difficili della vita, perché così abbiamo qualcuno a cui rivolgerci nella preghiera o nella rabbia, come il padre alla fine del film? E appare veramente più ragionevole il modo scientifico di vedere la vita, rispetto a quello della fede? E – la domanda di Pawel – chi è questo Dio, in cui diciamo di credere? Come facciamo a sapere se esiste? Abbiamo prove razionali per dimostrarne l’esistenza o non abbiamo altro metodo che i nostri sentimenti?
Che cos’è la fede religiosa, è un modo per vivere meglio nella speranza di una vita migliore dopo la morte? Oppure è qualcosa che ci offre consolazione nelle situazioni difficili della vita, perché così abbiamo qualcuno a cui rivolgerci nella preghiera o nella rabbia, come il padre alla fine del film? E appare veramente più ragionevole il modo scientifico di vedere la vita, rispetto a quello della fede? E – la domanda di Pawel – chi è questo Dio, in cui diciamo di credere? Come facciamo a sapere se esiste? Abbiamo prove razionali per dimostrarne l’esistenza o non abbiamo altro metodo che i nostri sentimenti?
Queste domande, che il film di Kieślowski del 1988 ancora oggi ci pone, sono anche le domande centrali indagate nel progetto di ricerca Resilient Beliefs: Religion and Beyond, iniziato nell’ottobre del 2022 allo Studio Teologico Accademico di Bressanone. I responsabili scientifici del progetto sono Christoph Amor e Martin Lintner e la ricerca è condotta da Gloria Dell’Eva. Il progetto è finanziato dall’Unione Europea e fa parte di una collaborazione con altre due sedi della regione Euregio “Tirolo-Sud Tirolo-Trentino”, nello specifico con l’Istituto di Filosofia Cristiana dell’Università di Innsbruck e con il Centro di Studi Religiosi della Fondazione Bruno Kessler di Trento.
Innanzitutto, che cosa si intende per resilient beliefs? Si tratta di credenze o convinzioni resistenti al cambiamento. Anche di fronte a evidenti prove contrarie, le persone che hanno resilient beliefs esitano a correggere la propria opinione e spesso si rifiutano di cambiarla. Pensiamo ad esempio ai no-vax: nonostante il mondo scientifico continuasse a ripetere il contrario, queste persone erano e sono convinte che contrarre il covid fosse molto meno pericoloso che vaccinarsi e non c’era verso di fargli cambiare idea.
Vediamo ora quali sono i temi specifici delle singole sedi coinvolte nel progetto: Scott Hill, all’Università di Innsbruck, si occuperà di teorie del complotto. Per continuare con l’esempio precedente, alcuni no-vax erano convinti che la pandemia fosse un complotto ordito da Bill Gates per inserire dei microchips di controllo nella popolazione attraverso le vaccinazioni. Scott Hill si interroga sul perché queste teorie si diffondano così facilmente e trovino molta gente disposta a crederci, nonostante la loro assurdità. Si chiede inoltre se questo tipo di resilient beliefs sia sempre qualcosa di irrazionale, infondato e negativo, perché – come la storia ha più volte dimostrato – i complotti a volte esistono realmente! Eugenia Lancellotta, alla Fondazione Bruno Kessler di Trento, si occuperà invece di delusions, che sono dei disturbi patologici psicotici, nei quali una persona crede fermamente in qualcosa che non è vero e che il mondo attorno a lei percepisce come falso; ad esempio, se una persona schizofrenica ha delle allucinazioni uditive e crede che sia Dio che cerca di comunicare con lei. Interesse centrale della attuale ricerca di Eugenia Lancellotta è il rapporto che sussiste tra queste forme di malattia mentale e le dinamiche della fede religiosa. Gloria Dell’Eva allo Studio Teologico Accademico di Bressanone si occuperà in una prima fase della fede religiosa e dell’attuale dibattito teologico e filosofico su questo tema. In una seconda fase si occuperà del dogma come possibile caso di resilient belief teologico. Il dogma, infatti, secondo la definizione tradizionale della Chiesa, che risale alla seconda metà del XIX secolo, è una dottrina di fede rivelata da Dio (quindi immutabile) e proposta dalla Chiesa, alla quale il credente deve aderire. Tuttavia, questa definizione oggi viene messa in dubbio da molti teologi che sottolineano, da un lato, lo sviluppo storico dei dogmi stessi, dall’altro, l’importanza che vi sia un’adesione da parte del credente basata sulla comprensione e sulla validità esistenziale che il dogma può assumere nella sua vita.
Il progetto ha una durata di due anni e tra le sue attività è prevista la pubblicazione di diversi articoli scientifici sul tema resilient beliefs, l’organizzazione di workshops per l’aggiornamento reciproco tra gli studiosi delle diverse sedi, la partecipazione “in gruppo” a congressi internazionali, l’invito di figure di spicco a livello scientifico a tenere relazioni su temi rilevanti per il progetto e, infine, l’organizzazione di eventi divulgativi volti a far conoscere il progetto ad un pubblico più ampio.
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