Culture | Viaggio in Laos

Gente Katu

le tradizioni di una tribù antichissima
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Cascate Pakse Loop
Foto: Giulia Pedron © Tutti i diritti riservati

Durante un “viaggio nel viaggio” in Laos, in quello che viene chiamato Pakse Loop, ho avuto la fortuna di conoscere alcuni componenti della tribù Katu di cui voglio parlarvi in questo racconto. Prima però di raccontarvi di loro e di alcune delle loro tradizioni, mi sembra doveroso fare un breve excursus per spiegarvi cos’è il Pakse Loop.

Si tratta di un percorso circolare che inizia e si conclude appunto nella città di Pakse, città che funge da porta per il sud del Paese, situata alla confluenza dei fiumi Mekong e Xe Don, nei pressi del confine con la Thailandia.

Il percorso ad anello misura circa 160 km, il paesaggio cambia continuamente, si passa da grandi distese di campi, villaggi che si sviluppano lungo la strada, villaggi più nascosti, cascate e luoghi sacri dove tra alberi centenari si trovano statue del Buddha e di animali divini della più antica religione animista.

E animista è anche la gente che appartiene all’etnia Ban Kok Phung Tai, un piccolo villaggio rurale di circa 700 persone. Le case sono costruite in legno e bambù, le strade sono sabbiose e di un colore rossastro intenso, dietro si vede la foresta tramite la quale di accede alla natura rigogliosa.

Ho potuto scoprire qualcosa in più sulla cultura Katu grazie ad un ragazzo che si fa chiamare Captain Hook, il suo livello di inglese è eccellente ma non l’ha imparato a scuola, perché generalmente i bambini iniziano presto a lavorare nel campi per aiutare i genitori. “La foresta è la scuola migliore” mi ha detto. Lui l’Inglese però ha voluto impararlo e l’ha fatto comunicando con i turisti e i viaggiatori che sono arrivati fino là.

Captain Hook vive insieme alla sua famiglia numerosissima in una tipica casa e mi ha spiegato tutto quello che so di questa tribù, di religione animista, che crede che tutto sulla Terra abbia uno spirito. La roccia, l’erba, la casa hanno uno spirito, tutto. Questo quello che mi ha raccontato:

Alla base dell’esistenza c’è la magia che può essere bianca o nera e a capo del villaggio ci sono tre figure principali: la sciamano, il guru e la medium. Quest’ultima, se non ho capito male, la possono incontrare solo coloro che sono per metà umani e per metà spiriti.

In un villaggio Katu, quando si va a casa di una persona bisogna chiamarla per nome senza bussare alla porta perchè, così facendo, si porterebbero via dall’abitazione gli spiriti buoni.

Per gli spiriti infatti, ogni anno la tribù fa un rituale dove viene sacrificata un una mucca. Alla fine della cerimonia la carne dell’animale viene distribuita per essere mangiata.

Se una persona muore, la cause possono essere due: la prima, morte naturale e quindi si può procedere con il funerale. La seconda, morte “artificiale” ovvero significa che il defunto aveva compiuto un’azione negativa, aveva fatto qualcosa di male oppure è stato colpito dalla magia nera. In questo caso i famigliari sono costretti ad abbandonare la propria casa e ritirarsi a vivere nella foresta per almeno 5 anni, ma la data dei ritorno non può essere prevista perché, sempre secondo la tradizione, non si può mai parlare del futuro: questo significherebbe non avere rispetto per gli spiriti che sono gli unici a conoscere ill futuro certo.

L’unico modo per “rimediare a un errore” e “salvarsi” è quello di sacrificare un’animale. Questo perché con i sacrifici si scacciano gli spiriti cattivi. Se una persona infrange una regola, attira gli spiriti cattivi al villaggio e quindi, di conseguenza, bisogna uccidere un animale.

Oltre a queste credenze, e a tutte le altre che ci saranno, gli anziani hanno una loro particolare idea per spiegare le differenze fisiche tra loro e gli occidentali, alcune mi sono sembrate tanto esilaranti quanto divertenti, come per esempio il fatto che noi siamo bianchi perché beviamo tanto latte. Siamo più alti di loro, perché mangiamo il pane mentre loro sono più bassi perché mangiano lo sticky rice (riso cotto in una maniera tipica dei paesi asiatici). Siamo tutti americani perché quando arriviamo parliamo in inglese e viaggiamo perché non lavoriamo.

Spiegazioni strane a parte, per quanto alcune di queste credenze ci possano apparire assurde e ci possa sembrare strano che al giorno d’oggi la vita di alcune tribù si basi su convinzioni così lontane dal nostro modo di vivere, mi sento estremamente fortunata di essere finita a Ban Kok Phung Tai e di aver conosciuto in prima persona gli abitanti di questo villaggio.