Environment | Climate change

“Sostenibile è togliere, non aggiungere”

Il meteorologo e climatologo Luca Mercalli sui 48,8 gradi a Siracusa, le Dolomiti, il PNRR e la COP26, il ministro Cingolani: “Non si toccano gli interessi costituiti”.
Luca Mercalli
Foto: Ansa/Stefano Porta

salto.bz: I 48,8 gradi centigradi registrati a Siracusa, la temperatura più alta mai rilevata in Europa, hanno avuto un enorme impatto mediatico. C’era bisogno di arrivare a tanto per risvegliare l’attenzione sugli effetti del riscaldamento globale nel Mediterraneo e quindi nel nostro paese?

Luca Mercalli: Abbiamo visto negli ultimi anni tantissimi episodi del genere, che hanno sempre superato dei record precedenti. Si pensi alle alluvioni: quella nel cuneese e in Francia, il 3 ottobre 2020, oppure appena un mese fa in Germania. Non mi aspetto che cambi qualcosa, per pochi giorni si parlerà dei 48 gradi di Siracusa e poi si dimenticherà tutto, tutto tornerà esattamente come prima. Ci sono state decine, se non centinaia di occasioni come questa negli ultimi vent’anni, da quando i cambiamenti climatici in giro per il mondo ci hanno fornito ogni genere di stimolo, per riflettere e prendere decisioni importanti.

Di esempi, in effetti, potremmo citarne tanti…

Nel 2003 abbiamo avuto la gigantesca ondata di caldo che causò 70mila morti in Europa occidentale. Non sono bastati a cambiare qualcosa, e stiamo parlando di quasi vent’anni fa. Le parole dette nell’agosto 2003 erano identiche a quelle che diciamo oggi. Mi viene in mente la tempesta Vaja, per citare un caso che ha scosso le coscienze di milioni di persone nell’ottobre 2018, o l’acqua alta a Venezia. Due-tre giorni di attenzione, si parla di eventi estremi sui giornali, tanti articoli con bei propositi, ma poi non cambia nulla nella nostra quotidianità.

Anche in Sudtirolo, nell'affrontare eventi eccezionali da “maltempo”, difficilmente si mette in evidenza il nesso col cambiamento climatico.

Non si fa il nesso con le attività quotidiane. Non si dice “guarda che il maltempo che hai vissuto ieri dipende dalla macchina che guidi”.

È circolata sui social un’immagine che raffronta le condizioni del ghiacciaio della Marmolada nell’estate del 2015 e nell’estate di quest’anno. Si potrebbe infatti pensare che le abbondanti nevicate dello scorso inverno abbiano dato respiro al ghiacciaio. Non è così: con l'aumento delle temperature, l'apporto nevoso si è sciolto e il drammatico ritiro del ghiacciaio resta inesorabile. Abbiamo bisogno di ulteriori prove che dimostrino il climate change?

Lo aggiungerei all’elenco precedente. Anche questi confronti di foto, di com’erano i ghiacciai un centinaio di anni fa e come sono oggi, li abbiamo utilizzati milioni di volte. Io stesso che lavoro sui ghiacciai delle Alpi occidentali – tra Monte Bianco e Monte Rosa – immagini così forti le avrò mostrate in migliaia di conferenze, trasmissioni televisive, esposizioni, mostre, e in ogni genere di utilizzo mediatico. Evidentemente convinciamo chi è già convinto. La maggioranza della società tende, se non a ignorare, a non reagire di conseguenza a questo tipo di condizione.

 

 

Come si spiega che pure i decisori politici, chi ha responsabilità di governo, reagisca in maniera molto blanda – o al massimo con frasi a effetto, come “il prossimo decennio sarà decisivo altrimenti andremo incontro a scenari letali”, frase pronunciata dal ministro alla transizione ecologica Cingolani?

Hanno almeno tre grandi vincoli. In primis le pressioni economiche: più che la transizione energetica cui punta il ministro Cingolani, ci serve una conversione ecologica, meglio enunciata dall’enciclica di Papa Francesco uscita sei anni fa. Ma questa va a toccare interessi consolidati, e quindi viene frenata da una serie di pressioni nei settori più disparati – il più importante dei quali è l’energia fossile, ma non solo. C’è anche una scarsa accettazione sociale: quando si vanno a chiedere sacrifici alle persone che già sono vessate da mille altre richieste o costrizioni, il problema ambientale non viene visto come prioritario, con il rischio di reazioni alla gilet gialli. Manca la capacità di accettare una rinuncia nel proprio stile di vita, per motivi ambientali che hanno un riscontro a lungo termine, che tocca il benessere di figli e nipoti. Il politico non guarda oltre la sua legislatura, predilige scelte che diano un consenso a brevissimo termine.

La terza ragione?

È la difficoltà tecnologica: non abbiamo le soluzioni pronte, bisogna mettere insieme elementi ingegneristici, di efficienza energetica, di energie rinnovabili, ma anche elementi etici, di sobrietà, una vera e propria rivoluzione che implica anche un cambiamento dell’economia. Con le condizioni attuali – se si mantiene l’economia della crescita, vista come valore assoluto, che va sempre bene, una crescita in termini monetari che di fatto è una crescita nell’uso delle risorse e nella produzione di rifiuti – non possiamo risolvere questo gigantesco problema ambientale. Si deve cambiare sistema economico. Nessuno mette al primo posto questa verità e quindi si fanno soltanto piccole azioni aggiuntive, non risolutive.

Si deve cambiare sistema economico. Invece si fanno soltanto piccole azioni aggiuntive.

Cosa contesta al ministro Cingolani?

Critico il ministro Cingolani perché non ha il coraggio di fare le azioni che servono, contro i processi distruttivi. Fa solo delle aggiunte, più pannelli solari, più pale eoliche… ma per esempio la legge contro il consumo di suolo, che sarebbe urgentissima e deve fermare una vera e propria emorragia di suolo, non viene fatta. Un ministro della transizione ecologica deve fare entrambe le cose: con una mano aggiungere la parte construens delle energie rinnovabili, ma con l’altra deve fermare la parte destruens, bloccare processi perniciosi. Ma non si toccano quelli che sono interessi costituiti, consolidati.

Il suo giudizio su cosa conterrà il PNRR non può che essere negativo.

Il PNRR è pieno di contraddizioni. Vengono inserite azioni forzate con la parola eco, verde, bio davanti, ma che non hanno assolutamente nulla di sostenibile. Se guardiamo al gigantesco investimento in grandi opere, a migliaia di chilometri di ferrovia ad alta velocità… tutto questo viene dipinto come verde ma non lo è, basti pensare a quanto costano i cantieri in termini di emissioni. Si tratta sempre di aggiungere, ma oggi la sostenibilità si fa togliendo, non aggiungendo. Invece vogliamo fare pure il Ponte sullo Stretto dicendo che è verde, quando forse basta migliorare la linea di traghetti esistenti.

Quali sono le aspettative in vista della prossima conferenza internazionale per il clima a Glasgow? Dopo Parigi, a livello globale, siamo meglio preparati ad affrontare l’emergenza climatica – oppure no?

Alla COP26 c’è una piccola novità rispetto ai quattro anni precedenti, perché ci sarà il ritorno degli Stati Uniti nell’accordo di Parigi, l’unico elemento di aspettativa positiva rispetto a quanto fece Trump. Non ci saranno svolte clamorose, Biden darà credibilità e impulso alla politica climatica, ma sempre tenendo presente prima l’economia. Tutto funzionerà, nelle attività ambientali, solo se produrranno sviluppo economico. Si parlerà di auto elettriche, di pale eoliche… solo di aggiungere qualcosa a questo mondo, seppure con l’etichetta verde. Nessuno dirà di togliere qualcosa, nessuno fermerà gli altri processi.

Occorre rendersi conto del concetto di limite. Anche sulle Dolomiti devono farsi delle domande: fin dove ci si può spingere?

Passando dal globale al locale, lo sviluppo che lei cita si manifesta anche sulle nostre montagne. Mi riferisco per es. alle prossime Olimpiadi invernali o ad altri grandi eventi sportivi sulla neve. Dolomiti, abbiamo un problema?

Occorre rendersi conto del concetto di limite. Ci sono molte cose che funzionano nel turismo, nel territorio dolomitico, ma bisogna avere il coraggio di dire che si può arrivare sino a un certo punto e non si può crescere oltre, perché altrimenti vi saranno conseguenze negative. Gli stessi grandi eventi sportivi lo dimostrano. Va benissimo fare sport, ma le infrastrutture cementizie sono un’altra cosa. Il costruire supera di gran lunga i valori sportivi di manifestazioni del genere, eppure si continua a proporre manifestazioni di gigantismo. Io vivo in Val di Susa e l’ho sperimentato sulla mia pelle.

Ai Giochi olimpici di Torino, immagino.

Sì. Quando criticammo nel 2004/5 la costruzione di grandi impianti per le Olimpiadi invernali di Torino 2006, fummo vituperati come retrogradi che dicono sempre di no; dopo 15 giorni di gare queste opere sono puntualmente andate a pezzi. A volte si sono dovuti spendere soldi per smontarle, perché erano diventate un problema ecologico. Anziché imparare dagli errori, quando arriva un fiume di denaro, sarà quello a guidare le scelte, non tutti gli altri valori.

Vedremo come sarà Cortina dopo le Olimpiadi. Anche territori apparentemente tra i migliori nella gestione del territorio alpino e montano, come le Dolomiti, devono farsi delle domande: fin dove ci si può spingere? Il limite delle dimensioni del territorio dovrebbe essere il primo. Se ci stanno massimo diecimila macchine, non possono starcene ventimila.

Pure sviluppare l'impiantistica da sci ad alta quota, con gli inverni sempre meno nevosi, non sembra una grande idea.

Certo. Sul lungo periodo può essere certamente un investimento fuori tempo.

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Gianguido Piani Mon, 08/16/2021 - 14:14

In reply to by alfred frei

Dov'e' il problema? Gli ospiti possono arrivare con aerei, volentieri anche mezzi privati, all'aeroporto di Bolzano e raggiungere il nuovo resort in SUV o minivan larghi e comodi. All'organizzazione e' sufficiente acquistare "quote di emissione" di CO2 e cosi' possono ufficialmente pubblicizzare la vacanza come "a impatto zero" o "emissioni nette zero". Adesso che l'Amazzonia e' disboscata e la Siberia in fiamme ci sono ampi territori adatti alla riforestazione, quindi a prezzi molto convenienti. Niente niente sapendoci fare un po' il nuovo resort ricevera' certificazioni ambientali e bollini verdi. Stamo andando avanti cosi' da 20-30 anni, continuiamo pure.

Mon, 08/16/2021 - 14:14 Permalink
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Johannes Engl Mon, 08/16/2021 - 21:43

In reply to by alfred frei

Das bestehende Wirtschaftssystem ist kein Naturgesetz sondern wurde von Menschen gemacht. Demzufolge kann es auch von Menschen geändert werden. Gerne wird uns vermittelt, die aktuelle Art des Wirtschaftens sei alternativlos. Die Beharrungskräfte sind vielfältig und omnipräsent. Wenn wir ehrlich sind ist es auch ein Streit "Ich gegen mich selbst". Die Gemeinwohlökonomie hat zumindest schon genügend nachgedacht, viele andere reiben sich erst jetzt die Augen und fragen sich zum ersten Mal: ...und was machen wir jetzt? Die GWÖ zeigt Alternativen auf: Kooperation statt Konkurrenz - der Zweck des Wirtschaftens ist nicht das Geld, sondern ein gutes Leben für alle - nachhaltiges Wirtschaften muss sich mehr lohnen durch Änderung der Anreize und des Steuersystems.....
Das könnte auf demokratischen Weg erreicht werden, wenn - ja wenn es die Mehrheit will.

Mon, 08/16/2021 - 21:43 Permalink