L'altra scuola di Giovanni Accardo
L'autore, siciliano sagace, anche se risiede ormai da tanti anni a Bolzano dove esercita la professione di insegnante di lettere presso il Liceo “Pascoli”, spero prenderà con la dovuta ironia l'accostamento iperbolico. Al pari di Michel Houellebecq – che con involontario tempismo è uscito in libreria con “Sottomissione” poco dopo l'attentato a Charlie Hebdo –, anche Giovanni Accardo ha pubblicato il suo libro sulla scuola (Un'altra scuola. Diario verosimile di un anno scolastico, Ediesse) nelle settimane e nei giorni in cui insegnanti e studenti sono sul piede di guerra e contestano lettera e spirito del disegno di legge sulla “Buona scuola” voluto dal premier Matteo Renzi. Oppure, di iperbole in iperbole, e prima di dedicarci più sobriamente a parlare del testo, si consideri la domanda: quale sarà la domenica di resurrezione di un'istituzione tanto fondamentale per il nostro vivere civile dopo i venerdì di passione ai quali sono sempre stati condannati insegnanti, allievi e genitori, vale a dire chi di scuola vive?
Diradare la nebbia
Intorno alla scuola esiste paradossalmente una cintura di nebbia difficile da slacciare. Paradossalmente, perché – come si diceva – si tratta di una istituzione con la quale ognuno di noi è stato o è tuttora in contatto. E invece, opinioni negative diffuse – “gli insegnanti si arrogano il diritto di valutare gli studenti ma non vogliono essere a loro volta valutati”, “hanno tre mesi di vacanze all'anno, quindi sono tutti dei fannulloni”, “sono semplici impiegati che non hanno trovato di meglio da fare, praticamente degli imboscati, e dunque è comprensibile che il loro lavoro abbia perso prestigio sociale” - sono diventate purtroppo senso comune inscalfibile anche di fronte alle evidenze contrarie di più semplice dimostrazione (non dovrebbe per esempio essere troppo arduo contare i giorni “effettivi” di “vacanza”, e prendere nota del loro utilizzo).
In prima istanza il libro di Accardo è prezioso dunque proprio per questo: serve ad accompagnare chi lo leggerà all'interno del lavoro quotidiano di un insegnante – dagli ultimi giorni di agosto alla metà di giugno, quindi escludendo il periodo degli esami, ché altrimenti il diario avrebbe dovuto essere prolungato fino alle prime settimane di luglio – e fa piazza pulita degli equivoci, dei fraintendimenti (la nebbia) che di questo lavoro impediscono una percezione chiara e distinta.
Ecco allora emergere tutta l'attività non visibile che la sola presenza nelle aule, anziché rivelare, ha finito invece col nascondere. “Sabato primo dicembre: Quarantadue verifiche di italiano da correggere e non ne ho nessuna voglia. Eppure devo farlo. Si prospetta un altro week-end chiuso in casa a lavorare”. Senza contare il tempo che altri, senza riflettere, pensano sia dovuto, ovvero quello destinato a leggere, preparare, programmare.
Fuori da scuola
In effetti, il tema saliente di Un'altra scuola mi pare costituito dall'evanescenza dei limiti professionali entro i quali viene perlopiù concepito il compito di un insegnante (un'evanescenza che così ne individua l'essenza più di qualsiasi altra ristretta definizione). “Entro in terza e trovo Chiara in lacrime. Frugando nel computer del padre ha scoperto che durante l'estate la madre lo ha tradito” (pag. 151, ma anche sfogliando a caso se ne potrebbero trovare altri di esempi del genere). Oppure: “Nonostante sia il mio giorno libero, vado a scuola, oggi c'è il giornalista di Rai News 24, Salah Methnami. Alla fine partecipano solo due quinte”. Accardo ci fa sentire sempre la pressione del mondo esterno, per così dire extrascolastico, e la sua influenza nelle dinamiche interne della vita di classe. Non solo problemi, ovviamente, e il messaggio è chiaro: chi insegna non può pensare di rinchiudersi nel perimetro di un programma da svolgere come se ciò accadesse in una bolla spazio-temporale impermeabile alle mille sollecitazioni che accadono fuori di essa. E quando questa percezione diventa metodo, fioriscono iniziative di ogni tipo, si convocano scrittori e poeti in carne e ossa, si organizzano eventi, si cerca cioè di rendere la scuola quello che dovrebbe essere: un vero luogo di scambio. Anche se il rischio del dissanguamento è dietro la porta, sembra suggerirci l'autore, è solo trovando la forza di correrlo che vale ancora la pena essere insegnanti.
Tra eccellenza e grigiore
Volendo trovare un difetto (ma sarebbe solo il rovescio di un pregio che quindi non dovrebbe sforzarsi di apparire tale): l'eccellenza di un insegnamento si misura solo dalla capacità di scalfire la percezione di una normalità scadente? In altre parole: la quotidianità è riscattabile solo da comportamenti fuori dal comune? La contraddizione diventa palese davanti all'ipotesi di instaurare metodi di valutazione al riguardo, che Accardo giudica istintivamente sospetti (basti vedere cosa pensa dei test Invalsi). Per questo nel libro si sente però la mancanza di una descrizione dei tempi morti, dell'atmosfera grigia che necessariamente avvolge qualche sofferta “goccia di splendore” (De André). Avrebbe, a mio avviso, aperto nella narrazione sprazzi ambientali utili a scandirne meglio il fluire (così come, in alcune composizioni musicali, è necessario porre un “adagio” tra un “allegretto” e un “prestissimo”): “Alle 16.30 prendo la bici e ritorno a casa. Lungo la strada faccio una deviazione: invece di girare per casa mia, procedo lungo la pista ciclabile che porta verso il Talvera. Dopo una giornata al chiuso ho voglia di pedalare e respirare. Il fiume Talvera scende dalla val Sarentina e taglia in due la città, da nord a sud, costeggiato sui due lati da prati, alberi, piste ciclabili, parco giochi per bambini e impianti sportivi”. Radure “letterarie” di questo tipo sono poche. Peccato.
Lettera al prossimo ministro dell'Istruzione
Nella composizione del testo svolgono un ruolo preminente alcune mail indirizzate al professore da suoi ex studenti, ai quali è stato richiesto di indicargli che tipo di insegnante è stato e, in filigrana, qual è il senso autentico della scuola. Per questo ci sono anche lettere che lo stesso autore invia (o pensa di inviare) ai rappresentanti delle istituzioni, al fine di rilanciare al massimo livello tale esigenza. Tra queste spicca quella al “prossimo ministro dell'Istruzione”. “Gentile signor Ministro, quando sarà nominato responsabile della scuola, per prima cosa faccia dimostrazione di onestà e dica che le cosiddette riforme varate negli ultimi anni sono nate unicamente dalla mancanza di soldi e perciò altro non sono stati che tagli ala spesa dettate dalla necessità di risparmiare. Solo se le parole saranno effettivamente collegate ai fatti potrà avere la fiducia degli insegnanti. Per troppo tempo l'inganno è stato alla base della politica scolastica”. E altrove: “Il governo della scuola è affidato a delle macchine del sapere, a numeri infallibili, a tecnici e teorici che non hanno mai messo piede in un'aula di studenti vocianti e sudati, timidi e spaventati, confusi e immaturi. Cosa sanno queste macchine del sapere delle emozioni, dei sogni, dei pensieri di cui pretendono di organizzare e valutare gli apprendimenti? Cosa sanno della noia e della fatica di stare seduti cinque o sei ore al giorno ad eseguire compiti o memorizzare nozioni? Cosa sanno dei nostri adolescenti trasformati in impiegati dell'apprendimento, come fossero freddi e impassibili registratori, manichini ubbidienti?”. Toni di elevato impegno civile, come si vede, che rendono anche i minimi fatti narrati occasioni di profonda riflessione e discussione. Ed è ciò che ci auguriamo sinceramente avvenga, proprio a partire dalla lettura di questo bel libro.
Un'altra scuola verrà presentato lunedì 18 maggio, alle ore 20.30, presso il Liceo Classico “Carducci” di Bolzano (via Manci 8).
Errata corrige: quello della
Errata corrige: quello della "buona scuola" non è un decreto, ma un disegno di legge.