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"Alla fine è una questione di testa"

Intervista a Simone Davi, terzino dell'FC Südtirol cresciuto nel Laives, che studia economia e ama viaggiare: "Quando ero più giovane c’erano tanti ragazzi più forti".
Simone Davi Fc Suedtirol
Foto: Fc Südtirol

Quando l’anno scorso ha visto il diagonale sinistro infilarsi in rete per il suo primo gol da professionista nella fondamentale vittoria contro la Fiorenzuola, il primo pensiero di Simone Davi, 22 anni, laivesotto doc, è andato a mamma Paola Mazzali, capitana e playmaker del Basket Bolzano, deceduta in un incidente stradale quando lui aveva sei anni. Poche settimane fa il “terzino sinistro” cresciuto nel Laives con gli insegnamenti di papà Alessandro, maturato calcisticamente in biancorosso, dopo aver collezionato 69 presenze in Serie C, ha rinnovato con l'FC Südtirol fino al 2025. Un attestato di fiducia importante per un giocatore che nella sua giovane carriera si era già sentito “bocciato” per ben due volte, e cioè non appena approdato negli allievi biancorossi e quando, nel 2017, fu fatto “maturare” per due anni nella Virtus Bolzano tra Eccellenza e serie D.

La squadra guidata da Lamberto Zauli in queste settimane è in ritiro in val Ridanna. Nella prima amichevole stagionale di sabato Davi non ha giocato per un affaticamento muscolare. E' da vedere se riuscirà a recuperare per la seconda amichevole in programma giovedì 21 (ore 18, a Vipiteno) contro il Sassuolo.

 

 

Salto.bz: Quando e dove inizia la tua carriera calcistica?

Simone Davi: Sono nato a Bolzano, ma sono un laivesotto doc. Ho cominciato a giocare nel Laives a sei anni, la squadra era allenata da mio papà, Alessandro. Ho giocato lì fino a 14 anni. Poi sono arrivato all’FC Südtirol negli allievi regionali, quindi nei nazionali, nella Berretti, poi sono passato alla Virtus Bolzano in Eccellenza e alla fine sono tornato qui.

Anche chi non riesce a diventare professionista di solito ha qualche ricordo sportivo d’infanzia particolarmente emozionante stampato nella memoria. Ne hai anche tu uno?

Ero nel Laives, avrò avuto tredici anni. Per poterci classificare avremmo dovuto battere gli avversari con tre gol di scarto. In quella partita eravamo sotto 2 a 1. Poi vincemmo 5 a 2. Fu un momento molto esaltante per tutti noi ed è un ricordo che torna spesso alla mente.

Ovunque in Europa ci sono frotte di bambini che giocano a pallone. Per te il calcio è stato fin da subito più importante rispetto a quanto lo fosse per i tuoi coetanei?

Per parecchi anni il calcio è stato per me solo puro divertimento. Mi piaceva molto giocare e basta e poteva capitare che saltassi degli allenamenti. Da un certo momento il mio modo di approcciare lo sport è cambiato. Dalla Berretti in poi, diciamo.

E’ in quel momento che hai iniziato a crederci?

Nei primi anni negli allievi del Südtirol ho giocato davvero poco. Poi è arrivato mister Zenoni e ho iniziato a giocare sempre. A quel punto ho iniziato a sperare di poter fare qualcosa in questo sport. Ricordo che a 17 anni ebbi un colloquio ufficiale. Dissi ai dirigenti: io voglio vivere di calcio. Nel 2017 fui dato in prestito alla Virtus Bolzano. E se a 17/18 anni, venendo dalle giovanili di una squadra professionistica, giochi in Eccellenza, ti fai due domande e pensi che non riuscirai più ad arrivare in alto. Io comunque mi sono impegnato sempre al massimo e ho continuato a crederci. E nell’estate 2019 sono tornato in biancorosso. Ed ora eccomi qua.

Sei riuscito a diplomarti o lo studio è inconciliabile con l’attività sportiva a questo livello?

Dopo due anni allo scientifico Galilei ho cambiato scuola, era troppo dura. Mi sono poi diplomato all’ITE ed ora frequento l’università online. Sono iscritto ad Economia, faccio del mio meglio per assicurarmi un futuro dopo la mia carriera calcistica.

Sappiamo che fino alla fine molti pensavano che per l’ennesima volta non ce l’avremmo fatta, le battute le sentivamo anche noi.

Vero che c’è chi esordisce in serie A ben prima dei 20 anni, ma trovarsi in Serie B a 22 con tre stagioni da professionista alle spalle è già un traguardo notevole. L’anno scorso quando hai iniziato a pensare che la promozione sarebbe stata possibile?

Sì, io sto facendo quello che ho sempre sognato di fare. La scorsa stagione ho iniziato a credere che potessimo puntare alla promozione dopo la partita di andata a Padova. Mezza squadra aveva il Covid e riuscimmo a pareggiare in casa loro. E’ stata una partita davvero epica. Sappiamo che fino alla fine molti pensavano che per l’ennesima volta non ce l’avremmo fatta, le battute le sentivamo anche noi. E queste battute le capivo, vedendo la cosa da fuori. Perché solo quando sei dentro capisci quanto è difficile salire. Basta vedere cosa accade al Padova, che spende il triplo di noi ed è ancora in Serie C.

Verso la fine della stagione, con il Padova che vi tallonava, avete avuto paura di non farcela? In ogni caso vincere soffrendo dà alla vittoria ancora più gusto, non è così?

Assolutamente sì. Ad un certo punto abbiamo avuto un piccolo calo mentre il Padova vinceva sempre.  Quando dopo la partita a Trento eravamo a + 10 sembrava fatta. Ma devo dire che guardando il calendario mi sono detto: speriamo che non avvenga, ma sai che figo sarebbe giocarsi la promozione nella partita casalinga con il Padova? E poi è andata come è andata.

Sì per i tifosi quella in casa con il Padova è stata sicuramente una di quelle partite che non si dimenticano:. un pareggio senza gol con una parata pazzesca di Poluzzi al 93’.

Sì è stato un momento incredibile, davvero. Io feci fatica a dormire per tutta la settimana prima della partita. Cosa che invece non accadde con la Triestina per l’ultima partita.

FC Südtirol - Padova. Al minuto 3.52 la parata decisiva di Poluzzi a tempo ormai scaduto (video: FCS TV)

 

Quando ero più giovane c’erano tantissimi bimbi e ragazzi che mi sembravano più forti.

Com’è la vita da calciatore professionista in una città di provincia? Tu dici di te stesso che non sei un giocatore tecnico. Ti capita mai di guardare all’indietro e dire: quel mio compagno di squadra era fortissimo e pensavo avrebbe fatto strada. Che cosa fa la differenza? La testa?

Faccio una vita normalissima, abito a Laives, esco con gli amici, diversi dei quali li conosco da quando eravamo bimbi. Quando ero più giovane c’erano tantissimi bimbi e ragazzi che mi sembravano più forti. Io ho puntato sempre molto sull’aggressività e sul fisico. Quando si è ragazzi uno che gioca 'alla Chiellini' si nota meno di uno che gioca 'alla Neymar'. Penso spesso che ci sono diversi miei amici che potrebbero essere dove sono io. E’ difficile spiegare cosa faccia davvero la differenza. Sì, alla fine credo sia soprattutto una questione di testa. Io sono emotivo, ma l’emozione mi dà una carica positiva che mi fa dare il meglio. Mi piace molto sentire l’adrenalina. Sotto pressione credo di dare il meglio.

Il tuo modello da bimbo, e il tuo modello ora.

Il mio idolo da bimbo è sempre stato Alessandro Del Piero. Nel mio ruolo il giocatore per me più forte è Theo Hernandez del Milan. Un vero trascinatore con una personalità pazzesca.

Una tua passione diversa dal calcio? Riesci a coltivarne qualcuna?

Mi piace molto viaggiare. Appena ho un po’ di tempo lo faccio. Quest’anno sono stato a Zante con la mia ragazza e finora è stato il viaggio più bello che ho fatto. Poi mi piace molto andare a funghi, altra passione che mi ha trasmesso mio padre.