Society | L'intervista

“Basta prendersela con gli insegnanti”

Giovanni Accardo, docente di Lettere al liceo Pascoli di Bolzano, sui capri espiatori, il servizio di emergenza e la “guerra fra italiani”, e la politica pasticciona.
Giovanni Accardo
Foto: Giovanni Accardo

salto.bz: Prof. Accardo, dall’inizio dell’emergenza coronavirus gli insegnanti sono stati presi di mira in più occasioni, accusati di dare troppi compiti, avere pochi contatti con gli studenti, non lavorare quanto dovrebbero. Insomma non state facendo abbastanza?

Giovanni Accardo: Parto da un dato: il 4 marzo ci è stato comunicato che le scuole avrebbero chiuso per 15 giorni, venerdì 6 marzo in quasi tutti i licei di Bolzano si sono fatti i collegi docenti in presenza (pur rischiando un po’ a mio parere). Tutto con un unico obiettivo: essere pronti per partire il lunedì successivo, 9 marzo, con la didattica a distanza. Non avevamo alcuna preparazione pregressa, è stato davvero un esercizio di improvvisazione, eccezion fatta per chi aveva competenze digitali che si è trovato più avvantaggiato. Nel mio liceo, il Pascoli, ad esempio, abbiamo attivato le aule virtuali sul registro elettronico, i colleghi più esperti hanno proposto e illustrato le piattaforme sulle quali lavorare, abbiamo “acceso” mailing list con gli studenti e gruppi su Whatsapp. Insomma, alle 8.10 di lunedì 9 marzo eravamo in piena attività e da allora non ci siamo mai fermati, continuando anche con riunioni, consigli di classe, collegi docenti, sempre online. E certamente lavorare con queste modalità è molto faticoso, lo è per gli insegnanti delle superiori che hanno a che fare con ragazzi già autonomi, figurarsi per i maestri e le maestre delle scuole elementari.

Ma lo “smart learning” ha funzionato?

Vede, per anni abbiamo sentito parlare di “nativi digitali”, cosa che i nostri ragazzi di fatto non sono. Certo sanno usare qualche social, soprattutto Instagram, ma non hanno dimestichezza con le nuove tecnologie, hanno difficoltà a impaginare un file, in molti casi non sanno che differenza ci sia tra pdf e word. Pochi studenti dispongono di un pc personale, alcuni non hanno la stampante, e la maggior parte di loro si connette con lo smartphone. Ora, immaginiamoci una classe intera collegata via internet, 20 quadratini con le facce di ogni studente sullo schermo del telefonino, che tipo di interazione ci potrà mai essere? In sintesi: abbiamo avuto a che fare con una realtà molto fragile, eppure quanta retorica sul digitale.
All’inizio è stata dura per tutti, specie nel momento più rigido, quello del lockdown, c’è chi aveva difficoltà a dormire la notte e qualche studente aveva preso a mangiare di meno. La vita scolastica è fatta di relazione, con la classe e i colleghi, di incontri nei corridoi, di scambi continui, e quando tutto questo è venuto a mancare ci siamo ritrovati come in apnea, come sospesi. I dirigenti scolastici ci hanno detto di sostenere emotivamente i ragazzi ed è quello che abbiamo fatto, nel mio “diario della distanza” cerco proprio di raccontare questa esperienza profondamente umana.

Sono molto avvilito di fronte a un atteggiamento in verità molto comune nella nostra terra. È scattato il confronto tra “tedeschi” e “italiani”, i primi vengono considerati bravi e generosi, i secondi lavativi ed egoisti, ma le cose non stanno così

Qual è la sua opinione sulla polemica divampata in questi giorni riguardo il servizio di emergenza per asili e scuole elementari attivato negli istituti di lingua tedesca della provincia ma non in quelli di lingua italiana?

Sono molto avvilito di fronte a un atteggiamento in verità molto comune nella nostra terra. È scattato il confronto tra “tedeschi” e “italiani”, i primi vengono considerati bravi e generosi, i secondi lavativi ed egoisti, ma le cose non stanno così. Ciò che ho notato è che questa contrapposizione viene fatta non dalle persone di madrelingua tedesca, ma da quelle di lingua italiana che riversano fiumi di post calunniosi e offensivi sui social contro gli insegnanti e i dirigenti scolastici.

Un esempio?

Beh, fra i commenti che mi hanno lasciato più allibito c’era quello di un funzionario (o ex funzionario, non so dire) della Sovrintendenza scolastica, di cui non voglio fare il nome, il quale sosteneva che la Provincia potrebbe ridurre lo stipendio agli insegnanti visto che, a suo dire, essi stanno a casa senza fare ciò per cui vengono pagati, e con i soldi risparmiati finanziare il servizio di assistenza ai bambini mentre i genitori sono al lavoro. La verità è che stiamo facendo il doppio rispetto a quello che facevamo in presenza, e lo dico senza vittimismo né eroismo, ma per rispondere ad affermazioni del tutto fuori luogo. Non capisco questa guerra degli italiani contro gli italiani e soprattutto non comprendo perché la politica non si assuma le proprie responsabilità.

I ragazzi vivono con gli insegnanti moltissime ore del loro tempo e hanno bisogno di poter contare sul rapporto di fiducia che si instaura, se invece chi governa la scuola dà addosso agli insegnanti quella fiducia salta e a farne le spese sono gli alunni

Ogni riferimento all’assessore alla scuola di lingua italiana, Giuliano Vettorato, è puramente casuale.

Non mi soffermo sul pasticcio della delibera dal doppio significato, come hanno fatto notare i Verdi, ma una cosa la voglio dire molto chiaramente: compito dell’assessore competente non è quello di scaricare la responsabilità sui dirigenti scolastici, come è accaduto, ma di governare e tutelare la scuola. I ragazzi vivono con gli insegnanti moltissime ore del loro tempo e hanno bisogno di poter contare sul rapporto di fiducia che si instaura, se invece chi governa la scuola dà addosso agli insegnanti quella fiducia salta e a farne le spese sono gli alunni. Conosco molti dirigenti scolastici e sono convinto che nessuno di loro abbia deciso di rifiutare di attivare il servizio di emergenza per negligenza o disinteresse, ma perché si vuole ripartire con tutte le garanzie di sicurezza, così come chiedono del resto anche i sindacati. E c’è una precisazione importante da fare.

Ovvero?

Nessuna scuola è stata riaperta, come hanno riportato alcuni organi di stampa, né potrà riaprire se il governo non darà il via libera, assumendosene la responsabilità. Non abbiamo voglia di lavorare e ci fa comodo starcene a casa, ci dicono, e invece se potessimo ci torneremmo domani in classe, e di corsa, così come i nostri studenti, purché in sicurezza. La scuola si fa in presenza, ricordiamoci che questo è un surrogato dovuto all’emergenza.

A tutti manca la scuola e tutti abbiamo il desiderio di tornarci, è triste ad esempio che quest’estate alla maturità noi docenti non potremo abbracciare gli studenti che abbiamo seguito per 5 anni, ma questa è la condizione in cui ci troviamo, indipendente dalla nostra volontà

C’è chi dice che gli insegnanti dimostrano scarsa volontà nel mettersi nei panni dei genitori.

Spesso non sono i diretti interessati a contestarci. Parlo per la scuola superiore quando dico che non abbiamo ricevuto altro che attestati di gratitudine da parte dei genitori, non conosco la situazione nelle scuole d’infanzia o primarie ma non ho motivo di credere che le maestre non stiano facendo il loro dovere. Il punto è che non si può caricare tutto sulle spalle della scuola, come spesso si fa. Quella del servizio di emergenza, soluzione più che legittima, beninteso, è una questione non didattica ma sociale, dato che il fine è trovare il modo di fornire assistenza alle famiglie che ne hanno necessità.

Come se lo immagina il ritorno a scuola?

Difficile dirlo. Mi chiedo per esempio come si potrà mantenere un sufficiente distanziamento fisico, anche solo nel tragitto di centinaia di studenti in autobus fino a scuola. E poi le aule, ne servirebbero di più e anche un numero maggiore di insegnanti, e invece si tagliano risorse alla scuola e l’edilizia scolastica continua a essere carente, anche a Bolzano. Ci sono scuole nuovissime, come lo stesso Pascoli, ma che hanno bisogno di più spazi. Non mi convince molto la proposta di fare lezione con metà classe in aula e metà a casa, davanti a uno schermo per 6 ore. E l’insegnante dove dovrebbe posizionarsi, tutto il tempo davanti alla webcam? Pensiamo alla scuola elementare, come si potrà tenere buona la classe e nel frattempo interagire con gli alunni a casa? In sintesi: a tutti manca la scuola e tutti abbiamo il desiderio di tornarci, è triste ad esempio che quest’estate alla maturità noi docenti non potremo abbracciare gli studenti che abbiamo seguito per 5 anni, ma questa è la condizione in cui ci troviamo, indipendente dalla nostra volontà. Sarebbe dunque opportuno riflettere di più quando si tratta di scuola, specie in questo momento storico, e parlare un po’ meno a sproposito.

 

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Massimo Mollica Tue, 05/19/2020 - 09:02

La questione è importante e sarebbe interessante aprire un dibattito pubblico con toni pacati e nel pieno rispetto altrui.
Dal punto di vista informatico, aspetto che mi riguarda particolarmente, il problema riguarda tutte le categorie e le realtà e quindi travalica la scuola. Confesso che mi viene da piangere quando sento parlare di Whatsapp come strumento comunicativo/didattico (per la cronaca io non lo uso quindi sarei stato tagliato fuori). Esistono a riguardo delle piattaforme apposite di e-learning come quella di Alphabet (Google) molto valide. Solo che vanno testate e usate in periodo di "pace" per poi essere sfruttare nei momenti di necessità. Stesso discorso per gli stumenti da utilizzare per tale formazione a distanza. Stiamo in una provincia molto benestante da dimenticarci che non tutti hanno un pc o connessione internet a casa. Anche in questo caso bisognerebbe predisporre uno strumento valido per tutti (penso ai validissimi Chromebook, da un costo minimo) e ripagabile nel corso dei 5 anni. E tutto questo dovrebbe essere fatto a livello provinciale. Se, come spesso succede, la politica non ha tale sensibilità queste proposte dovrebbero arrivare dai docenti, che vivono in tale realtà.
Comunque quando il prof. Accardo sostiene "per anni abbiamo sentito parlare di “nativi digitali”, cosa che i nostri ragazzi di fatto non sono", denota una spiccata intelligenza e conoscenza della materia, cosa che molti docenti non sono. Ecco l'importanza di corsi di formazione e supporto informatico sistematico (discorso che rientra anche nella esperienza del progetto FUSE).
A questo aspetto se ne affianca quello un altro, meno tecnico più sociale. Perché questa differenza tra mondo scolastico "italiano" e "tedesco"? Che di fatto c'è! Qualcuno me lo può spiegare visto che sono ignorante in materia?
C'è chi fa riferimento ai sindacati perché è nella sua natura delle cose. Io personalmente non li ho mai considerati perché ritengo che il sindacato debba essere UNICO, e debba essere un ente snello e dinamico e aperto anche alle nuove tecnologie. Fermo restando che ritengo pure io che la Scuola oltre a impartire nozioni insegna anche e soprattutto a relazionarci, a creare una coscienza critica tramite la cultura. E questo non lo si potrà mai fare online.

Tue, 05/19/2020 - 09:02 Permalink