Culture | salto weekend

Working class (anti)hero

Al cinema gli emarginati di un tradizionale Ken Loach nel film “Io, Daniel Blake”, Palma d’Oro a Cannes. Quando la burocrazia gambizza i cittadini.
blake.png
Foto: fact.co.uk

Politico fino al midollo, osservatore ossessivo e compassionevole delle vite della classe lavoratrice, il veterano della settima arte Ken Loach torna, con il consueto scrupoloso realismo, a riprodurre le dissonanze croniche dell’ingiustizia sociale. Lo fa con il suo ultimo film Io, Daniel Blake - Palma d’oro (la seconda dopo la vittoria nel 2006 con Il vento che accarezza l’erba) al Festival di Cannes -, quintessenza del cinema d’ispirazione proletaria loachiana.

La storia, scritta dal fido Paul Laverty, è quella di Daniel Blake (Dave Johns), carpentiere di mezza età di Newcastle, vedovo, novello Umberto D., che in seguito a una crisi cardiaca si trova costretto a chiedere, per la prima volta, il sussidio statale perché dichiarato inabile al lavoro. Cerca quindi di ottenere l'indennità, lottando per mantenere la sua dignità mentre si fa strada fra le spire di una labirintica e algida burocrazia britannica che non gli riconosce l’invalidità. Ad un certo punto nella sua vita arriva Katie (Hayley Squires), giovane madre single di due bambini piccoli che non riesce a trovare lavoro. Prigionieri entrambi nelle strutture reticolari di un sistema amministrativo soverchiante proveranno a venirne fuori come meglio possono, fra tappe ai banchi alimentari e alle associazioni a scopo benefico che suppliscono alle mancanze ingiustificabili dello Stato.

La parabola del regista inglese, abituato ad accarezzare i suoi spettatori contropelo sbattendo loro in faccia l’incontrovertibile e scomoda realtà dei fatti, resta incollata all’estetica degli archetipi della filmografia loachiana, autoreferenziale, e sorprendente quanto il panettone a Natale. Nonostante (o malgrado) ciò il film poggia su interpretazioni convincenti e ha il pregio di affiancare al racconto dissacrante, e a volte noiosamente didascalico, una leggerezza umoristica - anche questa marchio di fabbrica del filmmaker britannico - mai inappropriata e che al contrario allarga le pareti del corridoio tematico, quello della denuncia e della protesta sociale.

La complessità del sistema di welfare - con le sue scartoffie e le tecnologie per molti ancora inespugnabili -, apparentemente disegnato per preservare le politiche di austerità governative, viene vivisezionato da Loach per combattere la retorica del parassitismo sociale che sfrutta i sussidi per non dover lavorare. Io, Daniel Blake è un ritratto impietoso, eloquente (auspicabilmente non salottiero) e soprattutto credibile della nostra contemporaneità, doveroso, forse irritante per i suoi detrattori. Ma in fondo, a pensarci, non è troppo facile essere cinici con i film di Loach?
 

Una battuta: “Why won’t you ask me about my heart?”

 

Il trailer (in lingua originale) del film "I, Daniel Blake" di Ken Loach