Environment | Economia e Ambiente

Come eravamo

Come era il tema dell'ambiente 30 anni fa? Cosa è stato fatto? Come siamo cambiati?
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Discarica Chiusa
Foto: Angelucci Giulio

Ultimamente la discussione sulla tutela dell’ambiente è portata avanti tra le altre dalla Last Generation, che si identifica come l’ultima generazione in grado di prevenire il cambiamento climatico. Se quindi misuriamo lo scorrere del tempo per generazioni e fissiamo arbitrariamente (ma non troppo) questo tempo in 30 anni possiamo porci la domanda: com’era la tutela dell’ambiente una generazione fa?

Limitandomi ai settori che conosco bene ecco alcuni numeri:

Nel 1993 la raccolta differenziata era al 16 %. La necessità di sviluppare questo tipo di raccolte fu recepita di lì a breve con l’entrata in vigore del Decreto Ronchi nel 1996 che prevedeva di raggiungere una percentuale del 35%. Oggi siamo al 69% molto vicino all’obiettivo del 2030 fissato dal pacchetto per l’economia circolare.

Sempre quell’anno le discariche rappresentavano la principale soluzione al trattamento rifiuti e, nonostante fossero collocate lontano dai centri abitati, l’odore che si sviluppava era percepibile anche a grande distanza. Si cercava di ovviare al problema coprendo giornalmente i rifiuti con terra vegetale. In questo modo però si riduceva il volume utile della discarica. L’inceneritore di Bolzano, pur avendo due linee, veniva utilizzato per una sola linea e smaltiva 28.000 ton/anno di rifiuti contro le 116.000 che arrivavano nelle discariche comprensoriali. La massima potenza termica che poteva generare quell’impianto era di 5 MW, l’impianto attuale ne può generare 35. Le grandi discariche “incontrollate”, vale a dire sprovviste di qualsiasi forma di impermeabilizzazione, di Castel Firmiano, Collina Bolzano Sud e vecchia Discarica di Castel Firmiano non erano risanate e il liquido prodotto da queste discariche, ovvero il percolato, finiva per contaminare l'acqua della falda di Frangarto. In alcuni casi si vedeva questo liquido nerastro fuoriuscire dalle fessurazioni delle rocce.

La stessa discarica di Castel Firmiano fino a pochi anni prima rappresentava la principale soluzione per i rifiuti prodotti dalla città di Bolzano. Oggi tutte queste discariche sono risanate.

Ad eccezione di alcuni comuni che avevano avviato pioneristicamente la raccolta dei rifiuti organici, in quegli anni la maggior parte di questa frazione potenzialmente recuperabile finiva direttamente nel residuo. Oggi se ne raccolgono ogni anno ca. 115 kg a persona.

I grandi risanamenti legati alle contaminazioni delle industrie a Bolzano e Merano dovevano tutti ancora incominciare.

Ogni comune aveva un luogo deputato dove far sparire i rifiuti, spesso erano scarpate o vecchie cave. Solitamente quando la quantità di rifiuti superava una soglia critica, i rifiuti si bruciavano a cielo aperto e in questo modo si creava nuovo volume utile.

discarica di San Felice
Incendio alla discarica di San Felice, foto degli anni 90

Ogni comune aveva un luogo deputato dove far sparire i rifiuti, spesso erano scarpate o vecchie cave. Solitamente quando la quantità di rifiuti superava una soglia critica, i rifiuti si bruciavano a cielo aperto e in questo modo si creava nuovo volume utile.

La situazione era analoga in tutta Europa, i rifiuti erano apparsi con l'affermarsi della società dei consumi.

Per arrivare ad una sintesi, dando uno sguardo d’insieme al presente e a quanto è stato fatto, è utile leggere la relazione “Klimaverträgliche Abfallwiirtschaft” dell’Umweltbundesamt (Agenzia per l’ambiente di Berlino). Per la Germania, il passaggio dal sistema di gestione rifiuti affidato alle discariche, tipico di metà degli anni ’90, ad un sistema che si affida principalmente alla raccolta differenziata e secondariamente al recupero energetico della frazione residua ha rappresentato un importante contributo alla tutela dell'ambiente. Nei numeri, questo passaggio ha ridotto per questo settore le emissioni di CO2 equivalente del 75%. Analoghe considerazioni e analoghi risultati si trovano per la Provincia di Bolzano nel terzo aggiornamento al piano gestione rifiuti. Non vi è dubbio quindi che questo passaggio importante abbia contribuito a una maggior tutela dell’ambiente.

compattatori_discarica_vadena.jpg
Discarica di Vadena fine anni '90

Anche nel settore acque è stato fatto tanto, la realizzazione di una rete capillare di impianti di depurazione consente di captare più del 97% degli scarichi per, dopo il trattamento, poterli immettere nelle acque superficiali.

Apparentemente il percorso che è stato fatto nell’arco di una generazione ci racconta una storia di successo, ma come tutte le storie bisogna fare attenzione a non cadere in quello che l’autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adiche chiama il “pericolo di un’unica storia”.

E per capire bene la storia dobbiamo aprire lo sguardo, ripartendo dall’inizio, non in senso temporale ma secondo un principio gerarchico. Perché ogni “storia dei rifiuti” è una storia che parte da materie prime che, combinate tra loro, creano un prodotto, che alla fine del suo ciclo di vita diventa un rifiuto. I rifiuti sono una parte integrante dell’agire umano; e il primo rifiuto è stato generato quando l'uomo ha separato la parte commestibile da quella non commestibile, scartando quest'ultima. Eppure, la storia della gestione dei rifiuti è piuttosto recente e intimamente legata a quella che può essere definita la società dei consumi. I rifiuti sono un ottimo indicatore per capire che rapporto esista tra essere umano e risorse, proprio per la loro intima connessione con la struttura sociale che li produce. Non per nulla Papa Francesco nel “Laudato Si`” parla di società dello scarto.

Allargando lo sguardo possiamo dire con una certa chiarezza che l’approccio che abbiamo avuto in questi trent’anni rispetto al tema dell’ambiente è quello che tecnicamente chiamiamo “technischer Umweltschutz” che può essere riassunto in questa frase “il problema ambientale è un problema tecnico e la tecnica troverà la soluzione”. È un approccio che però si limita a rispondere alla domanda sul come gestire bene i rifiuti (o l’ambiente), trascurando altre domande che inizierebbero con un perché…

Allargando lo sguardo possiamo dire con una certa chiarezza che l’approccio che abbiamo avuto in questi trent’anni rispetto al tema dell’ambiente è quello che tecnicamente chiamiamo “technischer Umweltschutz”

Ci siamo prevalentemente confrontati con la tecnica, ma in questo modo abbiamo forse ignorato come fenomeni quali deregulation e globalizzazione abbiano finito con il produrre maggiori differenze nella distribuzione delle risorse, sia in senso orizzontale che rispetto alle future generazioni. Siamo adesso in un sistema dalle forti tensioni e contraddizioni. Penso a quanto riporta Salvatore Settis nel suo libro “azione popolare”, cioè alla possibilità da parte degli enti pubblici di alienare beni pubblici anche demaniali con lo scopo di fare cassa. Procedure cui si sente parlare a livello nazionale (vedasi ad esempio le preoccupazioni legate alla “privatizzazione” dell’acqua dovute alla quotazione in borsa di multiutility Toscana) o alle polemiche anche recenti che hanno coinvolto la nostra provincia. Non si vuole in questa sede mettere in discussione la legalità di tali operazioni, non va però sottovalutato il messaggio simbolico secondo cui beni dello “stato comunità”, cioè di tutti i cittadini, sono trattati come beni dello stato persona, impersonificato da chi quello stato o provincia governa. Non si può non pensare che questi esempi ci parlino di un mondo, per dirla con le parole del sociologo Franco Ferrarotti, dove “l’economia di mercato ha finito per tracimare e trasformare tutta la società in una società di mercato”.

Relazioni come quella dell’Umwetbundesamt “Die Nutzung der natürlichen Ressourcen” mostrano come l’impronta ecologica della nostra società sia ca. tre volte superiore a quella che potremmo definire soglia di sostenibilità e l’idea di “ridurre” mal si accompagna all’idea di “sviluppo”.

Relazioni come quella dell’Umwetbundesamt “Die Nutzung der natürlichen Ressourcen” mostrano come l’impronta ecologica della nostra società sia ca. tre volte superiore a quella che potremmo definire soglia di sostenibilità

La sfida a cui ci richiamano le generazioni più giovani non potrà dare risposte solo tecniche, né limitarsi ad affidarsi solo al mercato. Sarà necessario trovare nuove strade, cercando anche in quei valori che con il tempo abbiamo tralasciato. Nel saggio “Solidarietà un utopia necessaria” Stefano Rodotà sottolinea come della triade rivoluzionaria, Libertà, Uguaglianza e Fraternità sia stata proprio quest’ultima la componente più debole. Ed è forse proprio dalla fratellanza, declinata anche come solidarietà, che dobbiamo partire, perché, e questo lo sappiamo già, le risorse non rinnovabili che sono al centro del dibattito sulla tutela dell’ambiente, i patrimoni comuni, possono essere gestiti solo seguendo un principio di solidarietà. E non dobbiamo pensare la solidarietà come uno strumento astratto. Esistono già numerosi esempi in cui questo risorse limitate sono sottoposte a tutele particolari, penso alle procedure previste nel caso di danno ambientale, alle bonifiche dove la tutela dell'ambiente prevale sul diritto di proprietà. Esistono anche esempi di solidarietà in aziende vere e proprie e penso all'espereinza portata avanti negli anni 50-60 dall'imprenditore Adriano Olivetti. Sono esempi concreti che, per una vera sostenibilità, non possiamo più ignorare. Dobbiamo affrettarci a trovare gli strumenti giusti perchè la limitazione delle risorse in alcuni casi è già alle porte e penso all'acqua. Negli ultimi due anni abbiamo già vissuto periodi estivi o invernali di siccità, con potenziali conflitti sia nei confronti delle altre regioni/provincie sia all'interno della nostra stessa provincia tra categorie produttive. Un risorsa scarsa può essere gestita con autorità o con solidarietà, la prima è quella che Langer chiama "eco-dittatura" e che come tale crea divisione, la seconda è una strada nuova, che deve partire da noi, non dagli altri. Medesime azioni produrranno medesimi effetti, e la tutela dell’ambiente potrà essere efficace solo se siamo disposti a percorrere strade nuove.