Qui non ci sono confini
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La frase "qui non ci sono confini" compariva sulle transenne dei lavori di ristrutturazione del Municipio di Palermo. I temi confini, libertà, sicurezza, crisi ambientale si intrecciano con interessanti spunti di riflessione
Ho lasciato l’Argentina nel febbraio del 1976, i miei genitori ci rimandavano in Italia con i nonni. Loro sarebbero rientrati più tardi. Mio padre era uno degli ingegneri italiani che erano li a costruire l’impianto per la produzione primaria dell’alluminio. A noi bambini nessuno diceva niente ma mi sorprendeva quell’improvviso ritorno con i nonni. Pochi mesi dopo il nostro ritorno, eravamo a pranzo a casa dei nonni, e la televisione mostrava le immagini del colpo di stato in Argentina. Era il marzo del 1976.
Forse un anno dopo o poco più tardi mi ricordo mio padre, in una discussione con alcuni amici, giustificare in qualche modo quel colpo di stato in nome della sicurezza, del pericolo che in Argentina rappresentavano i Montoneros, gruppi guerriglieri di sinistra. Mio padre era una persona liberale, di formazione cattolica, dai valori democratici, eppure buona parte della prima narrazione del golpe in Argentina era legata al tema della sicurezza dal pericolo della instabilità rappresentata, come nelle parole di mio padre, dai Montoneros. La faccia sanguinosa e tutt’altro che rassicurante di quel regime si mostrerà poco tempo dopo.
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Il tema della sicurezza che si intreccia con il conflitto è sicuramente un tema legato alla natura umana e alla necessità dell’uomo di vivere in relazione, di stare in società.
Il tema della sicurezza che si intreccia con il conflitto è sicuramente un tema legato alla natura umana e alla necessità dell’uomo di vivere in relazione, di stare in società. Su questi aspetti con sfumature diverse hanno scritto fior di pensatori, Eraclito, Platone, Hobbes, Kant, Freud, solo per citarne alcuni. Il tema della sicurezza si intreccia anche con il tema della libertà come ci ha ben insegnato l’esperienza delle misure di sicurezza messe in atto durante la pandemia, dove le stesse misure che andavano a ledere i principi tipici degli stati liberali, sono state giustificate dalla necessità di un bene superiore, la protezione della vita (Vedasi Jürgen Habermas “proteggere la vita”). Si pensi poi alle discussioni che si accendono negli Stati Uniti sulla possibilità dei cittadini di possedere armi e che si appellano al testo del secondo emendamento “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, una ben organizzata Milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare Armi, non potrà essere violato” (fonte Wikipedia). A questo proposito scrive Hillman nel suo saggio “Un terribile Amore per la Guerra”: Negli Stati Uniti “fucili e pistole sembrano essere più necessari alla sicurezza personalizzata, alla libertà individualizzata e alla uguaglianza fungibile che non l’avere un tetto sulla la testa”. Se quindi la sicurezza è in qualche modo un'espressione della libertà, allora forse possiamo utilizzare le categorie della libertà per analizzare la sicurezza. Norberto Bobbio in “Libertà e uguaglianza” individua una libertà negativa ed una positiva, intese l'una come libertà da vincoli (nulla e nessuno che possa ostacolare le nostre scelte e azioni) la seconda come attributo della volontà, ovvero dell'autodeterminazione (ovvero assecondare e adempiere alle leggi che noi stessi ci siamo prescritti e a cui diamo il nostro consenso).
Facendo un parallelo mi sembra sensato/ ragionevole parlare allo stesso modo di sicurezza negativa e sicurezza positiva; mi permetto questa semplificazione per facilitare l'esposizione. Se la sicurezza “da” è un concetto che è abbastanza intuitivo, un po' più complesso è il tema della sicurezza “di”. Questa seconda tipologia di sicurezza ha sicuramente un aspetto dinamico (“sono sicuro di me”, implicitamente rimanda a qualcosa da svolgere).
Nella natura umana vi è la ricerca della cosiddetta comfort zone che è rappresentata dal luogo “dove l'insicurezza, la scarsità e la vulnerabilità sono al minimo livello; dove crediamo di poter avere accesso a una quantità sufficiente di amore, cibo, talento, tempo, ammirazione, dove sentiamo di poter esercitare un certo controllo” (Brenè Brown). Una volta raggiunta questa zona, cosa ci resta da fare? Dobbiamo restare e difendere la nostra zona di confort o aprirci ad altre strade? Si tratta di un aspetto a mio avviso ben esemplificato nella parabola dei talenti: il servo che per paura di perdere il talento affidatogli lo interra, viene scacciato dal suo padrone. La sicurezza “da” non basta, esattamente come non ha senso parlare solo di libertà negativa.
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Questo intreccio tra volontà e sicurezza ci riporta nella nostra dimensione umana più vera.
La semplificazione che distingue libertà negativa e libertà positiva in libertà “da” e libertà “di” è stata oggetto di critiche. Norberto Bobbio, infatti, ritiene che la libertà positiva sia caratterizzata dalla volontà umana e quindi dovremmo valutare come e quando la sicurezza si intrecci con il tema della volontà.
Qui l’approccio di Norberto Bobbio sulla Libertà sembra potersi sovrapporre con il concetto di volontà proposto dallo psicoterapeuta italiano Roberto Assagioli, secondo cui la volontà è una esperienza dell’autocoscienza e come tale elemento caratterizzante della dimensione umana. Secondo Assagioli la volontà è caratterizzata da due tempi uno “introspettivo” che corrisponde al momento della scelta dell’obiettivo, e il secondo “dinamico”, e cioè il momento del raggiungimento dello stesso.
“È quel momento “determinante” in cui ciascuno di noi si deve chiedere, nell’intimo del proprio animo, se il succedersi delle azioni che caratterizzano e definiscono il nostro impegno umano, corrisponda realmente ai nostri obiettivi; e quale “valore autentico” attribuiamo loro e perché li abbiamo scelti (sempre che siano stati realmente scelti!)” (testo tratto da “la volontà come esperienza dell’autocoscienza. Di Sergio Bartoli, allievo diretto di Assagioli).
Questo intreccio tra volontà e sicurezza ci riporta nella nostra dimensione umana più vera. Come vogliamo ottenere la sicurezza affermando il nostro essere umani? Ritengo, e non sono il solo, che sia proprio la capacità di autodeterminarci, di esprimere atti di volontà, che ci rappresenti come esseri umani. Scrive Hillman: “Noi umani siamo privilegiati per ciò che riguarda la capacità di comprensione, soltanto noi possediamo la libertà e la facoltà di azione per comprendere i problemi del pianeta”.
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Il tema della sicurezza si intreccia con le migrazioni e le migrazioni si intrecciano con il cambiamento climatico
Qualche anno fa ho avuto occasione, a margine di un incontro sul tema dei rifiuti, di parlare di sicurezza con il sindaco di Palermo Leoluca Orlando e mi ha colpito molto il suo pensiero che si rifà dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, dove la sicurezza va declinata non da sola ma nel rispetto dei diritti umani di tutti. (Vedasi l’ultimo suo libro-intervista: “Enigma Palermo”). Si noti come anche in questo approccio sicurezza e libertà siano intimamente intrecciati.
Nell'esperienza quotidiana - e in parte mi riallaccio alle esperienze riportate dal ex sindaco di Palermo Leuoluca Orlando - il tema della sicurezza si intreccia con le migrazioni e le migrazioni si intrecciano con il cambiamento climatico. Il rapporto EURAC sul cambiamento del clima del 2018 stimava la presenza sul territorio provinciale di ca. 1.300 migranti climatici e nel rapporto di Legambiente 2023 “un umanità in fuga”. Si legge: “Secondo le stime di UNHCR, quasi il 60% delle persone costrette alla fuga nel mondo si trova nei Paesi più vulnerabili all’impatto dei cambiamenti climatici, come Siria, Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Afghanistan e Myanmar. Nell’ultimo decennio, dal 2013 al 2022, i rischi legati alle condizioni meteorologiche hanno provocato in questi Paesi una media di 5,7 milioni di sfollati all’anno, oltre il 25% di tutti gli sfollamenti dovuti a catastrofi legate ad eventi meteorologici.” I migranti generalmente parlando “arrivano qui per mangiare perché a casa loro sono affamati… i migranti arrivano qui per bere perché a casa loro sono assetati” (Suku Metha “Questa terra è la nostra terra”); è un tema che non possiamo eludere, ma che non possiamo affrontare se pensiamo che la sicurezza sia solo una forma di sicurezza “da”. Non possiamo pensare che il tutto si possa risolvere solo costruendo muri. Aromor Ravi, direttore dell’Indian Institut for Human Settlements ritiene ad esempio che in alcune parti del mondo i confini diventeranno irrilevanti. “Si può costruire un muro per cercare di contenere diecimila, ventimila, un milione di persone, ma non dieci milioni” (citazione tratta da “Questa terra è la nostra terra”).
Esattamente come per la storia dell’Argentina, una visione monodimensionale della sicurezza rischia di portarci in una dimensione estrema dove, il pericolo è di perdere la nostra umanità. Si tratta di concetti che non sono semplici da trasporre nella nostra vita quotidiana. I rischi a cui siamo soggetti oggi sono diversi e figli di una società che è profondamente cambiata negli ultimi 15-20 anni e vanno dai problemi di ordine pubblico alla sicurezza informatica. Non di meno, nella scelta dell’approccio alla soluzione anche dei problemi pratici, dobbiamo sempre porci quelle domande che ci caratterizzano come umanità, evitando di affidarci a semplici slogan. Si tratta di saper trovare anche soluzioni creative e nuove. Cito solo a titolo esemplificativo quelle di cui per un motivo o per l’altro sono venuto a conoscenza, come il protocollo Zeus per la prevenzione della violenza sulle donne o la proposta della carta di Palermo dell’allora sindaco Leoluca Orlando. Protocolli al centro dei quali viene messa la persona; nel primo responsabilizzando l'uomo (maschio) a prendere reale consapevolezza della gravità dei propri gesti; il secondo teso a riconoscere il diritto inalienabile di mobilità di ogni individuo e quindi diritto fondamentale di ogni migrante. Il tema della sicurezza è urgente ed è necessaria una lettura multidimensionale del tema come ho cercato di tratteggiare in questo scritto.
Le crisi che stiamo vivendo si intrecciano, come abbiamo potuto vedere e stanno ponendo l’umanità davanti ad un bivio. Le domande sono tante e le risposte spesso vaghe, ma il prezzo per salvaguardare quell’unico talento interrato forse è troppo alto.
“Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire noi” cantava Gaber, forse molte risposte si troverebbero subito dopo.