
#NotAllMen & femminicidi
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Spesso mi trovo a spiegare che il mio focus è sulle donne che vivono violenza, ma per comprendere il fenomeno è indispensabile anche uno sguardo agli attori di questa violenza, ai maltrattanti. Così concludo la mia miniserie di interviste con personaggi stimolanti chiacchierando con il filosofo femminista, autore di libri, blogger e formatore Lorenzo Gasparrini. Gli ho chiesto di #NotAllMen e di cosa possano fare gli uomini, non come gruppo ma proprio come singoli individui, per prevenire i femminicidi:
“A chi risponde con #NotAllMen io dico: significa che tu sei ancora dell’idea che il femminicidio sia come un evento atmosferico – piove, e che ci puoi fare! Se invece sei consapevole del fatto che il femminicidio arriva alla fine di una precisa escalation di violenza maschile, alla fine di una strada fatta di tanti piccoli passi e lunga nel tempo, allora devi imparare a intercettare la violenza nel tuo amico, nel tuo vicino di casa e anche in te stesso. Stiamo parlando di dotarci di una sensibilità comune e diffusa che ci permetta di riconoscere e intervenire prima che accada il peggio.
Gli uomini non si devono sentire in colpa come genere perché qualcuno attribuisce loro una violenza intrinseca in quanto uomini. Devono però rendersi conto che stiamo in una società che ti ha insegnato che in fondo questa cosa ti appartiene proprio come uomo, che a un certo punto hai il permesso di essere violento, che è “roba tua” e che ci sono delle occasioni nelle quali, purtroppo, questa cosa ti può scappare di mano. Stiamo parlando di qualcosa che sta nella tua vita in tantissimi aspetti, ma che tu non chiami per nome, non la chiami violenza. Pensi, infatti, che sia questione di carattere, che sia la giusta rabbia, che “gli uomini fanno così”, e quindi non ti accorgi di prendere quella (brutta) strada. Questa abitudine alla violenza ce l’hai da sempre, da quando sei bambino. Quella strada parte quando a scuola alzi un gonnellino, tiri i capelli e mostri un ragno alla bambina per spaventarla… Parlo di tutte quelle dimostrazioni di forza superiore a quella dell’altro genere. Riconoscere questo, significa che già da quando sei bambino puoi usare un altro metodo per dimostrare che sei diverso. Nessuno vuole negare l’identità di genere, il tuo essere maschio, ma bisogna mettere in discussione il ruolo maschile come dominante.
Cambiare questi atteggiamenti è difficile più sei adulto, quando ti interroghi su quante volte sei stato violento, oppressivo. Per un cambiamento serve assumersene la responsabilità. Questo è un passo importantissimo (e tortuoso) per risolvere un grande problema sociale: ognuno di noi (specialmente se uomini) deve fare il suo pezzetto di strada diffondendo la conoscenza e aumentando la sensibilità di una collettività. Si tratta di riconoscere e non prendere sottogamba il ragazzo che vuole controllare la ragazza, la battutaccia e tutti quei segnali che ci sono, sempre. Non si tratta di colpevolizzare, non significa certo che tutti gli uomini sono colpevoli, ma significa che troppi uomini non ne stanno parlando e quindi non cambia granché.
Nella mia esperienza gli uomini vanno stimolati ad assumersi le proprie responsabilità e iniziare un dialogo di genere: a parlare di queste cose come una questione di genere e riconoscere che pur nelle differenze generazionali, culturali, di provenienza, abbiamo lo stesso problema. Si chiama patriarcato e entra nelle nostre vite. Parliamone.”