Environment | Energia

Il futuro delle rinnovabili passa anche da qui

L'Alto Adige è all'avanguardia riguardo la produzione di energia da fonti rinnovabili? Lo abbiamo chiesto a Marco Baratieri, docente di Fisica Tecnica all'Unibz.
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Promuovere la crescita delle energie rinnovabili è un impulso costante in un contesto globale in rapido mutamento. Nel nostro piccolo anche la Libera Università di Bolzano fa la sua parte. Accanto ai laboratori già presenti nell'istituto, infatti, ne sono stati appena inaugurati due, denominati “Biofuels” e “Bioenergy”, attraverso i quali sarà possibile analizzare e caratterizzare combustibili solidi e liquidi, focalizzando la ricerca in particolare sulle biomasse e quindi sui combustibili rinnovabili che vanno dalle biomasse forestali, come ad esempio il legno, fino agli scarti agro-industriali e agroalimentari. I due laboratori saranno guidati da Marco Baratieri, professore associato di Fisica Tecnica alla Facoltà di Scienze e Tecnologie.

Professor Baratieri, in che modo si svolgerà la vostra attività all’interno dei laboratori?
Tramite le tecniche analitiche che seguiamo in laboratorio riusciamo a studiare tutta la filiera di trasformazioni dal combustibile fino alla produzione di energia, che per noi significa “cogenerazione” e cioè la produzione combinata di energia elettrica e di energia termica (calore). I processi che analizziamo per la conversione in energia sono, accanto alla combustione tradizionale, quelli della pirolisi e della gassificazione. 

Questi processi di produzione di energia sono complicati da ottenere?
I processi termo-chimici, quelli sui quali concentriamo la nostra ricerca, sì, sono piuttosto complicati. Il più semplice è quello della combustione, quelli più all’avanguardia che sono anche i più interessanti per la nostra provincia, sono i già citati processi di pirolisi e gassificazione. Attraverso quest’ultimo, ad esempio, si trasforma la biomassa di partenza, come il legno, in un gas e ciò facendo è possibile poi accedere a sistemi di generazione di energia più efficienti. Il punto è che esistono gli impianti ma occorre ottimizzarli e ridurre gli impatti ambientali.

E a che punto è la ricerca?
Per quanto riguarda la gassificazione ci sono degli impianti di tipo commerciale ma non sono particolarmente performanti. La ricerca relativa a questo tipo di processo è improntata sul miglioramento delle prestazioni. Per quel che riguarda la pirolisi - che somiglia alla gassificazione solo che invece di un gas si produce anche un liquido, ad esempio, o un solido - c’è ancora molto da fare; siamo ancora alla fase di laboratorio, per intenderci, e cioè misuriamo ad esempio come depurare il gas o i liquidi che si ottengono. Una delle nostre linee di ricerca è quella di studiare dei sistemi di filtrazione che possano essere i più sostenibili possibili. 

Qual è l'impatto ambientale e climatico che deriva dall'utilizzo di tali tecnologie?
Da un punto di vista della produzione di anidride carbonica l’impatto è nullo dal momento che si tratta di combustibili rinnovabili. Se la biomassa viene coltivata o prelevata dalla foresta in modo sostenibile, oppure se viene utilizzata una biomassa di scarto, queste sostanze che andremo a bruciare, pirolizzare o gassificare tornerebbero nel ciclo naturale durante la decomposizione della pianta. La CO2 che rimettiamo nell’atmosfera sarà quindi interamente recuperata andandosi a fissare un domani sulle piante. Ci sono tuttavia degli impatti collaterali indotti da prodotti di scarto, ad esempio il processo di combustione produce la cenere che deve essere in qualche modo smaltita o utilizzata come fertilizzante ove possibile. Per quanto riguarda i processi più innovativi (come quelli della gassificazione e della pirolisi) ci sono due sostanze oggi sotto i riflettori: il “char” o “biochar”, su cui si fa spesso confusione.

In che senso?
Il biochar è un residuo solido ottenuto quasi ad hoc perché considerato un buon ammendante per il terreno. Per quanto riguarda la gassificazione al nostro punto di vista il char che si ottiene è uno scarto, un sottoprodotto che potrebbe contenere delle sostanze pericolose. Il char è carbonio al 70%, e noi stiamo cercando di riutilizzarlo come materiale filtrante, quindi come valore aggiunto e non come rifiuto. Nella gassificazione c’è poi anche un residuo liquido chiamato comunemente “tar” ovvero un catrame che si trova appunto nel gas e che dà problemi perché molto appiccicoso. Doverlo smaltire ha un suo impatto, anche se parliamo di quantità non molto rilevanti.

Che sviluppi si immagina per il futuro nell’ambito della produzione di energia rispetto alle tecnologie che state perfezionando?
Queste tecnologie sono molto interessanti per la produzione di energia sul territorio, Mi spiego: non ci immaginiamo la costruzione di grossi impianti ma la diffusione di strutture della scala di qualche centinaio di chilowatt di potenza che producano in maniera distribuita sul territorio energia elettrica e calore da utilizzare in loco, dunque un’energia che potremmo quasi definire a “chilometro zero”. Nella nostra provincia al momento stiamo producendo il 25% circa dell’energia termica, di cui abbiamo bisogno, da fonte rinnovabile. Vedo quindi un buon margine di sviluppo per il futuro; il restante 75% è, per capirci, tutto terreno di conquista, sempre però nel rispetto dell’ambiente.