La scuola può educare all'ambiente?
Sono trascorse due settimane da quando, con l'apertura dell'anno scolastico, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha annunciato una campagna di ascolto tra insegnanti, studenti e genitori attorno al suo documento “La buona scuola”. Tra le diverse proposte contenute nel testo, vi è il rafforzamento di alcune materie d'insegnamento – inglese, coding, storia dell'arte e musica. Nelle intenzioni del premier, “la capacità di leggere e produrre bellezza è un elemento costitutivo dell'essere italiani e dobbiamo valorizzarla per mantenere un giusto posizionamento internazionale”, puntando non solamente sul cosa insegnare, ma anche sul come farlo, ad esempio attraverso la digitalizzazione.
Molte però sono le questioni ancora aperte sull'istruzione italiana, dalle scadenti conoscenze matematico-scientifiche degli studenti (sotto la lente d'ingrandimento delle indagini PISA commissionate dall'OCSE anche in Sudtirolo) agli strumenti della didattica da aggiornare – per non parlare degli edifici scolastici, con differenze macroscopiche da regione a regione. Last but not least l'educazione ambientale e alla sostenibilità. Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia, ne ha denunciato la “assenza ingiustificata” dal piano di Renzi:
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione delle nuove generazioni che dovranno prendersi cura del pianeta.
Non tutti concordano sul modo della scuola di sensibilizzare all'ambiente. Secondo quanto afferma il biologo e filosofo tedesco Andreas Weber, nell'intervista di Karl-Ludwig Schibel riportata da Salto.bz, nell’educazione alla sostenibilità mancano situazioni non organizzate, incontrollate, libere e all'aria aperta, caratteristiche di una "istruzione alla vitalità". In ambienti artificiali come quelli pedagogici ben strutturati “rimane poco spazio ai bambini per seguire i propri desideri” e fare esperienze profonde. Afferma Weber:
Diverse ricerche empiriche dimostrano come i bambini vengono desensibilizzati e provano repulsione se a una tenera età vengono confrontati con la fragilità del mondo, le minacce della crisi ecologica, i rischi dei cambiamenti climatici: diventano quasi cinici. Quando l’educazione ambientale viene insegnata come una materia scolastica tra le altre, gli effetti sono devastanti. A mio avviso gli insegnanti dovrebbero andar fuori con gli allievi per dargli lo spazio e la possibilità di scoprire desideri che non sentono più.
Di tutt'altro avviso è Paolo Tamburini, responsabile del Servizio Comunicazione, educazione alla sostenibilità e strumenti di partecipazione della Regione Emilia-Romagna, che in un commento inviato alla Accademia dei Colloqui di Dobbiaco risponde alle obiezioni di Andreas Weber:
Weber sembra contrapporre l’educazione all’aria aperta ai giochi al computer, la progettazione didattica e formativa alla serendipità. Il rischio è quello di ricadere in uno schema ricorrente nel pensiero occidentale che contrappone ‘struttura’ a ‘spontaneità’, ‘rigore’ a ‘immaginazione’ – ma l’educazione all’ambiente e alla sostenibilità pensata e realizzata in Italia e in altri paesi è tutt’altro che uno schema nozionistico dentro le mura di una scuola, non esclude affatto le strategie, metodologie e modalità che suggerisce Weber. Educazione alla sostenibilità come paradigma e strumento che supporta le politiche di sostenibilità, facilita e mette alla prova i nuovi comportamenti e stili di vita dei cittadini.
L'educazione alla sostenibilità sarà al centro della 25esima edizione dei Colloqui di Dobbiaco, „Dal fare al dire – Imparare per l'era solare“ . Relazioni e workshop saranno incentrati sull'assunto: “Fuori nella natura – scoprire, esplorare, trasformare!”. Secondo i curatori Wolfgang Sachs e Karl-Ludwig Schibel
Le aule scolastiche non sono luoghi per nuove esperienze e avventure, stimoli indispensabili all'impegno per un futuro solare: affinché il tema della conversione ecologica entri finalmente nelle scuole, esse devono aprirsi o persino essere abbandonate del tutto, andando alla ricerca dei luoghi del cambiamento ecologico.
A tal proposito, vale forse la pena ricordare un aneddoto sull'educazione raccontato in un'intervista alla BBC dal premio Nobel per la fisica Richard P. Feynman, dove traspare il suo scetticismo rispetto a certe derive del nozionismo.
Vivevamo a New York, e le Catskill Mountains erano il posto in cui la gente andava d'estate. I padri lavoravano a New York durante la settimana, e ritornavano per il weekend. Quando mio padre tornava, mi portava a fare delle passeggiate nei boschi, e mi raccontava varie cose interessanti che accadevano fra gli alberi. Guardando un uccello mi disse: “Lo sai che uccello è quello? E' un tordo dal collo marrone, ma in portoghese si chiama ontarapéro, in italiano ciùttera pichìdda, in cinese chu won tò, in giapponese ptada tokdatcha” e aggiunse: “Puoi conoscere il nome di quell'uccello in tutte le lingue che ti pare ma una volta elencati tutti i suoi nomi non saprai assolutamente nulla riguardo all'uccello, l'unica cosa che saprai sarà come gli uomini di diversi luoghi lo chiamano”. “Ora - disse - osserviamolo e vediamo cosa sta facendo. E' questo che conta”. Apprezzai molto presto la differenza tra conoscere il nome di una cosa e guardare una cosa.
Andreas Weber interverrà ai "Colloqui di Dobbiaco" domenica 5 ottobre alle ore 10, presso il Kulturzentrum del Grand Hotel Toblach / Dobbiaco. Il titolo della sua relazione sarà "Fuori nella libertà! Per un’infanzia selvaggia".