Umwelt | Trentino

La diga che sembra non volere nessuno

Manifestazione ambientalista a Lamon contro la diga del Vanoi per l'invaso da 30 milioni di metri cubi tra Trentino e Veneto. Ma Zaia e Salvini frenano sul progetto.
Diga di Vanoi
Foto: FQ
  • Sono più di 200 le persone che hanno partecipato ieri (6 ottobre) a Lamon (Belluno) alla manifestazione di protesta contro il progetto di realizzazione di una diga sul torrente Vanoi, tra Veneto e Trentino, finalizzata ad ottenere una riserva idrica a fini irrigui. Il progetto, presentato dal Consorzio di bonifica Brenta (che ha appaltato a un raggruppamento temporaneo di professionisti la progettazione degli studi preliminari), prevede un invaso che raccoglierebbe 20-30 milioni di metri cubi d'acqua da rilasciare in base alle esigenze delle coltivazioni agricole a valle. Alla manifestazione hanno preso parte più sigle del mondo ambientalista e della società civile delle province di Belluno, Vicenza e Trento, oltre ad esponenti istituzionali tra cui il presidente della Provincia di Belluno, Roberto Pedrin, e rappresentati politici a più livelli. Tra i punti maggiormente contestati del progetto vi sono, in particolare, la mancata previsione di momenti di informazione alla popolazione e i tempi troppo ristretti per consentire a chi ne abbia titolo di presentare osservazioni al piano di fattibilità.

  • La risposta di Zaia e Salvini

    Sull’ipotesi di realizzare la diga del Vanoi la politica non può intervenire, spetta ai tecnici dire l’ultima parola “ed è giusto che sia così”, sostiene il Governatore del Veneto Luca Zaia, che in ogni caso frena sul progetto: “L'unica cosa che può fare la politica è dire: noi pretendiamo che siano valutate fino in fondo le certezze di sicurezza totale. Per quel che riguarda la politica, non deve essere autorizzato il progetto se non c'è la certezza matematica, e a me sembra che certezze matematiche non ce ne siano. I nostri tecnici dicono che c'è una fragilità del territorio che va valutata fino in fondo”. Già qualche settimana fa Zaia si era detto scettico: "Non possiamo permetterci un secondo Vajont (il 9 ottobre ricorrerà il 61esimo anniversario, ndr) e finché non è risolto anche il più piccolo dettaglio che potrebbe creare allarme e preoccupazione, la nostra posizione è di chiusura".

  • Il progetto di invaso del Vanoi, al confine tra Trentino e Veneto: la diga è duramente contestata dagli ambientalisti e dagli enti locali trentini. Foto: Il T quotidiano
  • ll presidente veneto frena al pari del Ministro alle infrastrutture Matteo Salvini, che sull’invaso del Vanoi mercoledì scorso al question time alla Camera ha detto che “nessun progetto è ancora stato presentato al Ministero dei trasporti” e che la richiesta di finanziamento “non risulta tra quelle presentate al Piano nazionale di sicurezza idrica previsto dal Pnrr” di competenza del ministro. “Al momento l'operato del consorzio è di studio e progettazione dell'opera, non riguarda la realizzazione. Il progetto che sarà sottoposto all'esame del Ministero delle Infrastrutture e Trasporti dovrà includere la comparazioni di soluzioni alternative, compresa l'opzione zero, ovvero anche l'ipotesi di assenza della diga”.

  • Il no di Fugatti

    "Non ci sorprende affatto la notizia che anche la regione Veneto considera impraticabile l'ipotesi progettuale di una diga nel Vanoi - commenta il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti riguardo alle ultime affermazioni del governatore Zaia - Tanto per cominciare, anche se può risultare antipatico ricordarlo, lo avevamo detto fin dall'inizio. Ma soprattutto, eravamo e siamo convinti che amministrare un territorio significa anzitutto mettere al primo posto il concetto di responsabilità, verso i propri concittadini in primis ma anche nei confronti di comunità più ampie". Il governatore trentina ringrazia infine il collega Luca Zaia "con il quale peraltro ci eravamo confrontati ed al quale la Provincia autonoma di Trento ha ufficialmente espresso la contrarietà dell'opera. La sua posizione conferma peraltro quanto sia importante lavorare sul piano non solo politico e diplomatico, ma anche economico e sociale perché la consapevolezza della fragilità delle aree alpine divenga sempre più patrimonio comune e diffuso", conclude Fugatti.