Una catastrofe per il clima
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Più energia fossile, meno energia rinnovabile, l’uscita dalla convenzione internazionale sul clima, meno fondi per la trasformazione verde nel Sud globale. Con Trump ci aspettano 4 anni persi per la protezione del clima?
Con la vittoria di Trump si profilano guai, arretramenti, pericoli di ogni tipo, sia per gli americani sia sul piano internazionale. Ricordando la sua prima presidenza per la lotta al cambiamento climatico l’elezione di Trump è il “worst case”. Se lo prendessimo alla parola gli USA usciranno dall’accordo internazionale sul clima di Parigi del 2015 e la produzione di energia fossile vivrebbe una rinascita massiccia. Gli Stati Uniti, secondo maggior emettitore globale di CO2 (dopo la Cina), interromperebbe il suo percorso di riduzione dei gas serra e si congederà dall’obbligo di ridurre le emissioni CO2, afferma Sonja Thielges, esperta della Stiftung Wissenschaft und Politik tedesca in un’intervista.
Non a caso Trump e la sua entourage negano o bagatellizzano le prove inconfutabili del fattore umano nel cambiamento climatico in corso. Forse le varie sciagure ambientali, che colpiscono sempre più spesso la popolazione americana dai tornado alla siccità fino ai giganteschi incendi di boschi, non hanno ancora impressionato l’elettorale medio più di tanto.
La probabile uscita degli USA dalla Convenzione sul clima, che verrebbe decretata nei primi mesi dal ritorno di Trump alla Casa Bianca, entrerebbe in vigor solo dopo un anno, quindi nel 2026. Nel 2017 il sistema internazionale per la protezione del clima aveva sofferto dal ritiro degli USA, ma non era crollato. Stavolta, però, altri stati potrebbero seguire l’esempio americano, come per esempio i paesi produttori di gas e petrolio, cogliendo l’occasione per liberarsi da ogni vincolo. La responsabilità comune internazionale per il clima, faticosamente costruita negli ultimi 30 anni, verrebbe erosa, si potrebbe creare un effetto domino, soprattutto a scapito dei paesi più vulnerabili del Sud globale.
All’imminente COP 29, che sarà inaugurata questo lunedì a Baku, capitale dell’Azerbaigian, parteciperà la delegazione nominata da Biden, sicuramente costruttiva su uno degli argomenti centrali di questa conferenza, il finanziamento della protezione del clima (NCQG), stabilito dall’UNFCCC. Ma difficilmente gli americani a Baku potranno firmare accordi di lunga durata, che rischiano di essere subito sospesi dalla nuova amministrazione. Ne uscirebbe compromessa la credibilità degli USA sul piano internazionale che già oggi non è la migliore. Anche l’uscita dall’energia fossile, proclamata in forma generale all’ultima COP-28 di Dubai, potrebbe essere silurata dal nuovo presidente. Una volta usciti dall’UNFCCC gli Stati Uniti potrebbero restare a guardare per parecchio tempo perché per il rientro sarebbe richiesta la maggioranza di due terzi del Senato, ora pure conquistato dai Repubblicani.
I pericoli di controriforma sono meno forti in riguardo alla legge principale sulla trasformazione del sistema energetico, l’Inflation Reduction Act (IRA), voluto da Joe Biden, che solo apparentemente pretende di lottare soprattutto contro l’inflazione, ma in sostanza è un grande “Green Deal”. Grazie all’IRA sono stati stanziati centinaia di miliardi di USD per l’energia rinnovabile, per la conversione dell’industria pesante e del sistema dei trasporti e i l risparmio di energia. I produttori di tecnologie verdi da anni vivono un vero boom, centinaia di posti di lavoro creati. Ne approfittano anche gli stati americani governati da Repubblicani, per cui buona parte dell’IRA potrebbe salvarsi dalle ire dei trumpisti alla Casa Bianca. L’amministrazione Trump numero II sicuramente sarà tentata di tagliare i fondi dell’IRA, anche perché Trump dovrà mantenere le sue promesse nei confronti dei superricchi e dei ricchi di ridurre ulteriormente le imposte. Le perdite di entrate tributarie dovranno essere compensate da un’altra parte. Non c’è dubbio che in tale direzione sarà assecondato dal nuovo compagno di sciagura Elon Musk.
Il credo non celato da Trump nella campagna elettorale era “Drill, drill, drill” (trivellare ad oltranza). Si profila una spinta verso più attività di fracking e di petrolio, un’accelerazione dei progetti petroliferi, gassiferi e di estrazione di minerarie. Non bisogna dimenticare però che anche Joe Biden ha autorizzato non poche trivellazioni soprattutto a largo della costa dell’Alaska.
Come previsto nel suo programma di riforma “Project 2025” i trumpisti si metteranno a ristrutturare la grande autorità ambientale federale EPA, progettano di allontanare migliaia di funzionari non allineati, e di indebolire la protezione del clima a livello federale. Tempi duri per il movimento del clima americano. La trasformazione del loro sistema economico insostenibile gli USA la dovranno comunque affrontare, by design or by disaster. L’elettorato sembra aver preferito la seconda opzione.