Books | La presentazione

“Il sostegno dell’Italia mi ha salvato”

Patrick Zaki a Bolzano racconta i terribili 20 mesi di prigionia in Egitto. “Voglio fare sentire la mia voce per quei giornalisti e attivisti ancora in carcere”.
patrick zaki bolzano
Foto: Seehauserfoto
  • “C’è un Patrick prima della prigione e un Patrick dopo.” Così Patrick Zaki si descrive al numeroso pubblico di Bolzano, riunito per ascoltare la sua storia di venti mesi di detenzione nelle carceri egiziane. Nato nel 1991, Patrick viveva a Bologna come studente quando, nel febbraio del 2020, tornò in Egitto per visitare la famiglia. All’aeroporto, fu arrestato. “Ho capito subito che qualcosa non andava – racconta –. Di Patrick Zaki che si occupano dei diritti umani ce ne sono pochi. Avevo già sentito di molti giornalisti e attivisti reclusi dal regime di Al Sisi, sapevo a cosa stavo andando incontro.”

  • Le persone intervenute: Da destra Riccardo Noury, Valentino Liberto, Patrick Zaki e Jessica Fabbro. Foto: Seehauserfoto
  • Durante la presentazione, moderata dal giornalista di SALTO Valentino Liberto, Zaki racconta dell’esperienza da cui è poi nato il suo libro “Sogni e illusioni di libertà. La mia storia” edito da La Nave di Teseo. “Nelle prime 36 ore sono stato bendato, ammanettato e colpito. Le condizioni erano terribili: celle senza letto o bagno, non sapevo che ore fossero, non potevo parlare con il mio avvocato o la mia famiglia, non avevo diritti.” 

     

    “L'Italia non voleva che si ripetesse un altro caso come quello di Giulio Regeni, e questo ha avuto un ruolo importante nella mia storia.”

     

    “La sofferenza psicologica è stata la più dura. Ero molto depresso, ci sono state volte in cui avrei preferito non svegliarmi il giorno dopo. Convivo con le violenze psicologiche ancora oggi e sto cercando di superarle. Ma so di essere stato privilegiato,” racconta Zaki, sottolineando il legame con quella che è oggi la sua seconda patria, l’Italia. “Le guardie mi chiamavano ‘l’italiano’, il che mi faceva sentire che qualcosa si stava muovendo fuori dalla prigione. Il sostegno della popolazione italiana mi ha salvato. L'Italia non voleva che si ripetesse un altro caso come quello di Giulio Regeni, e questo ha avuto un ruolo importante nella mia storia.”

  • La sala piena per Patrick Zaki: “Il sostegno della popolazione italiana mi ha salvato”. Foto: Seehauserfoto
  • Un ruolo chiave nella vicenda di Zaki è stato svolto da Amnesty International, che da anni si impegna nella difesa dei diritti umani. “L’Egitto è il classico esempio del doppio standard che c’è nello scacchiere internazionale: i diritti umani si condannano quando li violano gli stati nemici e si condonano agli stati amici. L’Egitto è un partner commerciale importante per l’Italia, soprattutto per quanto riguarda le armi”, spiega Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Il nostro lavoro è complesso – continua – con Patrick ci siamo mobilitati durante il Covid, riempiendo le città con disegni di Patrick, perchè non potevamo farlo con le persone. Noi siamo quelli che ottengono il minimo risultato con il massimo sforzo, però oggi il minimo risultato lo avete qua davanti e non è poco”

  • Patrick Zaki intervistato: “Non c’è cambiamento senza rischio” Foto: Seehauserfoto
  • Patrick Zaki è stato incarcerato con il pretesto di un articolo che aveva scritto, ma il suo intero lavoro per i diritti umani a non poter essere tollerato dal regime egiziano. “Ci sono centinaia di giornalisti incarcerati, ci sono persone in prigione per un like, una persona nella cella affianco alla mia è stata incarcerato per essere passata a fianco ad un evento critico verso il regime. È un sistema governativo che non tollera nessuna critica”. 

    “L’Egitto è il classico esempio del doppio standard: i diritti umani si condannano quando li violano gli stati nemici e si condonano agli stati amici”.

    Della sua passione per i diritti umani, diventata poi professione e scopo di vita, Patrick racconta: “I miei genitori sono persone normali che volevano un figlio che studiasse medicina. Quando decisi di lavorare per i diritti umani dopo aver preso la laurea in farmacia non la presero bene – racconta sorridendo –. Credo che il punto di svolta sia stato la rivoluzione del 2011, mi ha fatto nascere la volontà di lavorare per le persone e la comunità. Non c’è cambiamento senza rischio”.