Politik | Elezioni comunali

“Bolzano abbatta i suoi muri”

Renato Sette guida la lista Restart nella coalizione di centrosinistra. Il percorso culturale, la scelta di appoggiare Andriollo, le numerose proposte sull'urbanistica – e il raffronto con Bressanone.
Renato Sette
Foto: Renato Sette
  • SALTO: Sette, come sta andando la vostra campagna elettorale? 

    Bene. È dura, perché gli altri sono stanchi da quindici giorni, noi siamo stanchi da tre anni. Però fa parte del nostro viaggio. Siamo convinti che sia la strada giusta. Abbiamo sicuramente fatto un passo in più, siamo andati fuori anche dai nostri schemi, dai nostri argomenti usuali. Ora siamo un gruppo un po’ più ampio, ancora più eterogeneo. Vediamo che cosa faremo da grandi, ma non lo voglio dire adesso.

    Tre anni di percorso nella società civile, capaci di tematizzare alcune questioni sentite dalla cittadinanza. Poi però la scelta è stata di entrare nell’agone politico proprio all’interno della coalizione di governo uscente: una coalizione verso la quale, nel vostro percorso precedente, avete mosso delle critiche – rappresentando un pungolo per chi aveva governato Bolzano finora. Come avete affrontato questo passaggio?

    Siamo molto orgogliosi del percorso che abbiamo fatto. Ci fermano, ci dicono: “Siete stati gli unici, Restart è stato l’unico spazio capace di ascoltare, di generare dibattito, confronto, e poi visione”. In un recente dibattito a Coopbund si è capita l’importanza del nostro contributo. Molti dei temi trattati nascevano proprio dal nostro lavoro: città vasta, abitare innovativo, modelli alternativi. A un certo punto tante persone — quelle incontrate nei parchi o durante i percorsi di rigenerazione urbana — così come rappresentanti della società civile, ci hanno chiesto di fare un passo in più vedendo in noi un soggetto utile per la città. Così, alla fine dell’estate scorsa, iniziamo a valutare il passo verso le comunali, e concretizziamo tutto tra ottobre e novembre. La mia candidatura è stata messa a disposizione di un contenitore che abbiamo sì criticato, ma che è stato anche l’unico, a differenza di altri, capace di ascoltarci, valorizzarci e, soprattutto, recepire concretamente alcune proposte per l’agenda politica. Basti pensare alle ultime interviste del sindaco Caramaschi sul concetto di “città vasta” o su come costruire in alcune aree di Bolzano: lì c’è l’eco del nostro lavoro.

    C’è una discontinuità, un cambio di registro, con l'assessore uscente Juri Andriollo (PD) candidato sindaco?

    Uso sempre questa metafora: il sindaco che guiderà Bolzano nei prossimi cinque anni metterà dei semi, ma raccoglierà i frutti del sindaco precedente. Se sarà Corrarati, dovrà tenerlo a mente. E la stessa cosa vale per Andriollo. In questo nuovo contesto politico – e, speriamo, nella nuova Giunta e nel nuovo Consiglio – era importante rappresentare un elemento di forte innovazione e competenza. Crediamo che la politica debba essere fatta da persone con una professionalità ampia e variegata. Noi portiamo discontinuità soprattutto su temi che il centrosinistra, senza per forza aver sbagliato, non è riuscito a far avanzare. Le difficoltà sono simili ovunque: comunità in crisi, mobilità, casa. Noi abbiamo criticato la lentezza nel rispondere a questi cambiamenti, la difficoltà nell’anticipare situazioni pericolose.

    Il nuovo Piano di sviluppo territoriale e paesaggio è un’occasione: non riguarda solo l’urbanistica, ma tutte le politiche di governance del capoluogo – mobilità, sanità, sociale, cultura. Bisogna mettere insieme strumenti già esistenti, come il Piano sociale e il Piano del verde, e integrarli in un sistema. È questa la vera sfida della complessità: legare i pezzi, non costruire a caso. Per esempio, se costruisco 100 ettari di case nel verde agricolo solo per fare in fretta, avrò problemi ambientali. Ma se costruisco il necessario in modo sostenibile, con quartieri verdi e mobilità dolce, allora posso evitare determinate conseguenze. Questo è il nostro approccio.

  • Foto: Seehauserfoto
  • A proposito di costruire e non costruire: in città si è aperta una sorta di “mercato delle aree edificabili”, con centrodestra e centrosinistra che indicano aree potenzialmente pronte per l’edilizia. Qual è la vostra posizione?

    Bisogna partire dai dati. Negli ultimi vent’anni, tra il 2001 e il 2021, a Bolzano sono state realizzate 4.657 abitazioni. Di queste, 3.038 nei primi dieci anni. Quindi, negli ultimi dieci anni, si sono costruite poco più di mille case. È evidente un rallentamento nella risposta ai bisogni abitativi. I motivi sono vari, ma tra questi c’è sicuramente una scarsa propensione dei privati a investire nel capoluogo. Ci sono molte aree, come l’ex Gorio o l’ex Eder, di proprietà privata. Il Comune non può obbligare un privato a costruire, ma può promuovere una regia pubblica, sedersi ai tavoli con i privati, spiegare la necessità di sviluppo per la città, usare strumenti di perequazione urbanistica o incentivi che rendano gli investimenti più appetibili. Anche il caso Benko ha reso complicato il rapporto pubblico-privato, ma la regia pubblica serve proprio a questo: perseguire l’interesse collettivo anche dialogando con i privati. La nuova Giunta dovrà prima di tutto stilare una lista completa delle aree con potenziale edificabile. Capire cosa l’attuale perimetro urbano può offrire. E solo se questi numeri non saranno sufficienti — e lo dico chiaramente: non lo saranno — bisognerà pensare a sacrificare piccoli pezzi di verde agricolo. Parliamo di brownfield, aree non più rilevanti dal punto di vista della biodiversità, da trasformare in quartieri verdi, sostenibili, con mobilità dolce e parchi urbani. Non ci stiamo inventando nulla: la legge provinciale già lo prevede. È ciò che stiamo facendo a Bressanone. Anche Bolzano deve muoversi in questa direzione.

    E l’Areale ferroviario? Per anni è stato il “sogno” urbanistico della città, oggi invece è una chimera. Come lo vede Restart?

    L’areale ha una valenza simbolica enorme: è la porta d’accesso della città e dell’intera provincia. Bolzano merita una stazione moderna e funzionale. Ma bisogna essere onesti con i cittadini, senza vendere sogni: per vedere qualcosa di concreto ci vorranno 10 o 15 anni. È un progetto complesso, con tanti soggetti coinvolti. Quello che possiamo fare è attualizzare il piano Podrecca e costruire un crono-programma serio per tutte le aree adiacenti, come suggeriscono anche da artigiani e imprenditori — tra cui i rappresentanti dei Mercati Generali. Abbiamo fatto l’esempio dell’ex Gore e dell’ex Eder, proprio perché si trovano nei pressi dell’areale. E lo stesso discorso vale per i Mercati Generali. Nel frattempo, però, abbiamo già attivato delle cose concrete: grazie all’assessora Rabini e anche al nostro contributo, l’uso temporaneo degli spazi dell’areale è diventato realtà. E lì vogliamo far nascere una cultura generativa, che venga dai giovani e generi sinergie ed energie.

    Veniamo alla mobilità. Tra tram bocciato, “partito della macchina” e Agenda Bolzano, sul traffico la città sembra letteralmente un po’ ferma. Voi come affrontate il tema?

    Bolzano ogni giorno è attraversata da 22mila lavoratori in entrata e da oltre 4000 in uscita. Di questi, il 60% usa l’auto privata. È evidente che così non regge. Il tema della città vasta torna centrale: Bolzano offre lavoro, servizi, cultura, ma è circondata da infrastrutture che non dialogano bene con lei. Abbiamo investito tanto fuori città, ma troppo poco dentro.

    L’Agenda Bolzano, con una positiva accelerazione su una serie di nuove opere, e tutte le altre iniziative promosse dalla Provincia con l’assessore Alfreider sono un ottimo primo passo. Ma bisogna agire in modo ancor più deciso: introdurre una ZTL diffusa durante le ore di punta, con varchi d’accesso e parcheggi scambiatori. Solo chi ha un permesso – bolzanini, artigiani, mezzi pubblici – può accedere. È una soluzione adottata da città come Milano. Parallelamente vogliamo sviluppare “superblock” come a Barcellona, dove si riduce drasticamente il traffico e si restituisce lo spazio pubblico alle persone. Parliamo quindi di quartieri in cui introdurre progressivamente il concetto di traffico dolce, pensato per biciclette e pedoni. Questa “decelerazione” può migliorare la qualità della vita nei quartieri.

    E se dopo le elezioni Restart dovesse restare all’opposizione?

    Non ci fermeremo. Il nostro è un progetto che ha radici profonde e che continuerà come soggetto politico ma anche culturale. Abbiamo già in programma eventi e conferenze per l’autunno. Certo, il risultato elettorale conta: anche con un solo consigliere potremmo creare un ponte tra la voce della cittadinanza e le “sale dei bottoni”. Se entreremo in maggioranza, saremo felici di contribuire con le nostre idee, se invece saremo all’opposizione, sarà un’opposizione costruttiva. Ma comunque vada, Restart non sarà una “toccata e fuga”. 

    Lei lavora a Bressanone. C’è qualcosa che Bolzano dovrebbe imparare da Bressanone?

    Ho seguito personalmente, sin dal suo concepimento, il progetto della nuova biblioteca civica, l’ho accompagnata dall’embrione all’inaugurazione. Anche la nuova scuola di musica è un progetto che ho seguito. Quello che posso dire è che a Bressanone invidio una comunità coesa. Una comunità che, anche nei momenti di difficoltà riesce a compattarsi. Bolzano dovrebbe smettere di costruire muri. Dovrebbe riscoprire il senso di comunità, di coesione. C’è una parola che descrive bene quello spirito: “cura”. Una politica che sa prendersi cura, che ascolta, che unisce. Bolzano ha invece un’identità frammentata: mille identità e nessuna che le tiene insieme. Questo è anche il motivo per cui nel nostro programma culturale parliamo di “cura dell’identità collettiva”. Forse servirebbe davvero un lavoro profondo, anche con l’aiuto di esperti, per aiutare Bolzano a riscoprire chi è — e chi vuole diventare.

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