Gesellschaft | Senza dimora

Cosa sarà dei centri emergenza freddo?

“Se arrivano da noi, significa che tutti gli altri servizi hanno fallito”: così Tremolada, responsabile di Croce Rossa, racconta la fragilità dell’accoglienza. Dal 1 giugno il centro di via Pacinotti apre solo a chi lavora, con criteri di permanenza definiti.
Ex-Inpdap
Foto: Alessio Giordano/SALTO
  • Nel fine settimana si sono verificati due episodi di violenza notturna nel centro di Bolzano, che hanno richiesto l’intervento della polizia. Si tratterebbe di una rissa ed in inseguimento avvenuti tra venerdì e sabato notte in piazza Verdi e in via Museo, i cui video sono stati diffusi sui social media. In un comunicato stampa diffuso dalla Questura è stato riferito che tra i soggetti fermati vi sarebbero anche persone accolte nei centri di emergenza freddo della città, notizia fatta propria dall'assessora Ulli Mair ma successivamente smentita. Abbiamo parlato del presente e del futuro di queste strutture con Andrea Tremolada, responsabile dei servizi socio-assistenziali della Croce Rossa, che gestisce la struttura dell’ex Inpdap di via Pacinotti a Bolzano. Si tratta dell’unico centro attualmente aperto e che il 31 maggio chiuderà i battenti per accogliere solo chi lavora. 

    SALTO: Che tipo di controlli effettuate sui nominativi presenti tra gli ospiti del centro di emergenza freddo? Queste informazioni vengono trasmesse alle forze dell’ordine?

    Andrea Tremolada: Quando una persona arriva, chiediamo il documento d’identità. Se non ne ha uno (né rilasciato in Italia né da altri Paesi), raccogliamo i dati anagrafici e li inseriamo in un elenco che inviamo ogni mattina entro le 10 alla Questura, come impone la normativa. Questo avviene perché il documento che consente l’accesso è un’autorizzazione del Sindaco, che permette l’ospitalità anche in assenza di regolari documenti di soggiorno, trattandosi di una permanenza temporanea. 

    Quindi avete un elenco giornaliero degli ospiti, che spesso restano per più giorni. Rispetto agli eventi di quei due giorni, avevate notato assenze?

    No, non risultavano assenze in quei giorni. Però non posso escludere che in passato alcuni di loro siano stati ospiti. Magari non erano presenti un mese fa, ma sono tornati recentemente. Anche la Questura ha chiarito che le presenze a cui si riferiva non erano relative ai giorni dei fatti.

  • Andrea Tremolada: "Il passaggio dal "sopravvivere" al "vivere con serenità" non è immediato" Foto: Screenshot/RAI Alto Adige
  • Quindi potrebbero essere persone già escluse in passato per motivi disciplinari?

    Sì, è possibile. Magari erano ospiti tre mesi fa, ma poi sono usciti e non sono più rientrati. Non sappiamo con esattezza chi siano oggi. I controlli che abbiamo fatto ci dicono che non erano presenti nel mese di maggio. 

     

    “Se si rivolgono a noi, significa che tutti gli altri servizi hanno fallito”

     

    Come lei stessa ha dichiarato alla stampa, ci sono stati episodi di violenza all’interno del centro, in particolare tra gennaio e febbraio. Secondo lei, quali sono le cause di questi comportamenti violenti tra persone che vivono in condizioni di forte marginalità?

    Le strutture di emergenza freddo, come quelle a bassa soglia, rappresentano spesso l’ultima possibilità prima della strada. Sono luoghi in cui arrivano persone che, mi permetta il termine, "non hanno vinto niente". Questo può generare rabbia verso un sistema che le ha escluse: se si rivolgono a noi, significa che tutti gli altri servizi hanno fallito. L’obiettivo di queste strutture è offrire un riparo dal freddo. Senza, resterebbe solo la strada. È normale quindi trovare persone in difficoltà: chi non riesce a pagarsi un affitto, chi ha un reddito troppo basso per accedere a un alloggio, chi ha dipendenze o fragilità psichiche. Queste condizioni contribuiscono a una forte vulnerabilità.

    In un contesto così fragile, cosa succede nella quotidianità della convivenza all’interno della struttura?

    Convivere in questi contesti non è facile: ci sono conflitti, come per esempio litigi perché qualcuno russa o tiene la luce accesa. Persone ai margini vivono in modalità difensiva costante, sono abituate a doversi proteggere, come accade per chi dorme per strada. Naturalmente, l’emergenza freddo non può risolvere tutto. Offre un letto, un po’ di calore, ma il passaggio dal "sopravvivere" al "vivere con serenità" non è immediato. Basta poco – un rumore, una provocazione – per generare tensione. Inoltre, capita che alcune persone arrivino in stato di forte alterazione per l’uso di alcol o sostanze: in quei casi, per la loro sicurezza e quella degli altri, l’ingresso viene negato. 

  • Un rifugio di una persona senza dimora sotto i piloni dell'A22. Foto: Bozen Solidale
  • Come vi comportate nel caso si generino tensioni?

    Il nostro primo intervento non è mai chiamare le forze dell’ordine: si cerca sempre una mediazione. Ma quando non è possibile, allora li coinvolgiamo. Quest’anno è successo più spesso del solito, ma la collaborazione con le forze dell’ordine è ottima. Contrariamente a quanto può sembrare, il dialogo con loro c’è ed è continuo.

    Dal primo giugno il centro cambierà destinazione d’uso e sarà riservato ai lavoratori. Cosa cambierà concretamente nella gestione della struttura? Che tipo di controlli farete sugli accessi?

    Il centro ospiterà persone con un contratto di lavoro attivo oppure iscritte a corsi di formazione, come quelli finanziati dal Fondo Sociale Europeo. Alcuni posti saranno riservati a persone in condizioni di grave vulnerabilità: disagio psichico, vittime di violenza, ecc. Chi lavora dovrà contribuire in minima parte alla spesa – una cifra simbolica definita dal Comune di Bolzano insieme all’Azienda Servizi Sociali. Le persone vulnerabili, invece, non pagheranno nulla. Il centro resterà aperto ogni giorno e si potrà restare finché permane la condizione d’accesso: quindi finché dura il contratto di lavoro o la frequenza al corso.

    E che ne sarà delle persone che non rientrano in queste categorie? Ex ospiti che non lavorano, non seguono corsi, ma comunque vivevano in situazioni di marginalità?

    Alcuni sono stati trasferiti in altre strutture, anche comunali, con progetti più strutturati. L’esperienza dell’emergenza freddo ha aiutato alcune persone a riflettere e iniziare un percorso di inclusione. Per alcuni stiamo valutando se possano accedere al sistema di accoglienza per richiedenti asilo (CAS). Come ogni anno, una parte resterà sul territorio. Ci sono persone che conosciamo da tempo e che ciclicamente tornano nei mesi invernali. Altri si sono allontanati: circa il 40% veniva da fuori provincia. È vero, come dice la Questura, che queste strutture attirano persone da altri territori. Ma spesso, quando finisce la misura d’emergenza, chi arriva da fuori tende ad andarsene. Alcuni di loro finiranno nelle aree di occupazione informale, come le sponde dei fiumi: non abbiamo strumenti per monitorare questi fenomeni una volta che le persone escono dal nostro radar.

  • L'interno del centro di via Comini a Bolzano. Foto: Thomas Werner
  • Secondo lei, c’è un modo per affrontare meglio questa situazione in futuro? In che direzione bisognerebbe andare?

    Da un paio d’anni si è iniziato a ragionare in modo più strutturato sul tema, coinvolgendo tavoli tecnici con i comitati comprensoriali e i rappresentanti dei Comuni. È importante cominciare a parlare di accoglienza invernale, non più di “emergenza freddo”, perché il freddo d’inverno non è più un imprevisto: lo sappiamo e dobbiamo programmarlo. Quest’anno, infatti, sono state aperte più strutture rispetto al passato, penso a Laives, a Bressanone e all’accoglienza invernale per donne a Merano. Il coinvolgimento di più comuni è un segnale positivo. Tuttavia, pianificare resta difficile: il fenomeno è fluido e non è possibile sapere con precisione quante persone avranno bisogno il prossimo anno. Quando iniziammo 24 anni fa, c’erano 40 posti in tutto l’Alto Adige. Oggi siamo arrivati a 400. Quest’anno, ci siamo accorti che circa il 40% degli ospiti proveniva da fuori territorio. Per questo si sta ragionando su come evitare che il sistema diventi attrattivo, pur senza negare a nessuno la possibilità di un rifugio temporaneo.

     

    “Si sta ragionando su come evitare che il sistema diventi attrattivo, pur senza negare a nessuno la possibilità di un rifugio temporaneo”


    Quindi state pensando a un sistema misto, che accolga ma con dei limiti per chi non è “stabile” sul territorio?

    Esatto. L’idea è quella di attivare un principio di rotazione per le persone non stabilmente presenti sul territorio. Il concetto di “stabilità” andrà definito: potrebbe significare, ad esempio, la presenza continuativa per qualche mese (non certo pochi giorni). Ci baseremo anche sulle linee guida della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD). Chi è considerato “stabile” – perché ha legami col territorio, un lavoro, un corso di formazione o una rete sociale – potrà restare nella struttura per tutto il tempo necessario, naturalmente rispettando le regole interne. Chi invece non è stabile, potrà comunque essere accolto temporaneamente – perché nessuno deve rischiare la vita per strada – ma non verrà garantito un posto letto per l’intero inverno.
    In questo modo, la persona può riposarsi, pensare a cosa fare, magari tornare nel luogo di provenienza, o nella città dove ha fatto richiesta di protezione internazionale, o dove ha legami. L’obiettivo è sempre quello di garantire accoglienza a chi ne ha davvero bisogno, ma senza incentivare dinamiche migratorie verso il territorio solo per accedere a un letto caldo in inverno.