Se i piloti degli aerei sono depressi
È un classico: puntualmente in ritardo "mr. senno di poi" si presenta alla nostra porta, dopo ogni disavventura o tragedia del caso, spalmando su e giù, con sadico diletto, il dito nella piaga. Prendiamo ad esempio lo schianto dell’airbus della Germanwings sulle Alpi francesi che è costato la vita a 150 persone la scorsa settimana. Dopo che i media hanno passato al setaccio tutta l'esistenza del co-pilota Andreas Lubitz, responsabile cosciente dell’orribile azione, e aver scoperto che era in cura perché soffriva di depressione e tendenze suicide, si sono inevitabilmente sollevate domande su come fare per evitare che piloti con disturbi mentali mettano a rischio la vita dei passeggeri.
Scrive il New York Times che un report pubblicato dall’Aerospace Medical Association raccomanda di includere, in caso di sospetta depressione e di abuso di sostanze, controlli specifici negli esami di salute obbligatori dei piloti. Il report suggerisce inoltre che prevedere programmi di assistenza in cui i piloti possano discutere dei loro disturbi mentali senza la paura di “rappresaglie”, probabilmente sarebbe per loro un impulso a farsi avanti. Secondo un rapporto del Times, negli Stati Uniti e in Europa i controlli sulle condizioni di salute degli aviatori si basano ancora, per lo più, sulle malattie fisiche. Spetterebbe quindi ai piloti riferire ai datori di lavoro se sussistono problemi di salute che possano ostacolare la loro capacità di volare. Il punto è che chi soffre di malattie mentali è spesso riluttante a parlarne perché preoccupato di poter essere licenziato.
Un modello che potrebbe fare da esempio per le compagnie aeree è quello adottato nella professione medica. In 47 stati americani esistono programmi che eseguono valutazioni e screening sui medici che trattano patologie come la malattia mentale o la tossicodipendenza. Sono gli stessi dottori a decidere di seguire tali programmi o possono essere i colleghi a segnalare un medico se inquieti riguardo la sua prestazione. I programmi servono a stabilire se il professionista può costituire una minaccia sul lavoro e se c'è bisogno di un trattamento ad hoc. In alcuni casi, prosegue l’articolo del New York Times, i medici sono monitorati mesi se non addirittura anni. Alcuni sono giudicati inadatti a proseguire la professione. Eppure, assicurare loro che sottoporsi a questi trattamenti non significa necessariamente buttare la propria carriera nel secchio, li incoraggia a chiedere aiuto prima che la situazione peggiori e impedisca loro di continuare a lavorare.
La Allied Pilots Association (APA), il sindacato dei piloti dell’American Airlines, nel 2011 ha istituito un programma che permette ai piloti di chiedere aiuto. Nel 2014 il Presidente dell’associazione medica aerospaziale ha constatato che l’iniziativa aveva condotto un significativo aumento del numero di piloti a segnalare i loro problemi di salute mentale e ricevere conseguente assistenza.
Ecco, per quanto irricevibile e sconveniente, se oggi il tarlo di quel famoso senno di poi contribuisse a proteggere in futuro vite umane, sopportarlo sarebbe un atto di dovere nient’affatto gravoso.
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