Mentre ancora deve iniziare a dipanarsi il nodo delle trattative per la formazione della nuova Giunta, ha fatto parlare di sé l’iniziativa dei due partiti della destra italiana, Fratelli d’Italia e Lega, che hanno proposto di varare, in tempi ultra rapidi, una norma di attuazione dello Statuto che imponga alla presenza, nel governo provinciale, di due assessori in lingua italiana. La più che autorevole sponsorizzazione del Ministro delle Regioni Roberto Calderoli e del suo omologo di FdI Francesco Lollobrigida garantirebbe al testo varato dalla Commissione dei sei su iniziativa del presidente Alessandro Urzì una più che sollecita approvazione da parte del Governo.
Mentre scrivo queste note non c’è ancora stata una risposta ufficiale da parte della Südtiroler Volkspartei, ma l’iniziativa merita comunque di essere oggetto di qualche pacata riflessione.
Iniziamo con il definire il quadro normativo nel quale la nuova norma dovrebbe andare a collocarsi. Al vertice della piramide c’è sicuramente l’articolo 50 dello Statuto di autonomia, nel testo risultante delle modifiche apportate con la Legge Costituzionale numero 14 del 2017. La prima frase del lungo articolo è questa:
La composizione della Giunta provinciale di Bolzano deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della provincia.
La legge del 2017, all’articolo 67 comma 3 prevede inoltre quanto segue:
La Giunta provinciale è composta, oltre al presidente della Provincia, da almeno sette e non più di dieci componenti. La sua composizione deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici, quali sono rappresentati nel Consiglio provinciale all’atto della proclamazione degli eletti.
Si tratta di uno schema giuridico che, se lo si prende come tale, non sembra lasciare spazio all’ipotesi di una Giunta con due componenti di lingua italiana. Anche nel caso si optasse per una formazione a 11 elementi (10 assessori più il Presidente) le proporzioni matematiche, con una rappresentanza in consiglio di soli cinque italiani, non sembrano autorizzare nessun raddoppio.
Si ripropone la situazione del 2013, quando con una rappresentanza italiana di cinque elementi, Arno Kompatscher, al suo primo mandato, ridusse la rappresentanza dell’alleato PD ad una sola unità, innescando tra l’altro un processo di conflitti interni che avrebbe avuto serie conseguenze negli anni a venire.
Nell’ultima legislatura invece, con i consiglieri italiani saliti ad otto unità, la doppia rappresentanza in Giunta è stata ripristinata. Questo dicono i numeri e questa è la situazione che si vorrebbe modificare con una norma di attuazione. Ma è possibile?
Il dubbio è lecito se si pensa che con la norma varata dalla Commissione dei sei e approvata dal Governo si andrebbe a modificare nella sostanza il dettato dello Statuto invece che ad attuarlo.
La questione è delicata sia sul piano politico che su quello dell’ingegneria costituzionale. Abbiamo chiesto un parere a due personaggi che di questioni di tal genere si sono occupati su ambedue i versanti.
Il primo è il giurista, ex senatore ed ex Presidente della Commissione dei sei, Francesco Palermo, il cui giudizio è netto:
"A me sembra assurdo. A parte i tempi tecnici per una norma di attuazione, ma la fonte è sbagliata. C’è una disposizione dello statuto che prevede la proporzionalità della Giunta rispetto alla composizione linguistica del Consiglio. E poi la legge elettorale del 2017 che declina in modo particolarmente rigido questa proporzionalità (esentando il ladino). Se si volesse derogare a questo andrebbe o cambiato lo statuto (volendo uscire proprio dalla proporzionale), oppure più opportunamente la legge elettorale, che potrebbe per esempio prevedere arrotondamenti per eccesso anche sotto il rapporto di 1,5 (per esempio). Ma la norma di attuazione è lo strumento sbagliato: è fonte statale che andrebbe a superare una legge provinciale per la quale la competenza è della Provincia. Ormai abbiamo visto di tutto, ma una cosa del genere sarebbe un precedente molto grave".
Non meno drastico, sulle stesse corde, il giudizio dell’ex parlamentare e componente per moltissimi anni della Commissione dei sei, Karl Zeller:
"Con la riforma del 2001 (l.cost.n.3/2001) abbiamo attribuito competenza primaria alla PAB per la disciplina della forma di governo, elezione della giunta ecc. Non vi è quindi spazio alcuno per una norma di attuazione che, del resto, sarebbbe contra statutum se si volesse stabilire una deroga alla proporzionale. Se si volesse introdurre una deroga servirebbe, come per i ladini, una legge costituzionale. Nulla osterebbe invece se il legislatore con legge statutaria volesse stabilire che la quota degli italiani in giunta si calcola compreso il componente ladino".
A questo punto non resta che andare a concludere. È assolutamente comprensibile che i due partiti della destra italiana trovino più che imbarazzante, nel caso fossero chiamati dalla SVP a governare assieme nei prossimi cinque anni, il fatto di doversi disputare un unico seggio. Essere in maggioranza senza poter far capolino alle riunioni di Giunta può essere persino più frustrante che doversi accomodare all’opposizione. Fatto sta, però, che la scorciatoia di una norma di attuazione per uscire dall’impasse sembra veramente molto perigliosa.