Gesellschaft | Solidarietà

“Sono storie vere, che vanno raccontate”

Il direttore della Bürgerkapelle Gries racconta i retroscena del concerto del giubileo della banda, che a sorpresa ha visto protagonista un profugo del Bangladesh.
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Foto: BKG

salto.bz : Come Le è venuta l’idea di organizzare il giubileo della banda in questo modo così particolare?
Georg Thaler - In questi casi si cerca sempre di preparare qualcosa un po’ fuori dal normale. O si prepara una musica speciale oppure si organizza qualcos’altro. Io volevo un po’ descrivere com’è la situazione nel mondo oggi. Ho letto tante storie di queste persone che devono fuggire dalla loro patria e allora ho pensato che avremmo potuto accompagnare una biografia attraverso la musica. La storia di una persona che deve scappare, prendere la barca, venire qui, trovarsi in una situazione completamente nuova, dove non la conosce nessuno. Questa prospettiva mi ha sempre emozionato. Per cui mi è venuta l’idea appunto di raccontare il viaggio di un profugo che è arrivato da noi dalla sua patria.

“Non è una cosa politica, ma semplicemente una vicenda umana tremenda che va raccontata e conosciuta”

Come siete riusciti a trovare la persona giusta da invitare che fosse anche in grado di esprimersi in una delle nostre lingue?
Quello della lingua è il primo problema che ci siamo posti, in effetti. Ma uno del comitato della Bürgerkapelle diceva di conoscere una persona che fa parte di Volontarius. Questa ci ha subito detto che sapeva di un profugo che va nelle scuole come testimonial per parlare agli alunni della situazione dei migranti. Ci siamo quindi incontrati con Aminur Islam, il ventiquattrenne del Bangladesh, che sarebbe stato il nostro ospite e che vive da 5 anni in Italia. Parlava molto bene l’italiano ed abbiamo capito subito che sarebbe stata la persona giusta per realizzare il nostro intento: esprimere le proprie emozioni, utilizzando una lingua straniera, una cosa davvero non facile. 

Quando Lei ha proposto la Sua idea ai membri della banda, loro si sono dimostrati subito disponibili e interessati?
Lei sa che una cosa del genere è delicata dal punto di vista politico. Ma io fin dall’inizio ho precisato che non volevo uno statement solo politico, ma far capire quali sono le emozioni vissute da una persona sola che arriva da noi. I membri della banda mi hanno detto che non avevano problemi in merito e che anzi la consideravano una buona cosa. Quando poi ho detto loro che avevamo a disposizione una persona che poteva raccontare la propria storia, si sono dimostrati addirittura entusiasti.

"Come prima cosa Aminur è venuto alle prove per raccontare la sua storia prima a noi della banda. E i musicisti si sono tutti commossi ascoltando le sue parole."

Il pubblico del concerto era consapevole che il concerto del giubileo avrebbe avuto questa forma speciale oppure avete fatto loro una sorpresa?
Sapevano tutto. Anzi: abbiamo preparato un depliant, dove abbiamo descritto dettagliatamente la nostra idea. E cioè che l’arte, anche la nostra che è arte di base, non ha solo il compito di far vedere le cose belle, ma anche di far capire i fenomeni con i quali ci confrontiamo nella vita. E che non sono sempre belli. 

Per il concerto avete scelto delle musiche particolari?
Abbiamo proposto tre episodi musicali ad hoc. In uno di questi, che rappresentava il momento in cui il nostro si trovava nella sua patria, abbiamo proposto un brano orientale, utilizzando anche strumenti specifici della musica etnica di quei paesi. Come il duduk, la zurna e altri. Strumenti non ‘nostri’ che ci siamo dovuti studiare, naturalmente. 

Si è trattato quindi anche di una scommessa musicale, oltre che sociale. 
Molto. Siamo entrati nel loro mondo anche attraverso la musica. 

Il pubblico ha apprezzato anche la proposta musicale così lontana dalla vostre consuetudini?
Sì. Nella sala si è creata una bellissima atmosfera fin dall’inizio. Si è subito capito che non si sarebbe trattato di un concerto normale. Tutti avevano delle aspettative, ma non sapevano nel dettaglio che cosa sarebbe successo. La gente si è molto commossa, quando Aminur ha raccontato la sua vicenda, perché sono successe anche cose terribili. 

Il pubblico immagino fosse tutto di lingua tedesca, anche se il vostro ospite ha parlato in italiano. Lei un’esperienza di questo genere la consiglierebbe, che ne so, anche alla Banda Mascagni di Bolzano?
Il discorso vale per ogni associazione in realtà. È sempre molto prezioso, quando si riescono a proporre degli statement in cui i profughi possono raccontare le loro storie. Tutto contribuisce a creare quell’empatia che è necessaria per poter aiutare i migranti che fuggono e arrivano da noi. Una cosa è certa: organizzare eventi di questo tipo è impegnativo perché c’è sempre qualcuno che non è d’accordo. In ogni caso organizzare iniziative di questo genere fa bene anche alle associazioni stesse, al proprio interno, perché promuovono anche il confronto con i giovani. 

Lei ha avuto un feedback dalla politica? Se sì, solo positivi o anche negativi? 
Il nostro assessore Philipp Achammer purtroppo non ha potuto partecipare, ma in un nostro incontro precedente ci aveva detto che quanto avevamo pensato era molto interessante e buono, soprattutto per aiutare tutti a capire meglio le cose. Commenti negativi finora non ne ho ricevuti. Prima del concerto, magari nei bar, un po’ di malumori circolavano. Ma dopo l’evento non ho più sentito nulla di questo tipo. 

In futuro organizzerete di nuovo cose di questo genere?
Far vedere il mondo è sempre utile. Con i bambini delle famiglie dei profughi organizziamo anche corsi di musica e di danza. Sono cose che, secondo me, li sono più utili dei soldi.