Terziario in sciopero. Ma perché?
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Il 22 dicembre scorso i lavoratori e le lavoratrici del commercio, del turismo e in generale del settore terziario hanno incrociato le braccia per lo sciopero nazionale indetto da Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Uil, trovando grande partecipazione anche nella provincia di Bolzano.
Come infatti riportato da una nota dei sindacati, in alcuni punti vendita della GDO del territorio l’adesione è arrivata a toccare punte del 100%.
Tre invece i presidi di protesta organizzati (uno davanti alla sede dell'Unione Commercio, il secondo davanti al centro commerciale Twenty e il terzo davanti alla sede dell'Hgv in via Macello), mentre quattro autobus carichi di manifestanti si sono diretti a Milano per la manifestazione nazionale.
Ma quali sono i motivi della protesta? E quali sono le condizioni dei lavoratori dell’Alto Adige? Proviamo a fare un po’ di chiarezza.
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Il fattore scatenante
A dare il via alla mobilitazione è stato in particolare il mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale relativo a commercio e turismo, scaduto ormai da anni e riguardante milioni di addetti del settore (in provincia di Bolzano si parla decine di migliaia di lavoratori). Il notevole aumento del costo della vita degli ultimi anni (dovuto a inflazione “di consumo” e aumento dei prezzi immobiliari) rende infatti necessario un adeguamento salariale che, citando la Costituzione, riconosca al lavoratore “una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa”.
L'assistenza sanitaria integrativa, normative sulle politiche di genere (per esempio il mantenimento della professionalità dopo il rientro dalla maternità e la riduzione della differenza salariale tra uomini e donne) e la riduzione dei contratti precari sono poi altri argomenti molto importanti per le sigle sindacali scese in piazza.
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La povertà lavorativa
Come riportato dall’ASTAT, nel 2021 in Alto Adige l’11,9% dei lavoratori ha percepito un salario lordo inferiore agli ormai famosi 9 euro orari, quota richiesta per il salario minimo poi bocciato alla Camera, mentre il 6,5% è a rischio povertà. In sostanza ciò significa che, pur avendo lavorato almeno sette mesi, un altoatesino su quindici ha guadagnato meno di 11.850 euro annui (pari al 60% dello stipendio mediano, ovvero 19.750 euro).
Tale rischio peraltro varia in base ai settori di appartenenza, raggiungendo picchi del 15,5% nell’ambito dell’”Alloggio e della ristorazione” e del 10,2% in quello delle “Altre attività e servizi”, entrambi guarda caso appartenenti al terziario.
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La contrattazione di secondo livello in Alto Adige
Per la Provincia di Bolzano risultano essere attivi 69 contratti di secondo livello, di cui 57 aziendali e 12 territoriali.
Questo tipo di contrattazione negli anni ha seguito l’evoluzione dei contratti a livello nazionale, intervenendo in settori particolarmente rilevanti per il tessuto economico altoatesino. Di fatto, ciò ha garantito ai lavoratori del territorio di godere di rinnovi più frequenti, anche se non sempre entro le scadenze previste.
Come infatti emerge dallo Zoom IPL numero 72, “L’elemento retributivo nei contratti territoriali altoatesini”, se il rinnovo del contratto del settore turistico risale al 2022 (nei quattro anni precedenti era peraltro stato aggiornato con scadenza annuale), per trovare quello relativo al commercio dobbiamo tornare al 2020.
Non stupisce quindi che anche in Alto Adige i lavoratori di quest’ultimo settore siano scesi in piazza: in un territorio in cui già di per sé il costo della vita è più elevato del resto d’Italia e gli stipendi non tengono il passo (si parla di un +20% del costo della vita contro un +7/+8% di “peso” in busta paga), è chiaro che l’aumento dei prezzi abbia effetti ancora più impattanti rispetto al livello nazionale.
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Cosa chiedono i lavoratori altoatesini
Oltre alla ripresa della contrattazione a livello nazionale, i lavoratori dell’Alto Adige spingono quindi anche per quella di secondo livello, per propria natura migliorativa rispetto alla prima e più incentrata sul contesto del territorio.
Un aumento dell’elemento retributivo provinciale potrebbe essere per esempio di grande aiuto ai lavoratori del settore terziario in cui, peraltro, si riscontrano notevoli differenze. Basti infatti pensare che nel commercio questo ammonta all’irrisoria cifra di 8 euro mensili (!!!), mentre nel settore del turismo si arriva a cento, cifra che comunque fatica a compensare paghe di base mediamente non elevate.
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Quanto incide l’elemento territoriale sui contratti collettivi
Come si evince dal grafico, in alcuni settori l’intervento provinciale sulla retribuzione è particolarmente marcato, in altri quasi non presente.
In particolare, per il settore artigiano metalmeccanico, alla retribuzione tabellare mensile vengono aggiunti 186,75 €; ciò significa che la retribuzione lorda è aumentata del 12,8%. Nel caso, invece, del settore del legno e arredamento artigiano, a livello provinciale viene previsto un elemento della retribuzione pari a 104,01 € mensili (7,4%).
A seguire vi è tutto il comparto del settore del turismo (alberghi, pubblici esercizi, agenzie di viaggi), per il quale è stato previsto un elemento provinciale di 100,00 € lordi con il rinnovo del 2020: per i lavoratori di questo settore, si parla di un minimo tabellare superiore al livello nazionale tra il 6,5% e il 6,9% (leggermente inferiore per le agenzie di viaggi).
Seguono quindi oreficeria e odontotecnica, il cui contratto territoriale prevede un elemento di 66,31 € (aumento fra il 4,8% e il 5,0%). Per il settore dell’edilizia, esiste un elemento territoriale sia per il comparto artigiano che per quello dell’industria, rispettivamente di 29,07 € e di 65,41 € lordi (quest’ultimo, nello specifico, pari al 4% del minimo tabellare). Per il settore studi professionali e tecnici, l’elemento territoriale – pari a 50,00 € – comporta un aumento del 3,5% del reddito mensile lordo.
Fanalino di coda il settore del commercio (e quindi anche i centri elaborazione dati e le agenzie immobiliari), che prevede un elemento territoriale di (soli) 8,00 € – pari ad una maggiorazione dello 0,5% sulla retribuzione lorda prevista dal CCNL.
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Cosa possono fare stato e provincia
Cosa sperano dunque di ottenere i manifestanti? Innanzitutto, una spinta della “mano pubblica”, la quale dovrebbe essere in prima linea per promuovere la contrattazione avvicinando le parti in causa (in questo caso, sindacati da una parte e Confcommercio e Confersercenti dall’altra), ma anche premiando le imprese più virtuose e penalizzando, invece, quelle che fanno maggior ricorso ai cosiddetti “contratti pirata”. Questi ultimi, infatti, sono un danno non solo per i lavoratori, ma anche per tutto il tessuto sociale del Paese.