Pensieri di Metallo e Acciaio
Sono appena arrivato alla stazione del Brennero e non è che faccia propriamente caldo. C’è un po’di neve e un leggero, ma insidioso venticello s’infiltra fra le giunture del mio corpo di metallo. Per essere un treno, sono abbastanza lungo, ma non è questo che mi preoccupa particolarmente. L’unica mia vera preoccupazione è la lunga strada che vedo profilarsi davanti a me. Dal Brennero a Cracovia i chilometri da percorrere sui binari sono circa 1060. Non pochi e il viaggio sembra pianificato per durare quasi 17 ore. Mentre questa moltitudine di ragazzi sale sui miei vagoni e si sistema nella varie cabine vedo volti stanchi, ma felici. La maggior parte dei passeggeri sono molto giovani, altri invece un po’meno, ma da come scherzano e parlano e chiacchierano e discutono sembrano pronti e preparati a stare con una mandria di giovani come quelli che si stanno sistemando rumorosamente fra le mie costole d’acciaio. Vedo anche strumenti musicali salire a bordo e non appena inizio a macinare i primi chilometri, un miscuglio di suoni inizia a spargersi fra i vari vagoni. Si sentono sia le chitarre che piccoli amplificatori da cui esce una musica decisamente diversa rispetto ai loro compagni chitarristi. Ad un certo punto un gruppo inizia ad abilitare una cabina a sala radiofonica, trasmettendo parole e musica attraverso tutta la mia lunghezza. Sul fronte elettricità, però, le mie capacità sono abbastanza limitate e dopo poco tempo sono costretto a farli smettere di punto in bianco e senza preavviso.
Ciò nonostante l’atmosfera creatasi lungo tutto il mio corpo di metallo non cambia e le prime nuove amicizie iniziano già a consolidarsi. Oltre agli amanti della musica iniziano ad emergere anche gli amanti del cibo. Certe cabine vengono invase dal tipico odore di dolcetti, biscotti e panini. Alcuni ragazzi, probabilmente con delle madri convinte che il viaggio due settimane, hanno riempito i propri pargoli con zaini pieni di cibarie e succhi di frutta. Questi ultimi iniziano a fare i buoni samaritani e distribuiscono viveri ai compagni di cabina e anche a chi passa davanti alla loro postazione. Ovviamente tutto ciò porta a fare due chiacchiere: “Chi sei?” “Da dove vieni?” “Sei già stato ad Auschwitz?” sono alcune delle domande che continuano a rimbombare fra le mie pareti di metallo e acciaio. Poi, con l’avanzare dei chilometri e con l’avanzare delle ore i miei temporanei abitanti diventano sempre più silenziosi. Già verso le 23 i primi iniziano a chiudere le porte e a spegnere le luci e via dicendo fino a quando intorno alle 3 di notte mi ritrovo a penetrare la notte cullato solamente da dolci mormorii di chi ancora non riesce a prendere sonno, o magari vuole solo godersi il viaggio ancora più nel profondo, passeggiando su e giù per la mia pancia, guardando fuori dal finestrino il mondo illuminato solo da qualche timida luce.
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