Gesellschaft | Pillole di diritti
Professione: interinale
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Foto: (c) Fabio Petrini
Nel mese di novembre 2022 è stato pubblicato il Focus sui lavoratori in somministrazione dell’Osservatorio lavoratori dipendenti del settore privato non agricolo dell’INPS, contenente i dati statistici relativi al rapporto di somministrazione di lavoro per l’anno 2021 nel territorio italiano. Nel proprio studio, il citato Osservatorio ha stimato che nell’anno 2021 il numero dei dipendenti in somministrazione con almeno una giornata retribuita nell’anno è risultato pari a 904.309, raggiungendo il valore massimo degli ultimi dieci anni e con un aumento del +22,9% rispetto al precedente anno, distribuito per il 69,3% nelle regioni del Nord e per il 30,3% nelle regioni del Nord Est (si noti che le lavoratrici e i lavoratori che nel corso dell’anno hanno avuto più di un rapporto di lavoro in somministrazione sono stati contati una sola volta e classificati per tipologia contrattuale e luogo di lavoro sulla base del loro ultimo rapporto di lavoro in somministrazione). In particolare, l’incremento più rilevante riguarda la somministrazione a tempo determinato, cresciuta del +24,8%.
Dai dati brevemente riportati, parrebbe che il rapporto di somministrazione di lavoro risulti un serio competitor del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma in cosa si differenzia?
Ebbene, sia la normativa comunitaria che la normativa nazionale hanno stabilito il principio per cui il rapporto di lavoro a tempo indeterminato è la forma ordinaria di rapporto di lavoro, rispetto al quale i rapporti precari rappresentano l’eccezione, tra queste eccezioni rientra il rapporto di somministrazione di lavoro.
Il vigente art. 30 Dlgs. 81/2015 (Jobs Act) prevede che “il contratto di somministrazione di lavoro è il contratto, a tempo indeterminato o determinato, con il quale un’agenzia di somministrazione autorizzata, ai sensi del decreto legislativo n. 276 del 2003, mette a disposizione di un utilizzatore uno o più lavoratori suoi dipendenti, i quali, per tutta la durata della missione, svolgono la propria attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore”.
Si tratta, quindi, di un rapporto di lavoro trilaterale, che si costituisce tramite un’agenzia autorizzata, che mette a disposizione lavoratrici e lavoratori a favore di un utilizzatore (l’azienda) per svolgere una determinata prestazione di lavoro a favore di quest’ultimo, sotto il cui controllo e direzione operano.
In buona sostanza, l’agenzia interinale funziona come una sorta di agenzia matrimoniale, mettendo in contatto le parti, lavoratrici / lavoratori e utilizzatore, a favore del quale lavoratrici / lavoratori prestano la propria attività lavorativa. Ma lavoratrice / lavoratore e utilizzatore possono rimanere eternamente “fidanzati” o prima o poi devono finalmente “convolare a giuste nozze”, stipulando direttamente tra essi un contratto di assunzione diretta?
A questo annoso problema e per evitare un utilizzo abusivo del ricorso alla somministrazione di lavoro, sono stati rivolti interventi e correttivi da parte del Legislatore nazionale sia dal punto di vista formale che sostanziale (percentuale massima dei dipendenti in somministrazione da rispettare da parte dall’utilizzatore; requisiti del contratto; numero limite alle proroghe; ecc.). Tuttavia, soltanto di recente, in ordine alla tematica in esame, sono intervenute alcune fondamentali decisioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza C.G.U.E. dd. 14.10.2020 pronunciata nella causa C-681-18; sentenza C.G.U.E. dd. 17.03.2022 pronunciata nella causa C-232-20), che hanno confermato il carattere temporaneo della somministrazione di lavoro.
Con riferimento alle citate sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e per mezzo di una serie di pronunce del mese di luglio 2022, anche la Corte di Cassazione ha, sostanzialmente, ribadito il concetto di eccezionalità del rapporto di somministrazione e di carattere temporaneo dello stesso.
In particolare, in relazione ad un caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato, con la sentenza nr. 22861 del 21 luglio 2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla liceità del rapporto di lavoro svolto tramite agenzia interinale da un lavoratore, che aveva prestato la propria attività lavorativa mediante invio in plurime successive missioni corrispondenti ad almeno dieci contratti di somministrazione a tempo determinato e per complessivi 1.596 giorni lavorativi, pari ad oltre 65 mesi (contratti di lavoro stipulati in base alla normativa ratione temporis vigente). La Suprema Corte ha accolto le doglianze del lavoratore, accogliendo il motivo del ricorso e rinviando la causa alla Corte d’Appello competente, motivando che “Il fatto che il Decreto Legislativo n. 81 del 2015, e prima ancora il d. lgs. n. 276 del 2003, non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea del lavoro tramite agenzia interinale non impedisce di considerare tale requisito come implicito ed immanente del lavoro tramite agenzia interinale, in conformità agli obblighi imposti dal diritto dell'Unione, non comportando una simile lettura una interpretazione contra legem”, tale per cui va valutato “alla luce di tutte le circostanze pertinenti, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l'impresa utilizzatrice abbia oltrepassato il limite di una durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea, sì da realizzare una elusione delle norme imperative ai sensi dell'articolo 1344 c.c., e, specificamente, degli obblighi e delle finalità imposti dalla Direttiva, da cui discende, secondo l'ordinamento interno, la nullità dei contratti”. Per farla breve, tenuto ben a mente il carattere temporaneo del rapporto di somministrazione di lavoro, occorre valutare, oltre al dato normativo, come concretamente il rapporto di lavoro si sia svolto per giudicare se il rapporto di lavoro sia legittimamente di somministrazione di lavoro o se si possa richiederne la costituzione direttamente in capo all’utilizzatore. In ogni caso, resta fermo che qualora il lavoratore volesse rivendicare la costituzione del rapporto di lavoro nei confronti dell’utilizzatore, deve, comunque, rispettare i termini decadenziali previsti dall’art. 39 Dlgs. 81/2015 in combinato disposto con l’art. 6 Legge 604/66, ovvero entro sessanta giorni, che decorrono dalla data in cui il lavoratore ha cessato di svolgere la propria attività presso l’utilizzatore.
Ebbene, come detto, le citate pronunce sono davvero recenti, per cui ora bisogna vedere in concreto come ad esse verrà dato seguito, ma non si può non rilevare che potremmo trovarci agli albori di una nuova era per le lavoratrici e i lavoratori interinali, somministrati sì, ma -speriamo- non per sempre.
Avvocata Arabella Martinelli
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