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Il nome della rosa

Romanzo poliziesco, gothic novel, cronaca medioevale, allegoria e giallo: il capolavoro letterario che fece conoscere Umberto Eco in tutto il mondo, è tutto questo.
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Foto: Foto: Alfredo Tabocchini

Ad aprire il nuovo anno teatrale dello Stabile, dall’11 al 14 gennaio al Comunale di Bolzano sarà la prima versione teatrale italiana del capolavoro di Eco nata dalla coproduzione tra il Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, il  Teatro Stabile di Genova e il Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale.

Tradotto in 47 lingue, "Il nome della rosa" conobbe una celebre versione cinematografica diretta da Jean-Jacques Annaud e interpretata da Sean Connery nei panni del frate Guglielmo di Baskerville.

Regista sensibile ed eclettico, Leo Muscato dirige un vero e proprio colossal intriso di mistero e suspance con un cast di grandi interpreti composto da Eugenio Allegri, Giovanni Anzaldo, Giulio Baraldi, Luigi Diberti, Marco Gobetti, Luca Lazzareschi, Bob Marchese, Daniele Marmi, Mauro Parrinello, Alfonso Postiglione, Arianna Primavera, Franco Ravera e Marco Zannoni in un crossover generazionale capace di rievocare le atmosfere di quello che senza ombra di dubbio è uno dei romanzi più importanti del Novecento. Le scene di Margherita Palli, le luci di Alessandro Verazzi e i video di Fabio Massimo Iaquone e Luca Attilii rievocano le atmosfere tetre del monastero benedettino in cui è ambientato il giallo, mentre i costumi di Silvia Aymonino e le musiche di Daniele D’Angelo immergono gli spettatori nel pieno medioevo.

«Dietro ad un racconto avvincente e trascinante, il romanzo di Umberto Eco nasconde una storia dagli infiniti livelli di lettura, un incrocio di segni dove ognuno ne nasconde un altro. La struttura stessa del romanzo è di forte matrice teatrale» commenta il regista Leo Muscato. «La scena si apre sul finire del XIV secolo. Un vecchio frate benedettino, Adso da Melk, è intento a scrivere delle memorie in cui narra alcuni terribili avvenimenti di cui è stato testimone in gioventù. Nel nostro spettacolo, questo io narrante diventa una figura sempre presente in scena, in stretta relazione con i fatti che lui stesso racconta, accaduti molti anni prima in un’abbazia dell’Italia settentrionale. Sotto i suoi (e i nostri) occhi si materializza un se stesso giovane, poco più che adolescente, intento a seguire gli insegnamenti di un dotto frate francescano, che nel passato era stato anche inquisitore: Guglielmo da Baskerville. Siamo nel momento culminante della lotta tra Chiesa e Impero, che travaglia l’Europa da diversi secoli e Guglielmo da Baskerville è stato chiamato per compiere una missione, il cui fine ultimo sembra ignoto anche a lui. Su uno sfondo storico-politico-teologico, si dipana un racconto dal ritmo serrato in cui l’azione principale sembra essere la risoluzione di un giallo».