Gesellschaft | storia

Il fascismo se la prende con la scuola

L’arrivo delle camicie nere in regione, Ferrandi apre le lezioni sul Ventennio. La marcia su Bolzano: l’Elisabethschule diventa Regina Elena. “Nazionalismo, un problema”.
arrivo fascismo
Foto: private

Un fenomeno d’importazione, che non ha attecchito nella società locale. Caratterizzato più dalla paura dei cattolici (soprattutto in Trentino) che del bolscevismo, lo spettro delle borghesie di tutta Europa, e fortemente centrato «sull’intransigente difesa dell’italianità», naturalmente in provincia di Bolzano. Maurizio Ferrandi descrive così le peculiarità del fascismo in Trentino Alto Adige.

Nella sala degli Affreschi della biblioteca comunale di Trento il giornalista e appassionato di storia, come si definisce aprendo l’incontro, illustra la sua relazione su “L’occupazione fascista della Venezia tridentina”. A lui è affidato il compito di parlare degli esordi del movimento mussoliniano in regione: è la prima tappa del ciclo “Il Trentino Alto Adige nel periodo 1922-1943” che la Biblioteca archivio del Csseo e la fondazione museo storico del Trentino promuovono da qui fino al 2 maggio. In programma altri 13 incontri: il prossimo il 15 novembre con Andrea Di Michele su “Prefetti e fascismo in Alto Adige”).

“Siamo una terra di frontiera con frizioni perenni dalla metà dell’Ottocento”
(Maurizio Ferrandi)

Gli esordi del fascismo, dunque, con l’intimidazione e la violenza delle squadre d’azione, e la marcia su Bolzano che fu la prova generale di quella su Roma. “Tra il 30 settembre e il 5 ottobre 1922 – racconta Ferrandi citando la fonte, il volume il Fascismo nella Venezia tridentina di Sergio Benvenuti, 1976 – le squadre di azione occupano militarmente Bolzano e Trento. In quest’ultima città se la prendono con Luigi Credaro, commissario civile inviato dal governo liberale per trovare una soluzione al problema del trattamento della minoranza di lingua tedesca rimasta dentro il confine del Brennero: un risultato, quello della frontiera sulle Alpi, strategico e politico ottenuto con la vittoria sanguinosa alla prima guerra mondiale, ma che aveva prodotto una conseguenza alla quale lo Stato italiano non sapeva dare risposta”.

La marcia su Bolzano anticipa di 25 giorni quella sulla capitale, il cui successo spiana la strada a Mussolini per il potere. “Fu la prova generale – prosegue Ferrandi – di cui aveva bisogno per capire se poteva forzare la mano al governo e ottenere la posta in gioco, il potere. Dagli eventi di Bolzano Mussolini capì che si poteva fare”. Il 30 settembre salgono nel capoluogo altoatesino le squadre da fuori: da Brescia, Verona, Cremona, Padova. Al comando non ci sono i ras del movimento fascista, ma personaggi “di secondo piano”: “Francesco Giunta, fiorentino, che veniva da una città dove le azioni delle squadre furono sanguinarie e viuolente e poi venne spedito a Trieste dove se la prese con gli slavi. Poi Achille Starace, mandato un anno prima a Trento a organizzare, non senza fatica, il fascismo locale. Poi Roberto De Stefani. Ecco chi furono i tre capi”.

E quale fu la prima azione delle camicie nere? “Se la presero per prima cosa con la scuola, terreno di uno scontro che durava da decenni” e che quindi risaliva ai tempi dell’impero austro-ungarico. “Solo sulla scuola di Laghetti di Egna ci sarebbe da scrivere un libro” aggiunge Ferrandi. I fascisti insomma arrivano alla Elisabethschule (ora è la Dante Alighieri, per chi conosce Bolzano), la occupano e la ribattezzano “Regina Elena”. “Da un’imperatrice a una regina – prosegue il giornalista –. Risultato, gli alunni tedeschi stanno fuori, entrano gli italiani, con tanto di foto di gruppo, oggi sarebbe un selfie”.

E qui si delinea la peculiarità del fascismo in Alto Adige, più che in Trentino (terra che Mussolini conobbe da giovane maestro e da socialista e di cui non amava gli abitanti, ritenuti “invigliacchiti dal sangue pretesco”). Il punto fondativo è la difesa dell’italianità quando ancora gli italiani erano pochissimi, prima dell’italianizzazione forzata, il grande trauma storico del Sudtirolo.

Nei giorni successivi le squadre d’azione si spostano in armi verso il municipio, naturalmente con la passività, per non dire velato appoggio, di carabinieri e esercito. Chiedono le dimissioni di Julius Perathoner, borgomastro di Bolzano eletto nella lista tedesca che aveva preso tutti i voti. “La bestia nera del governo liberale – prosegue –, esponente del fronte pangermanista più duro, colui che al re Vittorio Emanuele venuto in visita a Bolzano aveva parlato solo in tedesco”. Con la prova di forza i fascisti ottengono un altro successo, Perathoner se ne deve andare e Roma nomina un commissario prefettizio, Augusto Guerriero, che poi diventerà una firma del giornalismo, notista del Corriere della Sera.

“La marcia su Bolzano fu la prova generale di cui aveva bisogno per capire se poteva forzare la mano al governo e ottenere la posta in gioco, il potere”
(Maurizio Ferrandi)

A Trento la situazione si ripete ma nei confronti di un liberale: “Credaro – continua Ferrandi –, persona di grande civiltà e profonda conoscenza della cultura tedesca, viene lasciato solo e si dimette. Il commissariato civile, l’organizzazione dello Stato liberale per cercare una soluzione agli strascichi del 1918, le questioni delle minoranze tedesca e slovena a Triestre, viene smantellata”. Cominciano i tempi bui, quando ancora Mussolini non ha preso il potere ma appare chiaro che la crisi del governo liberale è irreversibile.

Pur se alle elezioni il Pnf continuerà a non brillare nei collegi di Trento e Bolzano, il fascismo si pone come l’unica difesa dell’italianità, riprendendo le tesi del partito nazionalista che fagocita al suo interno. Nel maggio del 1921 e nel 1924, quando si vota con la famigerata legge Acervo, i voti non sono molti.

Rimangono, sul fondo, tre questioni da puntualizzare secondo il relatore. La prima è che l’opposizione al fascismo nel Sudtirolo non fu mai violenta. L’unico fatto di sangue fu l’omicidio da parte delle squadre d’azione del maestro Franz Innerhofer, ucciso il 24 aprile 1921 nella Domenica di sangue, o Blutsonntag). “La resistenza fu istituzionale, con attività come le scuole clandestine, ma mai con lo scontro fisico” ricorda Ferrandi.
La seconda è che Mussolini e il suo regime privilegiarono l’Alto Adige, meta dell’italianizzazione forzata, con investimenti e monumenti che tutt’ora – mentre dura il rompicapo se non fosse meglio abbatterli – emanano la loro aura di discordia. “Risale al 1927 – aggiunge – la creazione della provincia di Bolzano, separata da Trento. I trentini si sentirono torteggiati e non è un caso, è una tesi mia, se poi nel dopoguerra fallì la prima fase dell’autonomia”.
La terza si ricollega alla prima e verte sull’incontro-scontro di culture. “Siamo una terra di frontiera – conclude –, con frizioni perenni dalla metà dell’Ottocento. Io stesso riflettendo sul sentimento nazionale trovo sempre più difficile trovare il punto di passaggio tra il sano patriottismo e il nazionalismo malato”. In un’Europa a rischio balcanizzazione è un tema molto attuale.