Sich selbst sehen – 30 Jahre später
Die Geschichte der Frauenbewegungen ist keine, die in Südtiroler Geschichtsbüchern vermerkt ist. Geschichte wird von Männern für Männer geschrieben – teilweise immer noch. Ausnahmen bestätigen immer wieder die Regel: Werke, die zur Bewusstseinsbildung beitragen und aus der Gesellschaft heraus entstehen – wie etwa FemBio oder Tanna mit dem Buch „Frauen der Grenze - Donne di Frontiera” sind selten – und umso kostbarer.
Doch auch abgesehen von diesen Ausnahmen gibt es immer wieder Verräter*innen dieser männlichen Geschlossenheit, beispielsweise am 11. September: Am Freitag gedenken die Grünen Frauen der Anwältin, Feministin, Landtags- und Regionalratsabgeordneten, Aktivistin und Kämpferin Andreina Emeri. Im Mittelpunkt stehen Erzählungen, Erinnerungen und Begegnungen von Valentina Emeri, Luisa Gnecchi, Mimma Battisti und Grazia Barbiero, moderiert von Ingrid Facchinelli – ab 18 Uhr in der Andreina-Emeri-Straße, Bozen und ab 18.30 Uhr im Mehrzwecksaal Ortler (Anne-Frank-Platz 21, Bozen).
Damit gedenken die Grünen einer mutigen Politikerin, die stets vor einer Abschottung der Frauen gegenüber Männern warnte, wenn auch der Seperatismus auslösendes Moment für ein kollektives Selbstbewusstsein war.
Tagung auf Schloss Maretsch u.a. mit Andreina Emeri und Alexander Langer, 1983
Andreina denkt die feministische Tragweite ihres Handelns weiter. Alexander Langer und seiner Kritik der Technik entgegnet sie 1983, eine Rückkehr zur „Natur“ bedeute auch eine zu einem Zustand, welcher der Frau und ihrer Sexualität lediglich den Sinn der Fortpflanzung zugesteht und in der Vergewaltigung das basale Schema des Geschlechtsverkehrs sieht: „Wenn wir die sündigen Waschmaschinen wegwerfen, werden die Jungs (ob Rote oder Schwarze) lernen, ihre Hemden selbst zu waschen?”
Identifikation und Solidarität
Eines hat sich seit damals nicht geändert: Der Körper der Frau ist immer noch ein Schlachtfeld staatlicher Interessen. Abtreibungsreglementierungen, Verschleierungsver- und gebote, die Frage, in welchem Rahmen frau Belästigungen zu ertragen (oder zu begrüßen!) hat, die inexistenten Rechte von Sexarbeiter*innen, die Schuldzuweisungen, wenn Frauen keine, mehr oder weniger Kinder bekommen. Eine britische Studie zeigte kürzlich, dass junge Frauen seltener zum Arzt gehen als ältere, weil sie ungern über Sexualität und damit verbundene Fragen und Unsicherheiten sprechen.
Um all dem entgegenzutreten, brauchen wir Identifikationsfiguren. Sich selbst in der anderen sehen, auch wenn wir diese nie gekannt haben, ist die Grundlage der Frauensolidarität, die Grundlage für eine breite Bewusstseinsbildung und ein politisches Engagement, das dem Prinzip der Lust und Freude an der Politik stets treu bleibt.
Caterina Maurer (nella foto, a sinistra) è nata a Bolzano nel 1987, due anni dopo la scomparsa di Andreina Emeri. Dottoranda in filosofia a Trento, dal 2014 è co-portavoce delle Donne Verdi. Maurer ha contribuito all'organizzazione dell'evento di venerdì; le abbiamo posto alcune domande.
Cosa desiderate esprimere attraverso la commemorazione di Andreina Emeri?
Con questo piccolo evento vogliamo esprimere anzitutto gratitudine, nei confronti di una donna che tanto ha dato alla sua terra e al movimento delle donne. Un piccolo momento in cui le voci di chi l’ha conosciuta possano incontrarsi, completarsi e donarsi, in labirinti di memorie e immagini, ai presenti e a chi, soprattutto, Andreina non l’ha conosciuta. Questa serata è quindi un luogo in cui lasciar emergere emozionanti memorie, condividerle, non lasciarle cadere nel silenzio.
Warum werden Andreina Emeri und ihre zentralen Forderungen so oft vergessen, wenn es doch im Vergleich dazu immer mehr Mode kommt, Alexander Langer zu zitieren?
Zu sagen „weil sie eine Frau ist”, greift zu kurz. Wahrscheinlich war es auch der Schatten Langers, der dazu beigetragen hat, die Erinnerung an sie zu trüben. Andreina Emeri ist aber alles andere als eine unbekannte Figur: Personen ihrer Generation bewahren ihr Andenken mehr oder weniger lebendig. Stärker verblasst wenn nicht sogar inexistent ist die Erinnerung hingegen im Gedächtnis derjenigen, die in den Jahren nach ihrem Tod geboren sind. Das muss uns zu denken geben, dass nicht genug darüber gesprochen wird oder nicht richtig. Die Erinnerung muss am Leben erhalten werden und unsere Veranstaltung ist ein Schritt in diese Richtung.
Sul femminismo e sulla convivenza tra gruppi linguistici pesano ancora separatismi e vittimismi, come scrisse Emeri 30 anni fa?
Durante il convegno “Sudtirolo 2000 – Un pacchetto per l’Europa”, tenutosi nel giugno del 1984 a Bolzano, Andreina Emeri concluse il suo intervento con le pregnanti parole “minoranza è bello!”. Il suo discorso prende le mosse dalla constatazione che esistono dei tratti che accomunano la storia delle donne e quella delle minoranze tedesca e ladina in Sudtirolo. Una storia di oppressione ed emarginazione, il cui ricordo conduce spesso ben oltre il separatismo sano e necessario per “l’identificazione col gruppo, nel gruppo e del gruppo”, inducendo un separatismo ostinato che fa cedere al vittimismo. Una tentazione che Andreina ravvisò 30 anni fa e contro cui cercò di metterci in guardia: “Ci siamo messe da parte per esistere e avere parte del mondo – non per esaltarci in una marginalità che è fasulla quando non sia disperata e perdente”. Queste parole non hanno perso di significato, continuando a descrivere la realtà sudtirolese e quella femminile, e sono un prezioso strumento di analisi della realtà contemporanea, in cui sovente gruppi minoritari (minoranze linguistiche, religiose, lgbt, ecc.), lungi dall’aprirsi al dialogo e al confronto con l’altro, si trincerano, a causa di un passato di discriminazione, in un vittimismo non costruttivo, che contribuisce unicamente a erigere il pregiudizio nei loro confronti e non a scalfirlo. Bisogna aprirsi all’altro in un dialogo costruttivo, farsi conoscere, perché spesso si teme qualcuno solo perché non lo si conosce.
“Momenti di separatismo dovrebbero poter mescolarsi a momenti comunitari: punti di separatismo dovrebbero rappresentare intermittenze, nodi colorati in un tessuto più misto. L'esperienza del movimento delle donne insegna anche attraverso gli errori: certi temi sui quali le donne hanno molto lavorato, molto parlato, si sono molto conosciute, sono rimasti abbastanza estranei agli uomini. Questo gap è stato un fattore negativo. Ricordo che abbiamo detto che non dovevamo fare le missionarie e andare a portare la verità ai maschietti e che ciascuno doveva crescere con le sue forze. Però qualche scambio in più avrebbe forse un po' accelerato la demaschilizzazione lentissima e goffa del sindacato e dei partiti. E così un intreccio maggiore fra i gruppi linguistici avrebbe chiaramente e prima smobilitato una serie di pregiudizi e una serie di modi di fare e di dire irrispettosi dell'essere degli altri”
Warum hat Feminismus in den letzten Jahren eine derart negative Konnotation bekommen?
Diese negative Konnotation des Feminismus kommt nicht nur aber auch daher, dass er sich in letzter Zeit widersprüchlich und hartnäckig an einen legendären, ruhmvollen Abschnitt klammert und sich hinter einer verherrlichten, hoffnungslosen Marginalität verschanzt. Dies liegt daran, dass der Seperatismus, wie Andreina schreibt, in einem historischen Moment eine „Pflichtetappe” zur Selbstbewusstseinsbildung der Frauen bildete, ein „Instrument des Kampfes” aber keineswegs eine Neuordnung der Verhältnisse zwischen Männern und Frauen. Wir dürfen uns nicht in uns selbst einschließen, in der puren Verherrlichung der Frau und damit destruktiv gegenüber dem Männlichen, das ist kontraproduktiv und ärgerlich. Wir können Errungenschaften nur im Dialog beibehalten, in der Öffnung und der Zusammenarbeit, die Einseitigkeit ist schädlich.
Qual è il modo interetnico di fare politica che oggigiorno più si avvicina all’impegno di Andreina?
Anche in un partito “interetnico”, permane purtroppo la tentazione di distinguere tra gruppi linguistici, nonostante lo sbandierato plurilinguismo. Non si tratta infatti di una questione meramente linguistica – cioè legata alla capacità di esprimersi indifferentemente in una lingua piuttosto che nell'altra – quanto di un retaggio culturale difficile da estirpare: quello della compattezza etnica che porta a rivolgersi soprattutto al proprio gruppo di appartenenza. Perciò è necessaria una politica che sia inclusiva e non esclusiva, che si rivolga ai cittadini senza distinzioni di genere né di carattere etno-linguistico. Una politica che esalti le diversità e le minoranze come una ricchezza, che non dica semplicemente di abbracciarle idealmente, ma che concretamente incarni le parole di Andreina quando esclamò: “Minoranza è bello!”.