Gesellschaft | Dal blog di Franco de Giorgi

10 giorni in Siria

Solo tre giorni fa ero ancora a Damasco, nevicava e un vento freddo tagliava le gambe. Le mani le tiravo fuori dalle tasche solo per mostrare il passaporto, quando qualche zelante soldato me lo chiedeva. Le strade erano piene di militari, le divise incomplete e approssimative, i kalashnikov bene in vista, ma gentili e efficienti, rassicuravano più che inquietare.
Hinweis: Dieser Artikel ist ein Beitrag der Community und spiegelt nicht notwendigerweise die Meinung der SALTO-Redaktion wider.

Le strade, ampie e ben tenute, sono affollate da blocchi di cemento e cavalli di frisia, trasformate in complicati percorsi obbligati tra le postazioni difese da sacchetti di sabbia.

Le code sono interminabili, il traffico micidiale, anche i pedoni non hanno vita facile e tornare all’hotel è ogni volta un’impresa.

Invece fuori Damasco le autostrade, perfette, sono deserte. Ero arrivato dieci giorni prima da Beirut con una mercedes affittata, che filava a 140, perché non si sa mai, mi ha spiegato l’autista, ogni tanto i cecchini tirano alle macchine e anzi, “it’s better if you down a bit ’cause you’re too tall”.

Il governo controlla la capitale entro un raggio di 10 km, anche l’aeroporto ne resta fuori ed è inagibile; presidia anche tutti i centri maggiori siriani, a parte Homs e Aleppo, ma appena in periferia il territorio diventa proprietà di una miriade di gruppi di ribelli di difficile collocazione, politica, religiosa, militare. Per andare da Damasco ad Aleppo si incontrano circa 30 check point di diverso colore: passano i convogli umanitari della Mezza Luna Rossa, cui comunque hanno ammazzato 22 volontari, e i veicoli privati commerciali, variamente taglieggiati o più o meno imparentati con qualche esponente dei gruppi. Tutti, indistintamente, si raccomandano ad Allah.

Gli espatriati e i cooperanti non escono da Damasco e se lo fanno è a proprio rischio. Le grandi agenzie come UNICEF e OCHA hanno enormi disponibilità di fondi per l’aiuto umanitario ma è molto difficile usarli. Innanzitutto devono collaborare strettamente con il governo e poi dipendono dalle poche ONG internazionali disposte a venire a lavorare qui e dai partner locali, tra i quali solo la Mezza Luna Rossa è tollerata da parte dell’opposizione e gode di una certa libertà di movimento per distribuire gli aiuti.

Sono qui proprio per questo, per aprire la strada ad una ONG italiana, il GVC, che già da anni lavora in Libano con i profughi siriani, nella Valle della Bekaa e che ora è pronta ad intervenire in Siria. Bisogna concordare con le autorità governative l’area d’interesse del programma di aiuti e i settori d’intervento, accordarsi con il partner locale, definire i dettagli del progetto. In pratica passo le mie giornate da un ministero all’altro, da un’agenzia all’altra, avanzando a piccoli passi verso una meta incerta, che è strettamente correlata all’andamento della guerra in corso.

Le forze governative stanno guadagnando terreno e l’opposizione, frantumata e preda spesso dei fondamentalisti più pericolosi, ha perso sul piano internazionale la credibilità di cui godeva all’inizio. Se chiedo alla gente che incontro e ai miei collaboratori di qui, tutti esprimono la loro stanchezza e la loro sfiducia in una Siria migliore, sperano solo nella pace, che sia pure quella governativa, inch’allah.

Verso le cinque è ancora chiaro e si cominciano a sentire rombi lontani. Il cameriere mi spiega che sono i “fuochi artificiali del pomeriggio” e mi strizza l’occhio. Sono i governativi che tengono a bada i ribelli alla periferia. Ogni tanto quelli rispondono e un mese fa hanno centrato con un razzo la moschea degli Omayyadi, proprio qui, nella città vecchia, una delle più antiche e affascinanti moschee del mondo islamico.

L’Hotel dove abito è a 4 stelle, ma la luce funziona ad intermittenza, l’ascensore ovviamente è vivamente sconsigliato, il gasolio è finito e il riscaldamento spento, mentre lascio il bar per risalire in camera, il cameriere, premuroso, mi ricorda di non affacciarmi alla finestra e di chiudere le tende …. “because there are the snipers ……”