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Un’altra frutticoltura è possibile

A Cengles, in Val Venosta, la resistenza di Lisi e Simon al di fuori delle logiche dello sfruttamento intensivo: “Nella nostra azienda gli insetti sono fondamentali”.
Habitat di pregio: Biotopo coltivato a frutteto
Foto: Ricarda Schmidt

Bittenfelder, Stuttgarter Geißhirtli, Kernechter vom Vorgebirge e molte altre varietà di frutta che non ho mai sentito prima prosperano nel terreno di Lisi e Simon, a sud-est della zona industriale di Cengles, dove ci incontriamo. È metà aprile e ci accingiamo a piantare insieme dieci giovani alberi nel frutteto che i due stanno realizzando.

Fino a pochi anni fa, qui era ospitato un grande classico della frutticoltura commerciale altoatesina, una selezione di mele ad alto rendimento coltivate a fuso. Poi quelle piante sono state estirpate ceppo dopo ceppo, lasciando spazio a una ricca biodiversità. Una buona metà dell’area è ora occupata da un campo che per i primi due anni era stato lasciato a maggese. “Abbiamo rigenerato il terreno con la tecnica del sovescio e lo abbiamo reso adatto ad altre coltivazioni”, mi spiega Lisi.

L’altra parte della superficie ospita un filare di albicocchi, varie piante da siepe ai margini e una grande varietà di alberi da frutto ad alto e medio fusto. “Per quest’area abbiamo pensato a un uso misto, con pecore da latte che pascolano sotto gli alberi”, racconta Lisi, che taglia abitualmente le radici e i germogli laterali delle piante, come quelli che stiamo per mettere nelle buche d’impianto.

 

 

Prugne rotonde, mele sferiche e pere piramidali

 

Anche se la piantagione non è ancora terminata e presto arriveranno altri alberi, conto già 23 tipi diversi di frutta. Sembra quasi di essere in un giardino varietale! “In effetti, il Giardino Varietale Alto Adige ha sostenuto il nostro progetto con grande entusiasmo e ha assecondato i nostri desideri, talvolta insoliti”, mi spiega Lisi, riferendosi ad alcune rarità e varietà da collezione, tutte con una biografia interessante. La storia della mela Gravensteiner, ad esempio, risale almeno alla metà del XVII secolo, ma la sua provenienza è ancora oggetto di miti: ha avuto origine in Alto Adige o nel giardino del castello di Gravenstein, la residenza estiva dei re danesi? E fu davvero un pastore a scoprire casualmente la varietà di pere Stuttgarter Geißhirtli verso la metà del XVIII secolo? Sono particolarmente colpita dal prugno di Fellenberg: un albero piccolo, che in età adulta prende una forma rotonda e produce frutti molto gustosi, capaci di resistere anche a temperature fino a 26 gradi sottozero.

 

Una cosa è certa: qualunque frutto verrà raccolto qui è ricco di carattere e racconta una storia, compresa quella della loro coltivazione da parte dell’uomo, grazie alla quale continuano a esistere. La tradizione della frutticoltura risale infatti a molti millenni fa. I Romani hanno acquisito il sapere sulla coltivazione e l’uso della frutta dai Persiani e dagli Egizi, diffondendolo nell’Europa centrale. Così, con il passare del tempo, grazie all’azione dell’uomo, si è sviluppata nel mondo una gigantesca riserva genetica di diverse varietà frutticole adatte al luogo in cui crescono: un patrimonio culturale collettivo, di cui dobbiamo andare fieri.

 

ll sapere perduto e la volontà di recuperarlo

 

In Alto Adige, i frutteti sono elementi suggestivi del paesaggio culturale anche se, purtroppo, come nel resto dell’Europa centrale, hanno quasi tutti lasciato il posto a coltivazioni e insediamenti intensivi o, ancor peggio, a radure abbandonate.
Ciò ha comportato anche la perdita della ricca e complessa conoscenza acquisita con l’esperienza. Come si pianta un frutteto? Quali varietà sono adatte a un certo clima e in un determinato terreno? Come si riproducono le varietà? Come e ogni quanto va curato e gestito il frutteto? Come e quando si potano gli alberi? Come si organizza al meglio la raccolta, tenendo conto dei periodi di maturazione variabili e talvolta scaglionati? E ancora: come si lavora il raccolto? Senza dubbio una grande varietà nel frutteto comporta diverse modalità di lavorazione. La mela Bittenfelder che Lisi e Simon hanno piantato, ad esempio, è adatta soprattutto alla produzione di succhi fermentati e non, mentre la Jakobiapfel spicca nelle conserve e nello strudel. La James Grieve, invece, può essere la base di una pregiata acquavite. Suona come una varietà enorme, allettante per noi clienti ma molto impegnativa per Lisi e Simon in veste di produttori!

I frutteti tradizionali costituiscono un elemento suggestivo del paesaggio culturale. In qualità di esteti, non possiamo fare altro che coltivare la nostra frutta in questa forma

 

Ovviamente, la volontà di continuare a imparare, di ampliare costantemente i propri orizzonti e, se necessario, essere pronti a cambiare direzione è di fondamentale importanza quando si intraprende questo “avventuroso” mestiere. Infatti, serve anche una buona dose di coraggio! “Le esperienze ci fanno crescere ogni giorno. In generale, pensiamo che l’aggiornamento professionale sia un dovere essenziale per noi agricoltori, perché ci aiuta a capire e descrivere le nostre percezioni nei campi, a riconoscere e spiegare le relazioni. Per questo la formazione ci sta così a cuore”, mi confidano i due.

Lisi e Simon non si limitano a fornire ai clienti frutta salutare e fresca, bensì spiegano loro perché tra un anno potrebbero non esserci mele Gravensteiner (ovvero perché l’albero è in stand by), come mai a fine settembre si trovano ancora pesche fresche di Cengles e ancora ci invitano ad accettare che la frutta ha una stagionalità, che merita di essere rispettata. Come quando si aspetta l’inizio di agosto per gustare le pere Stuttgarter Geißhirtli appena colte dall’albero, anche se solo per poche settimane.

In questo modo, cambia il nostro personale punto di vista, permettendoci di capire che l’assortimento completo che vediamo quotidianamente al supermercato è una paradisiaca illusione. Non bisogna vedere gli alberi come meri “produttori”, ma comprenderli come organismi viventi con le loro caratteristiche ed esigenze. Rispettare e accettare questo significa porre le basi per un approccio etico nei confronti di tutti gli esseri viventi e della vita nel suo complesso. È possibile che, mentre noi accudiamo gli alberi, coltivandoli e potandoli, anche loro educhino noi, se glielo permettiamo?

 

 

Una forma di resistenza pacifica

 


Lisi e Simon hanno scelto intenzionalmente gli alberi da frutto che sono anche ottimi produttori di polline: con i loro diversi periodi di fioritura, queste piante offrono agli insetti una tavola riccamente imbandita per molte settimane all’anno. “Nella nostra visione olistica di un’azienda agricola gli insetti sono fondamentali, e non solo per la frutticoltura. Piantare varietà particolarmente ricche di polline significa riconoscere le strette relazioni tra i singoli protagonisti di un’economia concepita a 360 gradi. Grazie a questa mentalità, l’agricoltura esce dalle logiche monetarie e si lascia considerare nel suo complesso”, affermano all’unisono Lisi e Simon. In questo modo, il loro business diventa una sorta di resistenza pacifica, che affronta le diverse crisi del presente con soluzioni creative e azioni concrete.

“Siamo esteti” Nella mia mente si proietta l’immagine di questo frutteto tra vent’anni, quando il prugno di Fellenberg avrà raggiunto l’età adulta e avrà acquisito una forma quasi rotonda e, accanto ad esso, si ergerà il melo di Jakobiapfel con la sua chioma alta e sferica, sormontato dal pero Butirra, la specie Frühen von Trévoux, dalla crescita maestosa e piramidale. “I prati con alberi da frutto radi costituiscono un elemento suggestivo del paesaggio culturale”, conclude Lisi ammiccando. “In qualità di esteti, non possiamo fare altro che coltivare la nostra frutta con questa modalità”.

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Peter Gasser Fr., 12.08.2022 - 10:54

Eine wunderschöne Geschichte, fast ein Märchen, wirtschaften wie zu Großvaters und Großmutters Zeiten.
Ein bißchen versuche ich das auch: in meinem Garten steht ein Gravensteiner, ein Sämling (Hochstamm), an ihm lehnt eine Loan. Er alterniert, trägt also nur jedes 2. Jahr reichlich Früchte.
Im Artikel steht: „Die Streuobstwiesen sind ein stimmungsvolles Element der Kulturlandschaft“... Als Ästheten können wir unsere Früchte nur so anbauen.“
Nun sind wir gerne alle Ästheten, aber müssen eben auch wirtschaften: Hofertrag, Betriebseinkommen, nachhaltiges Betriebseinkommen, Rücklage für Investitionen und Ausfalljahre, Monats-“Gehalt” von Lisi und Simon aus dem Betrieb: kein Wort dazu...
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Allgemein: früher zu Urgroßvaters Zeiten war z.B. Jenesien ein Selbstversorgerdorf; man hatte, was die Natur zur Zeit hergab und verzichtete in anderen Zeiten darauf.
Jenesien heute?
(Machen wir jetzt mit allen dort Wohnenden wieder ein Selbstversorgerdorf aus Jenesien, machen da alle Einwohner mit?).
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Als Nische erzählt dieser Beitrag eine wunderschöne Geschichte, faszinierend, auch ich träume von Streuobstwiesen, Kartoffeln darin und Schafen... die Zeit unserer Großeltern.
Früher baute man ein Haus auch nur aus den Materialien, welche es in der nahen Umgebung gab. Und heute?
Und hilft es, wenn ortsnahe Kunden 2 Monate lang Obst von Streuobstwiesen kaufen, dann aber das Handy zücken und sich in den SUV setzen, den Gravensteiner in der Tasche im Flugzeug nach Olbia zum Urlauben?
Und dann doch im Winter und Frühjahr Orangen, Bananen, Mangos, Papayas und Äpfel aus moderner Landwirtschaft konsumieren? Sich Kaffee, Tee, Tabak aus brutalster Erzeugung samt Kindersklavenarbeit kaufen und ein kostengünstiges Baumwollhemd aus chemisch gespritzter Baumwolle aus dem Land der Uiguren tragen?.
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Es ist eine schöne Geschichte, bewundernswert und Hoffnung machend - allein mir fehlt im Artikel
- der ökonomische Aspekt des Unternehmens und
- die Übernahme der Idee als Ganzes in unsere Gesellschaft in ALLEN Bereichen.
Andernfalls bleibt es ein zusätzlicher Luxus, den “man sich leistet”, dass man als Konsument in einem kleinen Segment (Obst und Gemüse) für eine kurze Zeit im Jahr (3 Monate) das Lebensgefühl der Großeltern spielt. Die restliche Zeit und in allen anderen Belangen: gleich weiterlebt, den Gravensteiner in der Tasche im Flugzeug auf Kurz-Urlaubstrip im Hemd aus XinJiang.

Fr., 12.08.2022 - 10:54 Permalink