“Benvenuti nel post-capitalismo”
Ricentrare il sistema economico e sociale valorizzando le pratiche dal basso, le iniziative di autogestione e partecipazione dei cittadini. Uscendo dalla logica basata unicamente sul profitto e da un impianto normativo che talvolta scoraggia le “buone pratiche” trasformative. L’appello di Paolo Cacciari, giornalista, attivista dei movimenti sociali e ambientalisti, già deputato con Rifondazione comunista (nonché fratello del filosofo Massimo Cacciari), parte dai beni comuni: concetto in voga negli ultimi tempi, che però è oggetto di un’azione concreta, la raccolta firme che ha permesso di trasformare il ddl della commissione Rodotà in una proposta di legge popolare da discutere in Parlamento.
L’autore che si occupa di decrescita e di economia alternativa da tempi non sospetti (“Pensare la decrescita”, per Intra Moenia, è del 2006) sprona il governo Conte e la nuova maggioranza ad approvare il testo. Un appello ribadito anche durante la sua partecipazione a Bolzano all’incontro sul tema nell’ambito del progetto “Commons in the city - Ripensare la città” delle OfficineVispa. Ma il suo ragionamento dalla valorizzazione delle risorse collettive si estende al “post-capitalismo”: “Non è un’utopia - afferma Cacciari - ma un passo che stiamo già facendo”.
I beni comuni sono diventati un lemma di successo. Peccato che questo concetto non abbia ancora alcun riscontro nel codice civile. Per questo il disegno di legge Rodotà va portato avanti
Il titolo del suo intervento, nel dialogo presso il rione Don Bosco a Bolzano, è “Che fine hanno fatto i beni comuni?”. Qual è la sua risposta a questo interrogativo?
Paolo Cacciari: I beni comuni sono diventati un lemma di successo. Non c’è movimento, gruppo o comitato che non usi questo termine per rivendicare una gestione partecipata, aperta e condivisa di beni e servizi utili a migliorare la vita delle comunità locali. Peccato che questo concetto non abbia ancora alcun riscontro non dico sul codice civile ma nemmeno nel complesso della giurisprudenza e ancora nessuno in politica.
La legge di iniziativa popolare elaborata dalla commissione Rodotà va proprio in tale direzione. Ovvero introdurre i beni comuni nell’ordinamento legislativo italiano. Lei ne è uno dei sostenitori, è così?
Abbiamo appena finito la raccolta di firme sulla proposta di legge, presentata ormai più di dieci anni fa in Parlamento. Una sottoscrizione avviata per trasformare il testo in uno di iniziativa popolare. Speriamo che questo nuovo governo sia più sensibile di quelli che lo hanno preceduto”.
Abbiamo appena concluso la raccolta firme per trasformare il ddl della commissione Rodotà in uno di iniziativa popolare. Speriamo che questo nuovo governo sia più sensibile di quelli che lo hanno preceduto
Uscendo un po’ dallo slogan, cos’è nel concreto un bene comune: un parco, una strada o c’è dell’altro?
La tassonomia, classificazione dei beni comuni è materia molto controversa e elastica. Nel senso che poi sono le comunità locali che individuano questi beni o servizi come fondamentali per la concretizzazione di alcuni diritti collettivi di cittadinanza. Capisco che questa è ancora una definizione astratta, ma può esplicitarsi in un parco, un giardino, una palestra, una villa. Ci sono inoltre alcuni esempi concreti che interessano anche le diverse scelte degli enti pubblici. A Venezia, dalle mie parti, come a Napoli.
Cosa intende nello specifico?
A Venezia c’è una vertenza che sta durando da anni con il demanio dello Stato che vorrebbe privatizzare un’isola della laguna, Poveglia, mentre gli abitanti vorrebbero che fosse destinato ad un uso pubblico, collettivo, non privatizzato. Non trasformata nell’ennesimo resort di lusso. A Napoli invece dove c’è un’amministrazione comunale molto coraggiosa, che è andata anche contro alcune dispositivi della Corte dei conti, è stato consentito a delle comunità di quartiere di poter liberamente disporre di alcuni immobili abbandonati, di grande valore. Penso all’ex carcere minorile, all’ex asilo Filangeri, all’ex ospedale psichiatrico-giudiziario. Attorno a tali strutture sono nati poliambulatori, spazi per i bambini, orti sociali, sale prove, teatri. Stiamo parlando di rigenerazione urbana, di recupero di immobili abbandonati sotto schiaffo delle speculazioni immobiliari. Poi ci sono quelli che vengono chiamati beni comuni globali: acqua, clima, atmosfera, oceani, mari e via dicendo che hanno bisogno di politiche di tutela a livello mondiale. Come vede sotto l’etichetta si possono riconoscere delle cose, delle res di diverso valore e dimensioni che hanno bisogno di gestione articolate. Declinate a seconda della natura del bene.
Qual è l’obiettivo di fondo della legge Rodotà: forse favorire un uso diverso delle risorse materiali e immateriali collettive?
Gli obietti sono su più livelli. Il primo obiettivo è preservare le risorse collettive dalle privatizzazioni. Dal ‘vendere i gioielli di famiglia” per risanare i conto correnti. Questa è la prima cosa che fa scattare la lotta, le battaglie dei cittadini che si vedono sottrarre dei beni tradizionalmente di uso comune. Mettere un freno all’alienazione. Ma c’è un secondo fine: rivendicare una gestione che non sia burocratica, statalista, ma al contrario partecipata e condivisa dalle comunità di utenti e fruitori.
L’obiettivo è uscire da un utilizzo dei beni pubblici basato esclusivamente sulla logica del profitto. L’autogoverno dei cittadini permette iniziative che hanno anche un valore economico
Proposte di utilizzo, al di fuori dalle logiche economicistiche o privatistiche?
Esattamente, proposte di autogestione e autogoverno da parte dei cittadini. Questa è la chiave. Penso all’esperienza che va avanti da tempo a Mondeggi, in provincia di Firenze, dove una grande tenuta agricola di proprietà pubblica è gestita da una decina di famiglie di giovani contadini che l’hanno recuperata e coltivano con sistemi di agro-ecologia e insieme con i paesi vicini fanno l’olio e il vino.
Esiste quindi un valore economico “positivo” nelle gestioni dal basso?
Certo, la scommessa è trovare forme di utilizzo che reggano dal punto di vista economico, che si autofinanzino. L’intento è uscire da una logica del profitto e della rendita che nelle città significa cadere nelle mani degli investitori turistici e nelle campagne in quelle dei latifondisti e dell’agricoltura industriale intensiva. In altre parole, dare i mezzi per sviluppare forme di economia sostenibili, locale, a chilometro zero.
Lei ha fiducia sul nuovo governo, in relazione ad un riorientamento delle politiche verso gli interessi collettivi?
Non sono più parlamentare dunque non devo più dare fiducia (sorride, ndr). Tornando alla domanda, sono contento che si sia tolto un nodo in gola che è il sovranismo leghista ed egoista. Però non mi pare che né il Pd né il movimento 5 stelle abbiamo ancora capito la lezione, la necessità di una svolta radicale nelle politiche economiche e sociali.
Fiducia in questo governo? Almeno è stato tolto il nodo in gola del sovranismo leghista, ma né il Pd né il M5s mi sembrano abbiano capito la lezione: serve una svolta radicale nelle politiche
Si aspetta che il Conte-bis e la nuova maggioranza portino a compimento la proposta Rodotà?
Sì. Su questo ho fiducia. Non mi pare che Conte abbiamo pronunciato questa parola magica però mi pare che nel programma ci sia l’impegno di portare avanti almeno la legge sull’acqua bene comune, il testo per ripubblicizzare i servizi idrici integrati in base al risultato del referendum del 2011.
Lei parla da tempo di economia post-capitalista: a questo punto resta un’utopia o è diventata qualcosa di più concreto?
Ne stanno parlando tutti, sempre di più: economisti come Tim Jackson, come Stiglitz. Parlano tutti esplicitamente della ricerca di una via di uscita da un sistema, scientificamente chiamato capitalista, che ci sta portando all’ecocidio, al biocidio. È un modello insostenibile da un punto di vista ambientale e insopportabile da quello sociale ed umano.
Il post-capitalismo non è utopia, tutti ne parlano. Occorre trovare un modello che ci porti fuori da quello attuale. Riguardo all’Alto Adige, questa è la terra del maestro di noi tutti, Alex Langer
Conosceva Bolzano e l’Alto Adige prima di venire per l’incontro del ciclo “Ripensare la città”?
Ho toccato Bolzano e Trento girando molto per l’Italia quando ho scritto il libro “101 piccole rivoluzioni” per Altreconomia, che raccoglie una lunga inchiesta giornalistica di 4-5 anni sulle buone pratiche dal basso che si stanno sviluppando nella Penisola. Mi ha colpito questo Comune straordinario in Alto Adige, Malles Venosta, che è stato tra i primi a mettere al bando i pesticidi. Sono esperienze straordinarie nella scia del grande maestro di noi tutti che è Alexander Langer.