Politik | Terrorismo

Il business dell’ebola e i baby-jihadisti

Vettori umani del virus e arruolamento di teenager: ecco le strategie dell’Isis.

Se dovessimo ragionare in termini di economia aziendale l’ebola, oggi, sarebbe il core business di un preciso e ben studiato marketing plan. Lo dimostra il folle piano dei militanti dell’Isis di diffondere il virus in Occidente usandolo come arma biologica e cioè veicolandolo in prima persona andandosene in giro per le strade e in luoghi pubblici affollati.
Per quanto la stampa avanzi ragionevoli dubbi sulla fattibilità dell’operazione (sarebbe complicato per i contagiati passare inosservati), secondo l’Intelligence americana i jihadisti sarebbero pronti a filmarsi nell’atto di iniettarsi in vena sangue infetto e divulgare poi il video online con l’intento di far leva sulle vulnerabilità e le paure più recondite di ciascuno.
Paure che subiscono uno sfruttamento integrale non solo dagli scherani del terrorismo ma anche da comuni cittadini che, animati da una sorta di squilibrata Schadenfreude, hanno pubblicato su Amazon decine di ebook sull’ebola – alcuni diventati rapidamente dei bestseller – che per lo più “contengono informazioni che sono o ampiamente fuorvianti o completamente sbagliate”.

Nel frattempo il sottobosco jihadista trova nell’Occidente un fertile terreno di caccia reclutando schiere di giovani soprattutto in Europa, Canada e Stati Uniti. Adolescenti che non sempre sono mossi da una radicale ideologia religiosa ma che, disillusi - secondo quanto risulta da alcune testimonianze dirette sui social media -, rifiutano lo stile di vita occidentale per imbarcarsi in una nuova avventura alla ricerca di un senso identitario al momento barcollante. Fra questi baby-volontari molte sono donne.

Emblematico è il caso delle due ragazze viennesi musulmane, figlie di profughi bosniaci, Samra Kesinovic di 17 anni e Sabina Selimovic di 15, che il 10 aprile scorso sono partite per raggiungere le roccaforti del califfato al confine siriano e, una volta giunte a destinazione, hanno mandato e-mail e sms per congedarsi definitivamente dal mondo occidentale.
“Inutile cercarci: ci vediamo in paradiso Serviremo Allah e moriremo per lui”, avevano lasciato scritto su un biglietto. Adesso le ragazze si troverebbero a Raqqa, nel nord della Siria, e hanno fatto sapere di essere incinte e di voler tornare a casa ma la cosa non è così facile, il governo austriaco, infatti, è stato chiaro: “Chi lascia così il paese non può tornare quando vuole”.
Malgrado ciò la ricerca delle due teenager non si ferma, la stessa Interpol ha pubblicato sul sito le loro foto.

È opportuno ricordare che, inizialmente, la politica dell’Isis riguardo l’arruolamento delle donne era di tutt'altra matrice: “loro non hanno alcun ruolo in questa guerra”, dicevano i militanti, tuttavia da quando la costituzione dello Stato islamico è divenuta un’ipotesi attuabile, qualche eccezione è stata fatta. La controparte femminile servirebbe soprattutto ai checkpoint per controllare che le donne non trasportino armi per gli oppositori, per insegnare loro la corretta condotta da tenere e soprattutto per “dare alla luce bambini jihadisti che contribuiscano a diffondere l’Islam”.