I voti come i cachi
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Le leggi elettorali sono un po’ come la frutta di stagione. Hanno un loro tempo ben preciso di maturazione. In genere, però, è quello sbagliato.
Una lunga esperienza insegna che si comincia a discutere di un nuovo sistema elettorale quando le legislature, oppure le consiliature se ci si riferisce ai consigli comunali, sono ormai avviate verso la seconda metà del loro percorso temporale. Quando cioè l’approssimarsi di un nuovo appuntamento con le urne toglie lucidità e preveggenza all’argomentare delle forze politiche. Ci dovrebbe essere una legge che impone di cambiare le norme elettorali solo nella prima parte del periodo amministrativo.
Avviene così anche in queste settimane. La situazione più arruffata è quella che si verifica nella vicina provincia di Trento dove il partito di maggioranza relativa, la Lega, ha visto svanire, con una sentenza della Consulta, la possibilità di portare il suo Presidente Maurizio Fugatti al traguardo del terzo mandato. Ed ecco scattare, nei conciliaboli di corridoio, l’ipotesi di aggirare l’ostacolo cambiando l’intero sistema elettorale e sostituendo il maggioritario con il proporzionale che, non prevedendo più l’elezione diretta del Governatore, non porrebbe limiti al numero di mandati che costui potrebbe ricoprire. Cammino incerto e periglioso quello di una simile proposta che ha già trovato tra l’altro il diniego di alcune tra le forze di opposizione ma anche quello dell’alleato/concorrente nella squadra di giunta.
A Bolzano, dove il sistema proporzionale puro è saldamente imbullonato sulla piattaforma elettorale grazie alle norme statutarie, si sono al massimo ventilate norme sul funzionamento interno dell’assemblea per evitare la proliferazione di gruppi formati da un solo consigliere. Resta appesa agli umori della Südtiroler Volkspartei anche una piccola riforma che andrebbe invece approvata: quella che, consentendo gli apparentamenti tra liste eviterebbe la dispersione dei voti finiti nelle tasche dei partiti che non riescono ad accedere al riparto dei seggi.
Di elezioni si parla però anche a livello nazionale dove il pacchetto delle grandi riforme varate dal centrodestra ad inizio legislatura assomiglia parecchio ad un motore ingrippato. Unico provvedimento che, tra mille polemiche, ha visto la luce è quello sulla giustizia, con la separazione delle carriere dei magistrati, che si avvia verso le forche caudine del referendum. Segnano il passo invece sia la norma sul premierato sia la procedura per le autonomie differenziate. Anche qui si tenta, a due anni appena dalla fine della legislatura, di apportare qualche ritocco alle procedure elettorali. La confusione però è tanta e ogni partito guarda più al proprio interesse immediato che all’efficienza di un meccanismo che andrebbe tarato anche tenendo conto di un fattore sempre più importante come il crescente astensionismo.
Lo ha sottolineato l’altro giorno con forza il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, parlando davanti ai rappresentanti dei Comuni e affermando che non è con artifizi tecnici e scorciatoie che si può pensare di riportare alle urne almeno alcuni di coloro che hanno voltato le spalle ai seggi.
Il Capo dello Stato non ha fatto riferimenti precisi ma molti hanno letto nelle sue parole un chiaro segnale riguardante un’altra riforma elettorale che sta marciando in Parlamento. Incardinata al Senato dovrebbe passare quanto prima alla Camera e prevede tra l’altro una modifica sostanziale alle regole per l’elezione dei sindaci nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Oggi come oggi il sistema è quello che vale anche per le Regioni. Elezione diretta del primo cittadino che passa al primo turno se supera il 50% dei voti. Se questo non avviene si va ad un secondo turno di ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto i maggiori consensi.
Secondo la nuova norma invece basterebbe che il più votato dei candidati al primo turno superasse il 40% per essere automaticamente eletto. Una norma che, qualcuno ha fatto notare, abbassa notevolmente il livello dei consensi necessari per l’elezione.
Abbiamo provato a vedere quali sarebbero stati i risultati se una norma di questo genere fosse stata applicata nelle elezioni comunali degli ultimi decenni a Bolzano. Quasi sempre la soglia del 40%, al primo turno, non è stata superata e quindi si sarebbe andati comunque al ballottaggio come poi è avvenuto nella realtà. Tanto per fare un esempio concreto alle ultime comunali il candidato del centrodestra Claudio Corrarati, ha ottenuto poco più del 36%. Le uniche due eccezioni sono da ricondurre a quell’anno in effetti particolare che fu il 2005. Nella tornata primaverile l’esponente del centrodestra Giovanni Benussi superò il primo turno con il 40% e in effetti poi prevalse per pochissimi voti al ballottaggio sull’uscente Giovanni Salghetti. Come si sa Benussi non riuscì poi a formare la giunta per il mancato appoggio della Südtiroler Volkspartei. I tempi non erano ancora maturi per celebrare il matrimonio che si è consumato nei mesi scorsi. I bolzanini tornarono quindi alle urne nell’autunno successivo e questa volta il candidato del centrosinistra Luigi Spagnolli fece il botto superando la soglia del 50% dei consensi già al primo turno.
Come si vede la norma in gestazione a livello nazionale non dovrebbe provocare, se approvata, troppi sconquassi. Quanto alla battaglia contro l’astensionismo, se ne riparlerà un’altra volta.
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