Paolo Baffi, una vita come rigore morale e prestigio scientifico

Dopo aver assistito a una memorabile conferenza di Geminello Alvi, uno dei più stretti collaboratori di Paolo Baffi, economisti entrambi di livello così alto che in Italia vengono emarginati proprio perchè competenti - è il destino di un Paese in mano ai lacché di ogni risma - non appare fuori luogo ricordare in poche righe chi è stato Paolo Baffi, governatore indimenticabile della Banca d'Italia che subì l'onta di accuse infamanti tra il 1975 e il 1979, salvandosi dal carcere solo in considerazione della sua età avanzata. Da sempre scettico sulla moneta unica europea, confidava all'amico Geminello Alvi le catostrofi prossime venture di un'Europa in mano a pochi.
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Foto: Solemon

Paolo Baffi, ovvero il rigore morale e il prestigio scientifico alla guida della Banca d'Italia dal luglio 1975 al settembre 1979. Nato a Broni (Pavia) nel 1911 da una famiglia di artigiani, si laurea alla Bocconi di Milano nel 1932 e quattro anni dopo entra in Banca d'Italia, dove resterà per 43 anni. L'ascesa al vertice è regolare e costante. Nel lungo periodo in cui Guido Carli è governatore (1960-75), Baffi gli è al fianco come direttore generale. Un sodalizio perfetto. Quando Carli si dimette, la nomina di Baffi è considerata una garanzia di continuità per un'istituzione che gode di autorevolezza e prestigio non comuni. Quando, il 24 marzo 1979, il giudice istruttore Antonio Alibrandi, nel quadro dell'inchiesta sulla Sir, gli invia una comunicazione giudiziaria per favoreggiamento e interesse privato, e nello stesso tempo ordina l'arresto di Mario Sarcinelli, vicedirettore generale della Banca d'Italia con la delega per la vigilanza, i maggiori quotidiani criticano apertamente l'operato della procura di Roma. Si tratta di una iniziativa inquietante. Qualche anno più tardi, scorrendo i nomi dei personaggi al centro della vicenda, più d'uno sarà indotto a pensare anche a collegamenti con la P2. Fin dall'inizio, gli addebiti su cui i magistrati fondano i capi di imputazione appaiono poco convincenti. In quanto direttore generale della Banca d'Italia, Baffi aveva ricoperto infatti anche la carica di vicepresidente dell'Imi (Istituto mobiliare italiano), fortemente impegnato nei finanziamenti alla Sir, il gruppo chimico di Nino Rovelli. L'accusa? Avere taciuto ai giudici le sospette tortuosità di un finanziamento alla Sir. Quanto fosse infondato l'addebito sarà riconosciuto solo nel 1981 con il proscioglimento degli imputati. Ma per Baffi e Sarcinelli furono giorni molto amari, come testimonia la cronaca autografa che Panorama pubblicò con una presentazione di Massimo Riva. A Baffi fu risparmiato l'arresto solo in considerazione della sua età avanzata, 68 anni. Uscito di scena con le dimissioni, Baffi è rimasto governatore onorario della Banca d'Italia fino alla morte, avvenuta il 4 agosto 1989. Ha lasciato moglie e due figli, un maschio e una femmina allora poco più che ventenni. (da Panorama).

Paolo Baffi fu una delle poche autorità che presenziarono ai funerali del giudice Giorgio Ambrosoli a Milano. Geminello Alvi ha ricordato ieri a Trento con grande affetto la figura di Paolo Baffi, rivelando che egli era nettamente contrario all'ipotesi di una moneta unica in un continente così squilibrato come quello europeo. La sferzante ironia di Alvi ha preso atto della vera e propria demolizione spirituale, morale, culturale, economica di un Paese come quello italiano, destinato a una ricostruzione su basi totalmente nuove. Come afferma nella sua ultima fatica, Alvi auspica la nascita di un Paese confederato (il federalismo oramai non è più in grado di garantire nulla), ispirandosi alle grandi figure di un passato che andrebbero quantomeno conosciute. La conoscenza, la meritocrazia, le competenze economiche di pochi, mentre si confondono le informazioni economiche con l'economia, con la statistica, con la chiacchiera di giornali inattendibili e manovrati, con un sistema dei media che rispecchia una società italiana disintegrata dai debiti e dalle follie politiche, economiche e culturali di una classe dirigente inadeguata, sono le premesse di un'analisi spietata ma di straordinaria intelligenza, svelata nelle pagine pubblicate da Marsilio. "La confederazione italiana , diario di una vita tripartita", è l'ennesima prova arguta e spiazzante di un autore competente, e perciò pericoloso, per una società corrotta come la nostra.

Abbandonati l'insegnamento universitario, le collaborazioni ai giornali, Alvi ha affidato la sua competenza economica e di scrittore raffinatissimo a opere di multiforme ingegno. Il lettore saturo del nulla che domina spesso la pseudocultura italiana troverà delizie insperate, in una prosa che sa rispettare la grammatica, "siamo passati da Montale a Saviano, uno con seri problemi di sintassi",  consentendo il sorriso come il grande Daniele Varè.

Ci vorranno almeno due generazioni per invertire la rotta, e non è assolutamente il caso di prendersela con i tedeschi, ha continuato Alvi, un popolo che ha edificato uno Stato che funziona, e che al tempo occorrente ha messo in campo riforme vere e non truccate come le nostre. Già i bilanci, tutti da verificare, i nostri...