Hit the Road
Facciamola breve: Jaddeh Khaki (Hit the Road) è un film bellissimo. Presentata in anteprima alla Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2021, la pellicola è diretta dall’iraniano Panah Panahi, figlio del regista Jafar Panahi, oppositore del regime di Teheran e per questo condannato anni fa agli arresti domiciliari. Cosa che - grazie a un team di preziosi collaboratori - non gli ha impedito di continuare a girare (grandi) film, come l’ultimo Khers Nist (Gli orsi non esistono), fresco di Premio speciale della giuria alla 79esima Mostra del Cinema di Venezia.
Hit the Road segna il debutto del rampollo.
Cos’è
Il film segue una famiglia di quattro persone in un misterioso viaggio in macchina nel nord-ovest dell’Iran verso una località sconosciuta. Al volante c’è il taciturno e pensieroso figlio maggiore (Amin Simiar), apparentemente in procinto di sposarsi ma il cui vero scopo sarà rivelato solo gradualmente, e non del tutto. Accanto al primogenito c’è la madre (Pantea Panahiha), il collante del clan che concilia forza materna e vulnerabilità, e sul sedile posteriore il padre (Hassan Madjooni), brontolone e distratto, con una gamba ingessata, che cerca di tenere a bada il figlio più piccolo (la vera star del film, Rayan Sarlak), un bambino iperattivo e chiassoso la cui indomabile energia conferisce al film il suo afflato anarchico.
Sullo sfondo c’è Jessy, il cane di famiglia, la cui malattia all’ultimo stadio è tenuta segreta al bambino, così come il vero motivo del viaggio, vagamente inquadrato come legato al fratello maggiore - nessuno però ne parla in modo approfondito e quando il più giovane lo menziona tutti si defilano.
Com’è
È un road movie miracolosamente in bilico fra melodramma e commedia, che utilizza il linguaggio del mistery e sì, anche del musical. Il lungometraggio di Panahi è impossibile da inscatolare ed etichettare, è un’abile miscela di generi e toni, è un film autoriale e popolare che dopo una prima parte più propriamente manierista - seppure con iniezioni di ironia - acquista via via personalità. C’è tantissimo non detto in Hit the Road ma non sono i dettagli della storia a contare: il focus passa quasi subito dalla ragione segreta alla base del viaggio dei quattro alle conseguenze di quella missione (no spoiler) sulle famiglie e sulle loro dinamiche rendendo universale il film nella descrizione di un’esperienza umana profonda, comunque sorretto da un significato ferocemente politico.
I momenti di sollievo comico - perlopiù innescati dalle esuberanti battute e dai diversivi del più piccolo della banda - vanno in parallelo con la malinconia del racconto, disseminato di citazioni pop: 2001: Odissea nello Spazio, Batman, Lance Armstrong, alcuni canti improvvisati di vecchie ballate iraniane. Il personaggio del secondogenito alleggerisce le scene più dense del film, un esempio: quella in campo lunghissimo à la Kiarostami in cui il bambino viene lasciato legato e scalpitante a un albero mentre la famiglia si trova improvvisamente ad affrontare l’evento inevitabile che stava aspettando.
C’è un gran lavoro di direzione degli attori, tutti in stato di grazia, e un controllo del mezzo cinematografico magistrale (dai long-take all’uso della camera car) oltre che straordinariamente maturo per un esordiente. L’intensità della messa in scena è altissima fino alla fine, grazie anche alle liriche inquadrature del direttore della fotografia Amin Jafari. Insomma, un’opera prima quasi perfetta che non ha ancora una data d’uscita per le sale italiane e chissà se mai ce l’avrà, perciò mani giunte in preghiera e crederci fortissimo.