Dorothea Wierer
Foto: Dorothea Wierer
Gesellschaft | Finferli e nuvole

Vaia e Doro

La devastante tempesta, l'oro e l'argento, apoteosi Wierer, la (ri)scoperta del biathlon e una certezza chiamata ZDF.

La foto di Albert Ceolan che ha vinto il concorso di Londra ritrae la devastazione di Vaia. La foresta abbattuta, spruzzata di neve, sembra quella appena sotto Carezza. Dall'altra parte della valle e un po' più a sud, attorno al passo Manghen, la situazione è ancora peggio.

Nel 2019 ci passa una delle ultime tappe del Giro d'Italia. Vincenzo Nibali, leggermente staccato, è seguito dall'elicottero della Rai. Dall'alto si ha la precisa dimensione del disastro. Il secolare bosco dei Lagorai non c'è più. In mezzo ai tronchi sdraiati si distingue netta la biscia d'asfalto. Solo che l'effetto è straniante: non si capisce dove siamo. Non ci sono punti di riferimento. Lì dove c'era il buio del bosco adesso c'è il sole accecante del monte pelato. Lì dove l'orizzonte era a trenta metri adesso arriva fino al Corno Nero sopra gli Oclini. Cinque, sei chilometri più in là.

A Lavazè d'inverno è la stessa cosa. Anzi peggio, perché la neve appiattisce tutto. Le piste da fondo si snodano nel vuoto. Fai una curva e ti chiedi se sei sulla pista giusta. Di fronte, verso malga Ora, adesso c'è un belvedere che arriva fino al Penegal e poi ancora più lontano, sul gruppo del Brenta. Prima era un muro di abeti che chiudeva la vista.

 

 

Un sabato le scie della pista sono nere d'insetti schiacciati. Larve, dicono, uscite da sotto la corteccia degli alberi caduti. Larve ormai schiuse per il primo caldo di un inverno che è già alla fine.

Sulle Loipen di Lavazè, in altura, si allenano atleti di tutte le nazioni. Russi, ucraini, cechi. Un giorno di fine gennaio, giovedì 30, c'è anche Dorothea Wierer. Sola, che da Campiol scende verso malga Campo. Noi, sciatori della domenica, la anticipiamo tagliando chilometri. Porta gli occhiali da sole. Quando arriva i più non la riconoscono. Altri sì. Uno di loro si ferma a bordo pista.

“Senza fucile sei ancora più veloce”, le dice.

“Ah sì?”, sorride lei. E tira dritto, verso Auerleger e poi di nuovo giù al passo di Lavazè.

 Vaia fin qui non ce l'ha fatta. Wierer, Vittozzi, Hofer e Windisch invece sì

Due settimane dopo, l'allenamento ai quasi duemila metri di Lavazè dà i suoi frutti. Ai mondiali di Anterselva/Antholz arriva la fantastica medaglia d'argento nella staffetta mista. Una scena magnifica. La pista, il sole, il bosco intatto. Vaia fin qui non ce l'ha fatta. Wierer, Vittozzi, Hofer e Windisch invece sì. Due corrono con un pettorale che dice Anterselva/Alto Adige. Gli altri due con un pettorale che dice Antholz/Südtirol. Bella idea: via le pedisseque traduzioni!

Quando due giorni dopo Wierer vince l'oro, l'apoteosi è assoluta. E virale. Si fanno vivi tifosi da tutto il mondo, Kompatscher, il premier Conte.

È in questo esatto momento che anche la Rai scopre definitivamente il biathlon. Uno sport fantastico che riempie le tribune. La precisione del cecchino e il polmone del fondista. Finché c'è Doro, almeno. E Vittozzi, Hofer, Windisch. Poi, temo, di nuovo a tuttocalcio. Ma noi abbiamo il telecomando sottomano: la ZDF, quando si tratta di carabine e sci stretti, non tradisce mai.